Nel 2011 a Colonna (piccolo comune vicino Roma), durante gli scavi per le fondamenta di una costruzione privata, è stata scoperta una tomba monumentale di epoca romana. Nel sarcofago rinvenuto all’interno della tomba erano conservati i resti mummificati di una donna insieme a uno straordinario diadema in oro e zaffiri. Mentre il ritrovamento è stato curato dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, lo studio e la caratterizzazione del gioiello e delle gemme sono stati assegnati a Enrico e Flavio Butini, che di seguito descrivono le analisi eseguite. I risultati dei test hanno ampliato notevolmente lo scenario di ricerca in campo storico e archeologico.
Introduzione (a cura di Micaela Angle e Flavio Altamura)*
Il gioiello oggetto di studio proviene da un contesto archeologico indagato nel corso delle attività di scavo preventivo della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio (SBAL). L’indagine, finalizzata alla costruzione di un edificio privato, è stata eseguita nella prima metà dell’anno 2011 sotto la direzione scientifica del funzionario di zona Dott.ssa Micaela Angle, in località Pian Quintino nel comune di Colonna (Roma) sulle pendici nord-orientali dei Colli Albani. Lungo l’attuale via Valle della Chiesa le indagini iniziate nel 2005 hanno permesso la scoperta parziale di una necropoli con undici sepolture di periodo romano imperiale, distribuite in almeno due nuclei recintati lungo il passaggio di una via basolata al momento identificabile con la via Labicana. Il nucleo occidentale, con recinto in muratura, comprende una tomba monumentale (tomba 11, Figure A e B), attorniata da sepolture infantili in fossa.
Il mausoleo è del tipo tomba-ara/altare; sebbene la porzione superiore della struttura sia stata rasata da disturbi successivi, è infatti probabile che vi fosse sovraimpostata una piattaforma per attività rituali. La cella ospitava un sarcofago in marmo bianco con tabula decorativa su uno dei lati lunghi della cassa e coperchio a conformazione tettiforme. È probabile che il manufatto sia un’importazione dal Proconneso. Il successivo scavo micro-stratigrafico del sarcofago, eseguito presso il Museo Nazionale Prenestino, ha consentito di recuperare i resti dell’individuo inumato (Figure C e D), di sesso femminile e con età alla morte di ca. 40 anni. La defunta era stata deposta con un anello in argento, un flabello (?), ed il gioiello in oro e zaffiri oggetto della relazione (reperto 2). Sul fondo della vasca del sarcofago sono inoltre stati rinvenuti resti di un orlo in tessuto aureo, nonché residui di tessuto organico (lino-lana e seta), riferibili all’abbigliamento dell’inumata.
*Altamura F., Angle M., P. Cerino, A. De Angelis, N. Tomei; “Latum pictae vestis considerat aurum”. Sepolcri a Colonna; in G. Ghini (a cura di); Lazio e Sabina 9; Atti del Convegno Nono Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina; Roma 27-29 Marzo 2012; pp. 255-260
Descrizione e indagine orafo-costruttiva del monile
La collana-diadema (Peso: gr. 58.72; Lunghezza: cm. 29.00; Figura 1) è composta da venticinque elementi di filo a verga tonda in oro, che formano due occhielli contrapposti, saldati tra loro, a disegnare un motivo a “nodo d’Ercole”. Questo è ripetuto in varie dimensioni in gradazione crescente verso la parte centrale del monile. La struttura portante delle maglie, è costituita da due fettucce in oro, disposte a croce e saldate (Figure 2, 3 e 4).
Lo snodo di raccordo tra le maglie è coperto da piccole sfere d’oro saldate (Figure 5 e 10). Ognuna della maglie è predisposta per alloggiare, alternate, n°7 gemme blu (identificate dall’analisi gemmologica come zaffiro, varietà di corindone). I due zaffiri di forma semi-sferica (n. 1 e 7) hanno un foro passante e sono fissati alla maglia per mezzo di due fili aurei saldati per un’estremità alla base; l’altro capo del filo va ad infilarsi, per la metà, all’interno del foro della pietra. La stessa tecnica è utilizzata anche per le maglie prive di gemme, essa consentiva la sospensione delle pietre dalla base. Le restanti gemme (n. 2, 3, 5 e 6), di forma ovaloide a taglio cabochon, sono fissate per mezzo di castoni “battuti” (Figura 6).
Lo zaffiro in posizione centrale (n. 4), di forma tonda cabochon, è forato dall’alto in basso e fissato per mezzo di un perno passante saldato alla base e ribattuto all’estremità a mo’ di chiodo (Figura 7).
La maglia alla sinistra di quella centrale (n. 12) presenta anch’essa un perno libero con testa ribattuta (Figura 7) che fungeva da sostegno a una gemma mancante (una perla?).
I fili utilizzati nella composizione dei nodi sono stati accuratamente lucidati e rifiniti mentre quelli impiegati nella realizzazione delle griffe sono stati lasciati non rifiniti (Figure 8-12). Questo si deduce dalle linee elicoidali rimaste sulle griffe (Figura 10) e dalle pseudo-faccette che appaiono invece sui fili che disegnano la maglia (Figura 11).
Tutte le griffe ricurve dei castoni, compresi quelli che non sono impreziositi da zaffiri, riportano dei segni di forzatura (Figura 12). Questi segni sono dovuti all’impiego, da parte dell’artigiano, di un utensile metallico usato per spingere le griffe all’interno di ulteriori gemme forate (perle?) ormai non più presenti.
Materiali e metodi
I sette zaffiri montati sul diadema sono stati identificati tramite lettura a distanza (spot method), usando un rifrattometro Rayner Dialdex, e confronto degli spettri ottenuti utilizzando un Raman MAGI “Gemmoraman 532”.
Test EDXRF sono stati effettuati su tutti e sette i campioni con un OMEGA X PRESS della Innov-X System.
Gli esami spettroscopici UV-VIS-NIR sono stati eseguiti solo in direzioni (che gli autori non sono stati in grado di identificare con certezza) obbligate dalla delicatezza e dall’ingombro del monile, utilizzando un PYE UNICAM SP8-100 e un JASCO V-630.
Risultati
Analisi della lega
Il titolo dell’oro è stato rilevato in più punti con la tecnica EDXRF (Energy Dispersive X Ray Fluorescence) che ha rilevato percentuali di oro variabili tra 99.7 e 99.8 % con quantità trascurabili di ferro, rame e nichel (Figura 13).
Analisi gemmologica
Tutte le gemme analizzate sono risultate essere zaffiri naturali (varietà di corindone). L’analisi EDXF (Krzemnicki 2014, Joseph et al. 2000) ha rivelato contenuti metallici in traccia tali da poter concludere che quattro degli zaffiri sono di origine basaltica (es. Tailandia e Cambogia) (n. 1, 2, 4 e 7; Figura 14) e altri tre sono invece di origine non-basaltica (es. Sri Lanka e Birmania) (Figura 15) tale ipotesi è supportata dai risultati ottenuti con la spettroscopia UV-VIS (Krzemnicki et al. 1996, Themelis 2010) (Figura 16). Per i depositi basaltici, accanto alle origini attuali ben conosciute, come Tailandia e Cambogia (le pietre provenienti da questi luoghi potrebbero aver raggiunto Roma attraverso le “Vie Orientali”), si possono tenere in considerazione i depositi del Massiccio Centrale in Francia (Gaillou 2003; Giuliani et al. 2008; Medard et al. 2012), dai quali provengono alcuni importanti zaffiri di qualità gemma montati in gioielli medioevali, per i quali non è completamente escluso il ritrovamento e l’utilizzo già secoli prima. Ad esclusione dello zaffiro n.2, anche l’osservazione microscopica ha fornito indicazioni di supporto alla determinazione di origine geografica di cui sopra (Andergassen e Bossi 1995, Gübelin e Koivula 2008). Nello specifico le foto in figura 17 sono state scattate alle gemme ritenute di origine basaltica mentre le foto in figura 18 a quelle di presunta origine non basaltica.
Conclusioni
Il sodalizio tra la gemmologia e l’archeologia si sta facendo sempre più consolidato e proficuo. I risultati appena presentati, ad esempio, stanno dando grande impulso alla ricerca nel campo degli antichi scambi e tratte commerciali. I ricercatori, infatti, non immaginavano che il commercio delle pietre preziose potesse essere così complesso da ipotizzare la presenza di antichi mercanti di gemme che avessero accesso a fonti così remote e distanti.
Sempre più musei, soprintendenze e fondazioni si stanno dotando di propri laboratori di restauro e manutenzione (disciplina molto sviluppata in Italia); chissà che lo sviluppo e la nascita di nuovi piccoli e medi laboratori gemmologici non vada proprio in questa direzione.
Bibliografia
Altamura F., Angle M. P. Cerino, A. De Angelis, N. Tomei; “Latum pictae vestis considerat aurum”. Sepolcri a Colonna; in G. Ghini (editor); Lazio e Sabina 9; Atti del Convegno Nono Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina; Roma 27-29 Marzo 2012; pp. 255-260
Andergassen W., Bossi G., 1995. Caratteristiche interne delle gemme. Giovanni Bossi & C., Roma e Cavalese, settembre 1995.
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A cura di Enrico Butini e Flavio Butini, pubblicato su Rivista Italiana di Gemmologia n. 1, Maggio 2017.
STUDIO, RICERCA e GENIALITA’ = ECCELLENZA. COMPLIMENTI
L’intreccio, per cosi dire, rappresenta figure geometriche elaborate attraverso attrezzi di uso comune, essenziali e ben strutturati sia nel metallo per le sue percentuali alte, sia nel garbo che si adatta piü ad una corona 29cm che ad un girogola che dovrebbe essere almeno di 42 cm. forse era inserito come struttura rafforzata da una dura capigliatura, ovviamente sono solo osservazioni considerando le esperienze di gioielliere. Ottime le analisi e complete di gemmologia.