venerdì, Aprile 19, 2024
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Analisi di laboratorio su uno straordinario reperto: dagli scavi di Colonna (Roma) un diadema con zaffiri

Nel 2011 a Colonna (piccolo comune vicino Roma), durante gli scavi per le fondamenta di una costruzione privata, è stata scoperta una tomba monumentale di epoca romana. Nel sarcofago rinvenuto all’interno della tomba erano conservati i resti mummificati di una donna insieme a uno straordinario diadema in oro e zaffiri. Mentre il ritrovamento è stato curato dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, lo studio e la caratterizzazione del gioiello e delle gemme sono stati assegnati a Enrico e Flavio Butini, che di seguito descrivono le analisi eseguite. I risultati dei test hanno ampliato notevolmente lo scenario di ricerca in campo storico e archeologico.

Fig. A – Sezione verticale della tomba 11, all’interno della quale è stata rinvenuta la collana in oro e zaffiri oggetto di esame.
Fig. B – Foto della tomba 11, sono visibili le lastre di marmo e i laterizi posti a copertura della camera ipogea.

Introduzione (a cura di Micaela Angle e Flavio Altamura)*

Il gioiello oggetto di studio proviene da un contesto archeologico indagato nel corso delle attività di scavo preventivo della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio (SBAL). L’indagine, finalizzata alla costruzione di un edificio privato, è stata eseguita nella prima metà dell’anno 2011 sotto la direzione scientifica del funzionario di zona Dott.ssa Micaela Angle, in località Pian Quintino nel comune di Colonna (Roma) sulle pendici nord-orientali dei Colli Albani. Lungo l’attuale via Valle della Chiesa le indagini iniziate nel 2005 hanno permesso la scoperta parziale di una necropoli con undici sepolture di periodo romano imperiale, distribuite in almeno due nuclei recintati lungo il passaggio di una via basolata al momento identificabile con la via Labicana. Il nucleo occidentale, con recinto in muratura, comprende una tomba monumentale (tomba 11, Figure A e B), attorniata da sepolture infantili in fossa.

Fig. C – Schema dell’interno della tomba 11 al momento dell’apertura. Con il numero 2 è indicata la collana oggetto di studio.
Fig. D – Foto dell’interno della tomba 11. In basso a sinistra è visibile la collana in oro e zaffiri.

Il mausoleo è del tipo tomba-ara/altare; sebbene la porzione superiore della struttura sia stata rasata da disturbi successivi, è infatti probabile che vi fosse sovraimpostata una piattaforma per attività rituali. La cella ospitava un sarcofago in marmo bianco con tabula decorativa su uno dei lati lunghi della cassa e coperchio a conformazione tettiforme. È probabile che il manufatto sia un’importazione dal Proconneso. Il successivo scavo micro-stratigrafico del sarcofago, eseguito presso il Museo Nazionale Prenestino, ha consentito di recuperare i resti dell’individuo inumato (Figure C e D), di sesso femminile e con età alla morte di ca. 40 anni. La defunta era stata deposta con un anello in argento, un flabello (?), ed il gioiello in oro e zaffiri oggetto della relazione (reperto 2). Sul fondo della vasca del sarcofago sono inoltre stati rinvenuti resti di un orlo in tessuto aureo, nonché residui di tessuto organico (lino-lana e seta), riferibili all’abbigliamento dell’inumata.

*Altamura F., Angle M., P. Cerino, A. De Angelis, N. Tomei; “Latum pictae vestis considerat aurum”. Sepolcri a Colonna; in G. Ghini (a cura di); Lazio e Sabina 9; Atti del Convegno Nono Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina; Roma 27-29 Marzo 2012; pp. 255-260 

Fig. 1 – Collana-diadema in oro giallo e zaffiri.

Descrizione e indagine orafo-costruttiva del monile

La collana-diadema (Peso: gr. 58.72; Lunghezza: cm. 29.00; Figura 1) è composta da venticinque elementi di filo a verga tonda in oro, che formano due occhielli contrapposti, saldati tra loro, a disegnare un motivo a “nodo d’Ercole”. Questo è ripetuto in varie dimensioni in gradazione crescente verso la parte centrale del monile. La struttura portante delle maglie, è costituita da due fettucce in oro, disposte a croce e saldate (Figure 2, 3 e 4).

Fig. 2 – Gancio-anello di raccordo tra i “nodi d’Ercole”.
Fig. 3 – Particolare di un gancio-occhiello saldato alla base del castone ovale e residuo di un paglione rettangolare di saldatura.
Fig. 4 – Lamina d’oro saldata al di sotto dei castoni e fettucce disposte a croce utilizzate come base e raccordo tra i nodi d’Ercole.

Lo snodo di raccordo tra le maglie è coperto da piccole sfere d’oro saldate (Figure 5 e 10). Ognuna della maglie è predisposta per alloggiare, alternate, n°7 gemme blu (identificate dall’analisi gemmologica come zaffiro, varietà di corindone). I due zaffiri di forma semi-sferica (n. 1 e 7) hanno un foro passante e sono fissati alla maglia per mezzo di due fili aurei saldati per un’estremità alla base; l’altro capo del filo va ad infilarsi, per la metà, all’interno del foro della pietra. La stessa tecnica è utilizzata anche per le maglie prive di gemme, essa consentiva la sospensione delle pietre dalla base. Le restanti gemme (n. 2, 3, 5 e 6), di forma ovaloide a taglio cabochon, sono fissate per mezzo di castoni “battuti” (Figura 6).

Lo zaffiro in posizione centrale (n. 4), di forma tonda cabochon, è forato dall’alto in basso e fissato per mezzo di un perno passante saldato alla base e ribattuto all’estremità a mo’ di chiodo (Figura 7).

Fig. 5 – Lamina d’oro saldata al di sotto dei castoni e fettucce disposte a croce utilizzate come base e raccordo tra i nodi d’Ercole.
Fig. 6 – Particolare di un castone “battuto“ su cui sono visibili delle “barbe“, residuo di lavorazione che sopravanza la gemma.
Fig. 7 – Zaffiro centrale sostenuto da un perno con testa ribattuta; si nota, a sinistra della pietra, un perno verticale con gemma mancante.

La maglia alla sinistra di quella centrale (n. 12) presenta anch’essa un perno libero con testa ribattuta (Figura 7) che fungeva da sostegno a una gemma mancante (una perla?).

I fili utilizzati nella composizione dei nodi sono stati accuratamente lucidati e rifiniti mentre quelli impiegati nella realizzazione delle griffe sono stati lasciati non rifiniti (Figure 8-12). Questo si deduce dalle linee elicoidali rimaste sulle griffe (Figura 10) e dalle pseudo-faccette che appaiono invece sui fili che disegnano la maglia (Figura 11).

Tutte le griffe ricurve dei castoni, compresi quelli che non sono impreziositi da zaffiri, riportano dei segni di forzatura (Figura 12). Questi segni sono dovuti all’impiego, da parte dell’artigiano, di un utensile metallico usato per spingere le griffe all’interno di ulteriori gemme forate (perle?) ormai non più presenti.

Fig. 8 – Particolare delle linee elicoidali del filo d’oro ritorto che compone una delle due griffe che sosteneva la gemma mancante.
Fig. 9 – Particolare della troncatura del filo d’oro eseguita con un utensile a scalpello.
Fig. 10 – Linee elicoidali sulle griffe ottenute per torsione del filo d’oro (in origine di sezione quadrata).
Fig. 11 – Particolare della lavorazione del filo: si notano vari piani longitudinali lasciati impressi dall’antica tecnica di costruzione del filo, ottenuta per rotolamento (non trafilato).
Fig. 12A – Segni di forzatura impressi dall’utensile sulle griffe; si notano i microsolchi causati da una non perfetta lucidatura dell’utensile impiegato.
Fig. 12B – Segni di forzatura impressi dall’utensile sulle griffe; si notano i microsolchi causati da una non perfetta lucidatura dell’utensile impiegato.

Materiali e metodi

I sette zaffiri montati sul diadema sono stati identificati tramite lettura a distanza (spot method), usando un rifrattometro Rayner Dialdex, e confronto degli spettri ottenuti utilizzando un Raman MAGI “Gemmoraman 532”.

Test EDXRF sono stati effettuati su tutti e sette i campioni con un OMEGA X PRESS della Innov-X System.

Gli esami spettroscopici UV-VIS-NIR sono stati eseguiti solo in direzioni (che gli autori non sono stati in grado di identificare con certezza) obbligate dalla delicatezza e dall’ingombro del monile, utilizzando un PYE UNICAM SP8-100 e un JASCO V-630.

Fig. 13 – Grafico ottenuto con la tecnica della fluorescenza ai raggi X; analisi effettuata su una maglia della collana-diadema.

Risultati

Analisi della lega

Il titolo dell’oro è stato rilevato in più punti con la tecnica EDXRF (Energy Dispersive X Ray Fluorescence) che ha rilevato percentuali di oro variabili tra 99.7 e 99.8 % con quantità trascurabili di ferro, rame e nichel (Figura 13).

Fig. 14 – Grafico ottenuto con la tecnica della fluorescenza ai raggi X; analisi effettuata su uno dei quattro zaffiri di presunta origine basaltica.
Fig. 15 – Grafico ottenuto con la tecnica della fluorescenza ai raggi X; analisi effettuata su uno dei quattro zaffiri di presunta origine non basaltica.
Fig. 16 – Grafico in cui vengono messi a confronto il tracciato UV-Vis relativo a uno degli zaffiri di presunta origine basaltica (in verde) e quello relativo a uno degli zaffiri di presunta origine non basaltica (in blu).

Analisi gemmologica

Tutte le gemme analizzate sono risultate essere zaffiri naturali (varietà di corindone). L’analisi EDXF (Krzemnicki 2014, Joseph et al. 2000) ha rivelato contenuti metallici in traccia tali da poter concludere che quattro degli zaffiri sono di origine basaltica (es. Tailandia e Cambogia) (n. 1, 2, 4 e 7; Figura 14) e altri tre sono invece di origine non-basaltica (es. Sri Lanka e Birmania) (Figura 15) tale ipotesi è supportata dai risultati ottenuti con la spettroscopia UV-VIS (Krzemnicki et al. 1996, Themelis 2010) (Figura 16). Per i depositi basaltici, accanto alle origini attuali ben conosciute, come Tailandia e Cambogia (le pietre provenienti da questi luoghi potrebbero aver raggiunto Roma attraverso le “Vie Orientali”), si possono tenere in considerazione i depositi del Massiccio Centrale in Francia (Gaillou 2003; Giuliani et al. 2008; Medard et al. 2012), dai quali provengono alcuni importanti zaffiri di qualità gemma montati in gioielli medioevali, per i quali non è completamente escluso il ritrovamento e l’utilizzo già secoli prima. Ad esclusione dello zaffiro n.2, anche l’osservazione microscopica ha fornito indicazioni di supporto alla determinazione di origine geografica di cui sopra (Andergassen e Bossi 1995, Gübelin e Koivula 2008). Nello specifico le foto in figura 17 sono state scattate alle gemme ritenute di origine basaltica mentre le foto in figura 18 a quelle di presunta origine non basaltica.

Fig. 17A – Foto delle inclusioni relative ai quattro zaffiri di presunta origine basaltica: a. zonature di colore, fratture e cavità affioranti riempite con detriti. Foto realizzate a differenti ingrandimenti (20x – 40x).
Fig. 17B – Grossi cristalli negativi.
Fig. 17C – Zonature di colore e di crescita, bande biancastre di piccolissime inclusioni cristalline.
Fig. 17D – Cavità riempite di detriti, zonature di colore e di crescita, bande biancastre (come in b).
Fig. 17E – Cavità e cristallo negativo allungato con detriti.
Fig. 17F – Cavità, zonature di colore e di crescita.

Conclusioni

Il sodalizio tra la gemmologia e l’archeologia si sta facendo sempre più consolidato e proficuo. I risultati appena presentati, ad esempio, stanno dando grande impulso alla ricerca nel campo degli antichi scambi e tratte commerciali. I ricercatori, infatti, non immaginavano che il commercio delle pietre preziose potesse essere così complesso da ipotizzare la presenza di antichi mercanti di gemme che avessero accesso a fonti così remote e distanti.

Sempre più musei, soprintendenze e fondazioni si stanno dotando di propri laboratori di restauro e manutenzione (disciplina molto sviluppata in Italia); chissà che lo sviluppo e la nascita di nuovi piccoli e medi laboratori gemmologici non vada proprio in questa direzione.

Fig. 18A – Foto delle inclusioni relative ai tre zaffiri di presunta origine non-basaltica: a. inclusioni multifase. Foto realizzate a differenti ingrandimenti (20x – 60x).
Fig. 18B – Frattura con tracce di ossidazione e grosso cristallo negativo.
Fig. 18C – Fingerprint
Fig. 18D – Inclusioni aghiformi incrociate.
Fig. 18E – Inclusioni aghiformi incrociate e fingerprint.
Fig. 18F – A destra è possibile vedere una fingerprint mentre a sinistra, posizionati sulla superficie esterna della gemma, si notano dei “marchi di fuoco” (lucidatura mal eseguita).

Bibliografia

Altamura F., Angle M. P. Cerino, A. De Angelis, N. Tomei; “Latum pictae vestis considerat aurum”. Sepolcri a Colonna; in G. Ghini (editor); Lazio e Sabina 9; Atti del Convegno Nono Incontro di Studi sul Lazio e la Sabina; Roma 27-29 Marzo 2012; pp. 255-260

Andergassen W., Bossi G., 1995. Caratteristiche interne delle gemme. Giovanni Bossi & C., Roma e Cavalese, settembre 1995.

Dhaemaratne P.G.R., Ranjith Premasiri H.M., Dillimuni D., 2012. Sapphires from Thammannawa, Kataragama Area, Sri Lanka. Gems & Gemology, 48(2), pp. 98-107.

Gaillou E., 2003. Les saphirs du Massif Central: etude minéralogique des saphirs du Sioulot du Mont Coupet e du Menoyre.

Giuliani G., Fallick A., Ohnenstetter D., Pegere G., 2009. Oxygen isotopes composition of sapphires from the French Massif Central: implications for the origin of gem corundum in basaltic fields. Miner Deposita, 44, 221-231.

Gübelin E.J., Koivula J.I., 2008. Photoatlas of inclusions in Gemstones, vol. 3, Opinio Publishers, Basel, Switzerland.

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Krzemnicki M.S., Hänni H.A., Guggenheim R., Mathys D., 1996. Investigations on sapphires from an alkali basalt, South West Rwanda. J. Gemm., 25(2), 90-106.

Krzemnicki M.S., 2014. Scottish Gemmological Conference

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Schwartz D., Kanis J., Schmetzer K., 2000. Sapphires from Antsiranana Province, Northern Madagascar. Gems & Gemology, 36(3), 216-233.

Smtih C.P., Kammerling R.C., Keller A.S., Peretti A., Scarratt K.V., Dang Khoa N., Repetto S., 1995. Sapphires from Southern Vietnam. Gems & Gemology, 31(3), 168-186.

Themelis T., 2008. Gems & Mines of Mogok. A&T Publications, Thailand, 352 pp.

Themelis T., 2010. The heat treatment of ruby & sapphire, Second Edition. A&T Publications, Thailand, 384 pp.

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A cura di Enrico Butini e Flavio Butini, pubblicato su Rivista Italiana di Gemmologia n. 1, Maggio 2017.

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2 Commenti

  1. L’intreccio, per cosi dire, rappresenta figure geometriche elaborate attraverso attrezzi di uso comune, essenziali e ben strutturati sia nel metallo per le sue percentuali alte, sia nel garbo che si adatta piü ad una corona 29cm che ad un girogola che dovrebbe essere almeno di 42 cm. forse era inserito come struttura rafforzata da una dura capigliatura, ovviamente sono solo osservazioni considerando le esperienze di gioielliere. Ottime le analisi e complete di gemmologia.

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