venerdì, Marzo 29, 2024
spot_img

Le macrofotografie delle inclusioni delle gemme sono opere d’arte?

Non è la prima volta che i gemmologi, frugando negli spazi misteriosi dei cristalli, finiscono per trovarsi così emozionati di fronte alle immagini che essi stessi producono, da domandarsi se non abbiano forse sconfinato in un altro dominio, nella sfera cioè di vere e proprie rappresentazioni artistiche. Quando poi, avendole stampate, le foto diventano oggetti tangibili come quadri la domanda che si pongono diventa chiara: esiste una forma d’arte spontanea alla quale l’essere umano non serve più, innata e rivelata in sé dalla semplice riproduzione dei fenomeni? Del resto lo stesso Plinio, il precursore d’ogni ragionamento gemmologico “moderno” ammoniva gli studiosi delle pietre a considerarle preziose per il semplice fatto che hanno l’impagabile valore di farci contemplare le spettacolari ed intriganti lezioni impartite dalla Natura. La loro bellezza conteneva – nell’interpretazione del grande naturalista latino – un esplicito invito alla contemplazione. Immergersi, perdersi per poter leggere – noi miseri e caduchi – il mirabile disegno del sistema perfetto della Magister Vitae che dava ordine al mondo.

Si sa cosa è avvenuto poi. In epoca più recente le arti figurative si sono liberate dalla prigionia dell’imprescindibile, fedele e – per secoli monotonamente inevitabile – rappresentazione della natura. Ci si è dati a frenetiche scorribande in forme astratte, ribaltamenti geometrici, cambi di visuale. Gli ultimi cento anni della grande pittura offrono una nuova configurazione estetica che allena il nostro occhio a forme e colori eccentrici, ben lontani dalle rappresentazioni dell’arte classica.

Domanda. Ci adeguiamo alla Natura, imitandola, come voleva Plinio? O piuttosto le immagini gemmologiche delle inclusioni sono opere d’arte già compiute di una natura che anticipa le nostre pulsioni creative? A trenta e più ingrandimenti non si riconosce forse, in certe disposizioni di materiali imprigionati nei cristalli, lo stesso gioco fatto con i segni astratti di un artista come Pollock? Il parallelo appare legittimo. Tracce di colore svolazzano in quei quadri alla maniera dei fluidi catturati dalle gemme. L’accostamento è ovvio, se ne potrebbe discutere.

Chi ha dipinto, chi ha fotografato? Una immagine del fotografo napoletano Geppi Imperatore sovrapposta all’opera di Jackson Pollock, “Full Fanthom 5”. Un accostamento un po’ provocatorio che però mostra come gli idrossidi del quarzo funzionino egregiamente se se ne fa una lettura artistica.

In questo stuzzicante contesto una decina d’anni fa sono state portate su tela e mostrate al pubblico alcune delle tante interessantissime foto realizzate da Willi Andergassen, un appassionato studioso italiano di pietre con passato da aviatore, scomparso nel 2001. I curatori delle esposizioni delle foto di Andergassen compresero appieno il grande potenziale delle immagini che era riuscito a catturare nel mondo sommerso dei cristalli. Il tutto realizzato peraltro in un’epoca contraddistinta da tecniche di ripresa e di sviluppo molto lontane dalle infinite possibilità del digitale.

Una delle tantissime foto custodite e valorizzate dalla Fondazione Willi Andergassen.

Questi che evidentemente sono trigoni in un diamante evocano un misterioso tappeto di triangoli perfetti. La composizione ottenuta dal bel taglio della ripresa fotografica fa pensare ad una creazione che enfatizza simboli geometrici, un po’ come i quadrati essenziali di Piet Mondrian. E lo stesso Mondrian nella composizione qui sotto non evoca forse il gioco complanare ed iso-orientato di molte inclusioni tubolari o aghiformi presenti in tanti cristalli?

Composition in Blue Gray and Pink, Piet Mondrian, 1913.

In tempi più recenti, lo scorso novembre 2017, il tema dell’estetica della macrofotografia delle pietre è stato riproposto in Cina dal Tongji Zhejiang College in collaborazione con Lotus Gemology e la Shanghai Bairui Jewelry Corporation. Chi conosce Lotus Gemology sa che si tratta in pratica della famiglia Hughes. Dick Hughes è un personaggio tra i più eclettici del panorama gemmologico. Il suo è un approccio assai curioso ed intrigante. Quando lo conobbi al Ciges di Napoli fui colpito dalla sua metodologia che è tesa ad includere gli aspetti emozionali della conoscenza. La sua presentazione mirava proprio a trasmettere questo senso vibrante della ricerca della bellezza. Non a caso la descrissi come una forma di Gemmologia Umanistica e non a caso in Cina Billie, la bravissima figlia di Dick, ha esposto alcune sue foto di inclusioni assieme ad immagini dai luoghi di produzione, un lungo e magnifico reportage che racconta bene la storia, il percorso, la vita delle gemme.

Le foto di Billie hanno una definizione netta e spietata che ricorda la messa a fuoco pluridimesionale dei più grandi e recenti film d’animazione digitale. Solo che là dentro è tutto vero e gli scatti conservano, aldilà della fascinazione, un’eccellente funzione didattica.  Per finire (ma ne riparleremo presto) non trovo di meglio che questa citazione del filosofo John Armstrong: “The experience of beauty, we may then say, consists in finding a spiritual value (truth, happiness, moral ideals) at home in a material setting (rhythm, line, shape, structure), and in such a way that, when we contemplate the object, the two seem inseparable”.

In sequenza da Lotus Gemology: “Cristallo di calcopirite che galleggia nel Mar Rosso di un Rubino di Montepuez, Mozambico” e sotto, “Iridescenza in un cristalli di calcopirite in un Rubino del Mozambico, regione di Montepuez” (Foto: Billie Hughes, www.lotusgemology.com)
(Foto: Billie Hughes, www.lotusgemology.com)

Paolo Minieri

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

NEWS

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Dal Magazine