giovedì, Marzo 28, 2024
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Elementi di base della Spettroscopia a fotoluminescenza in gemmologia

Nel 1999 la General Electric (GE) annunciò di aver perfezionato un trattamento ad alta pressione/alta temperatura (HPHT) per modificare il colore brunastro dei diamanti di tipo II fino a renderli quasi o del tutto incolori. Sebbene il processo fosse circoscritto ad una limitata percentuale di diamanti, la scoperta gettò il mercato nel panico; quasi simultaneamente la comunità gemmologica si attivò per mettere a punto un metodo di identificazione efficace del trattamento e da subito si capì che il compito non si presentava affatto di facile soluzione. I metodi standard non fornivano alcuna informazione utile: vennero quindi messe in campo le più avanzate tecniche disponibili e quella che risultò maggiormente promettente fu la spettroscopia a fotoluminescenza. Da allora questa metodologia di indagine risulta essere l’architrave su cui poggiano i più diffusi protocolli di indagine sui diamanti nei laboratori gemmologici di tutto il mondo.

Fotoluminescenza

La definizione di fotoluminescenza (PL) utilizzata in gemmologia è leggermente diversa da quella riconosciuta nel campo scientifico della fisica in generale. La “nostra” concezione, infatti, si riferisce esclusivamente all’emissione di radiazione da parte di una gemma quando stimolata da una sorgente nel campo del visibile o infrarosso. Nel caso venga utilizzata una emissione ultravioletta, chiamiamo questa reazione “fluorescenza” o “fosforescenza” se questa rimane persistente per un intervallo di tempo a seguito dell’interruzione della sorgente luminosa. In quanto sviluppatasi originariamente per lo studio dei diamanti, nella definizione gemmologica sono stati inseriti anche i termini “laser” per la sorgente e “tipicamente in condizioni di bassa temperatura” per la metodologia di analisi. E’ infatti risaputo che i picchi di emissione da parte dei difetti ottici attivi utili nell’indagine sui diamanti sono identificabili con maggiore accuratezza in condizioni di bassa temperatura. Tuttavia, anche se originariamente circoscritto all’ambito dei diamanti, l’utilizzo di questa tecnica sta avendo sviluppi ogni giorno maggiori anche nello studio delle pietre di colore dove la tecnica criogenica non può essere di solito utilizzata. Il diamante infatti presenta caratteristiche di resistenza a repentini sbalzi di temperatura che quasi tutte le gemme di colore non possiedono.

Figura 1 – Differenza tra picchi Raman e PL. I due spettri dello stesso diamante sono stati acquisiti mediante laser a 405 e 532 nm e visualizzati su una scala assoluta in nm. Gli scattering Raman risultano posizionati differentemente mentre i picchi PL, in questo caso il GR1 a 741 nm, corrispondono.

Lo spettrometro a fotoluminescenza

Le sorgenti laser sono risultate quelle maggiormente efficienti per poter stimolare le emissioni PL; per questo motivo gli spettrometri a fotoluminescenza condividono in genere con quelli Raman la medesima configurazione, In moltissimi casi, infatti, uno spettrometro Raman può fungere anche da spettrometro PL. Altro requisito che accomuna le due tecniche è la estrema sensibilità richiesta negli spettrometri utilizzati. Se infatti il segnale Raman, per sua stessa definizione, è causato dallo scattering anelastico di 1 fotone su 10 milioni, per cui estremamente debole, i “difetti” nella struttura atomica dei diamanti che generano picchi di emissione PL sono anch’essi di minima entità (fino a meno di 10 parti per miliardo). Pur utilizzando lo stesso strumento, le due tecniche presentano una differenza sostanziale. Mentre infatti lo scattering Raman risulta costante a prescindere della sorgente utilizzata, e quindi la sua identificazione viene eseguita mediante una scala “relativa”, espressa in cm-1 ove lo 0 corrisponde alla lunghezza d’onda del laser dello strumento, i picchi PL vengono emessi ad energia costante per un dato materiale, per cui la loro identificazione viene effettuata su di una scala assoluta espressa in nm (Figura 1). Considerando i requisiti di elevata sensibilità e risoluzione necessari per lo studio dei diamanti, i moderni sistemi PL più avanzati prevedono l’utilizzo di molteplici sorgenti laser di diverse lunghezze d’onda e l’adozione di spettrometri con risoluzioni pochi decimi di nm (Figura 2).

Figura 2 – Quattro spettri dello stesso diamante registrati usando sorgenti diverse. Da notare, quando questi si sovrappongono, la differente entità dei picchi. La rappresentazione complessiva dimostra anche visivamente quanto sia importante, in alcuni casi disporre di laser a varie lunghezze d’onda. (Courtesy of Thomas Hainschwang)

Applicazioni gemmologiche: i diamanti

Abbiamo già evidenziato come questa tecnica sia entrata a far parte della dotazione permanente del laboratorio gemmologico per rispondere ad una precisa esigenza di individuazione dei diamanti trattati HPHT. Come era prevedibile, in breve tempo si è andati ben oltre. Il diamante presenta una gamma praticamente sconfinata di emissioni specifiche disposte in una vastissima area che va dall’ultravioletto all’infrarosso. Si è dunque aperto un campo immenso per il lavoro dei gemmologi: identificare, caratterizzare e spiegare tutti questi elementi e metterli in correlazione con l’enorme vastità delle tipologie di diamanti (naturali e sintetici) e relativi trattamenti. E’ ovvio che per poter solo considerare di affrontare una mole di lavoro simile non é solo necessario dotarsi di strumentazione adeguata, bisogna anche disporre di un numero cospicuo di campioni con caratteristiche “certe” per poter comparare le rilevazioni e validare gli studi. Similmente a quanto accade nel caso delle gemme di colore, dove è indispensabile reperire – quando ci sono esigenze di attribuzione dell’origine geografica – campioni di provenienza “certa”, nel campo dei diamanti a volte non è sufficiente basarsi su caratteristiche fornite dalla compagnia che effettua un determinato trattamento per essere certi di disporre di materiale congruo. Non è infrequente che i maggiori laboratori e studiosi in questo campo siano “costretti” ad effettuare in proprio o a commissionare esternamente i suddetti trattamenti per essere sicuri di avere un database consistente. Trattandosi di diamanti e di procedure solitamente costose, è intuibile quanto questa attività di ricerca sia dispendiosa e, a volte, data la scarsità di materiale (esempio i Fancy color) quasi proibitiva. Nonostante tutto la ricerca va avanti speditamente e una gran parte delle problematiche legate al diamante ha trovato, seppur in modo non ancora definitivo, un percorso di indagine sicuro e affidabile grazie proprio alla spettroscopia PL. Le risultanze di questi studi vengono periodicamente presentate alla comunità gemmologica a mezzo di articoli e trattati. In molti casi, tuttavia, i dati maggiormente “sensibili” non vengono resi pubblici per evitare che, da parte di chi effettua i trattamenti per nuocere al mercato vengano messe in atto le contromisure atte a vanificare gli sforzi di proteggere l’industria del diamante dalle frodi. Le certezze, in gemmologia sono merci rare. La natura crea spesso bizzarre combinazioni per cui non è escluso che una determinata caratteristica rilevata esclusivamente in materiale trattato o sintetico, in rari casi possa presentarsi anche in quello non trattato/naturale. Se l’individuazione dei picchi PL dei difetti (N-V)0 e (N-V)- e loro intensità furono un primo efficace indizio per l’identificazione del trattamento HPHT nei diamanti di tipo IIa GE-POL , è risultato, allo stesso tempo che questa regola aveva delle eccezioni, sopratutto per campioni quasi completamente incolori. Ci sono poi i casi in cui vengono eseguite più tipologie di trattamenti in sequenza, cosa sempre più frequente oggigiorno. Uno degli ambiti in cui il fenomeno è maggiormente diffuso è quello dei diamanti colore fantasia. Alternando sapientemente trattamento HPHT, irraggiamento e annealing, si riescono letteralmente a trasformare ranocchie – diamanti “Ia” bruno/giallastri – in prìncipi – splendidi diamanti rosa. Il compito del gemmologo, in questi casi è decisamente più complesso: una sequenza di trattamenti deve essere identificata a partire esclusivamente dalle caratteristiche del materiale che si può analizzare solo come risultato finale degli stessi. La spettrometria PL non è l’unica tecnica utilizzata, ma è senz’altro quella che fornisce i maggiori indizi.

Le altre gemme

Uno degli elementi chimici più reattivi alle radiazioni luminose è senz’altro il cromo. Per nostra fortuna si tratta anche di uno degli elementi più frequentemente presenti in traccia nelle gemme quali, ad esempio, rubini, smeraldi, spinelli. Ma l’elenco delle gemme che contengono cromo è decisamente lungo, in molti casi proprio la presenza di questo elemento conferisce alle pietre la loro straordinaria bellezza: il topazio imperiale, la tsavorite e la cromo tormalina sono solo alcuni esempi. Sono sufficienti anche infinitesime impurezze di cromo nel reticolo cristallino di una gemma per generare una reazione PL che, presentando una o più specifiche lunghezze d’onda, consente al gemmologo l’identificazione. Nel caso del rubino stiamo parlando del doppietto a 692,8 e 694,2 nm osservabile anche mediante un comune spettroscopio ottico. Anche se le tracce di cromo nel corindone non sono sufficienti ad influenzarne il colore, la loro presenza anche in ridottissime quantità è sempre sufficiente a generare il caratteristico spettro PL (Figura 3).

Figura 3 – Spettri Raman/PL di zaffiri e rubino a confronto. Il contenuto di cromo nel rubino e zaffiro blu è tale da impedire la visualizzazione dei rispettivi fingerprint Raman. Il leucozaffiro presenta invece uno contenuto di cromo talmente basso da consentire la rilevazione dei picchi Raman nella medesima schermata.

Nello spinello, poi, la posizione ed ampiezza dei picchi fornisce ulteriori ed utilissime informazioni. Se infatti, nello spinello naturale non scaldato è praticamente sempre apprezzabile un picco dominante centrato a 685,5 nm e successive bande a lunghezze d’onda maggiori, nel caso che lo spinello sia sintetico oppure naturale sottoposto a trattamento termico, la posizione del picco subirà uno spostamento verso lunghezze d’onda maggiori ed un aumento dell’ampiezza della banda (Figura 4).

Figura 4 – Spettri PL di vari spinelli. Le differenze sostanziali riguardano posizione ed ampiezza dei picchi dovuti al cromo. Nel caso dello spinello naturale, il picco principale è stretto e centrato a 685,5 nm, gli altri 3 spettri appartengono a pietre sia sintetiche che naturali che hanno subito un riscaldamento, da qui, il conseguente ampliamento della banda principale e suo spostamento verso lunghezze d’onda maggiori. (Courtesy of www.asialounges.com – Foto: Arjuna Irsutti).

La causa è da ricercarsi nell’aumento del disordine nella struttura cristallina generato dalla temperatura. Ecco dunque come lo spettro a fotoluminescenza costituisce un efficacissimo metodo di identificazione dello spinello sintetico e di un suo trattamento termico nel caso del naturale. Gli spinelli naturali con impurezze di cobalto stanno avendo ultimamente un successo commerciale senza precedenti. Le gemme più pregiate di provenienza Luc Yen, Viet Nam, esibiscono un colore blue elettrico di notevole saturazione. La produzione è caratterizzata da gemme raramente di grandi dimensioni e questo fa sì che anche cristalli relativamente piccoli vengano scambiati sul mercato a cifre veramente considerevoli. Anche in questo caso la spettroscopia PL ci fornisce un esame diagnostico. La presenza di cobalto in traccia nello spinello può essere, infatti evidenziata come una vasta banda centrata a 650 nm (Figura 5).

Figura 5 – Spinelli al cobalto. La presenza del cobalto è evidenziata da un’ampia banda centrata a 650 nm. Da rilevare quanto, in alcuni casi, la banda ia tamente prominente da far risultare i picchi dovuti al cromo di minima entità. Nel caso dello spettro più in alto, le emissioni dovute al cromo non sono neppure rilevabili. (Courtesy of www.asialounges.com – Foto: Arjuna Irsutti).

Lo smeraldo presenta anch’esso uno spettro PL caratterizzato da due picchi di emissione dovuti al cromo, centrati rispettivamente a 680,6 683,6 nm. Recenti studi hanno evidenziato come la posizione di questi picchi sia correlata all’origine geologica del materiale, più precisamente, all’eventuale associazione a scisto o non scisto, la posizione dei 2 picchi varierà in modo lievissimo ma congruo. E’ stato inoltre possibile ipotizzare una diretta correlazione tra le percentuali di cromo e ferro presenti nello smeraldo e le intensità delle bande PL. La presenza di cromo nel topazio può generare una gamma di colori dal rosso, al rosa al violetto/porpora. Nel mercato si utilizza il termine “imperiale” associato al topazio quando questo presenta toni e saturazioni dei summenzionati colori tali da rendere la gemma particolarmente attraente. Il topazio non è particolarmente raro, tuttavia quando si può fregiare dell’aggettivo di “imperiale”, il suo valore cresce notevolmente. Di conseguenza non c’è da stupirsi se gemme di colori scadenti vengano spesso sottoposte a cicli di irraggiamento per migliorarne tono e saturazione in modo da farle assomigliare al materiale di qualità. La presenza sul mercato di queste gemme irradiate e spacciate come “imperiali” è ormai una costante, anche a causa del fatto che il trattamento non è praticamente identificabile, peraltro, ed è l’aspetto più drammatico, questo agisce sui centri di colore che spesso sono instabili. Di conseguenza si ha che il colore tende a sbiadirsi con il tempo a causa della temporaneità dell’effetto che l’irraggiamento provoca sui centri di colore. L’ emissione dovuta alla presenza del cromo nel topazio imperiale è tale che, se registrata da uno spettrometro Raman/PL, produce uno spettro PL che non consente di visualizzare lo spettro Raman nella stessa scansione. Al contrario, un Topazio che presenta minime o nulle impurezze di cromo, potrà esibire nella stessa scansione sia lo spettro Raman che le ridottissime eventuali emissioni dovute al cromo (Figura 6). E’ intuitivo che se questo si verifica per una gemma che appare sufficientemente saturata da poter essere visualmente identificata come “imperiale”, la causa del suo aspetto non può essere correlata al cromo. Conseguentemente, ragionando per esclusione, è possibile dedurre che l’origine della colorazione sia, quasi certamente, il trattamento per irraggiamento.

Figura 6 – Topazio imperiale e non. Lo spettro di colore giallo presenta sia i picchi causati dal cromo che il fingerprint Raman mentre in quello in rosso quest’ultimo risulta totalmente assente. A parità di saturazione della tinta è possibile ipotizzare che per la gemma dello spettro giallo la causa del colore non sia il contenuto di cromo. (Foto: John Dyer & Co.)

Conclusioni

La spettroscopia a fotoluminescenza è considerata al giorno d’oggi una delle tecniche più efficaci e promettenti nell’ambito dell’indagine gemmologica. La sua applicazione nel campo dei diamanti si è rivelata di vitale importanza per l’identificazione di numerosi trattamenti e per la classificazione del materiale naturale, sopratutto per i diamanti di colore fantasia. Numerose applicazioni gemmologiche relative alle gemme di colore fanno già parte correntemente e stabilmente dei protocolli di analisi nei laboratori gemmologici. In taluni casi l’efficacia della spettroscopia PL permette la risoluzione in modo rapido di problematiche altrimenti decisamente complesse da affrontare con metodologie alternative. Nonostante sia una tecnica relativamente recente rappresenta qualcosa in più di una risorsa promettente. È ormai certezza, infatti, che lo sviluppo di nuovi studi contribuirà in modo considerevole a far fronte alle sempre più numerose criticità che il gemmologo si trova ad affrontare oggigiorno.

Bibliografia

Spectroscopic evidence of GE-POL HPHT-treated natural type IIa diamonds – By David Fisher and Raymond A. Spits – Gems & Gemology, Vol XXXVI Spring 2000.

Luminescence spectroscopy and microscopy applied to study gem materials: a case study of C centre containing diamonds – Thomas Hainschwang, Stefanos Karampelas, Emmanuel Fritsch and Franck Notari – An introduction to photoluminescence spectroscopy for diamond and its applications in gemology – Sally Eaton-Magaña and Christopher M. Breeding – Gems & Gemology, Vol LII, Spring 2016.

Photoluminescence spectra of emeralds from Colombia, Afghanistan, and Zambia – D. Brian Thompson, Christian J. Bayens, Matthew B. Morgan, Taylor J. Myrick, and Nealey E. Sims – Gems & Gemology, Vol LIII, Fall 2017.

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A cura di Alberto Scarani e Mikko Åström, pubblicato su Rivista Italiana di Gemmologia n. 3, Gennaio 2018.

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