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Rubini e giade. Il ciclo decennale del boicottaggio del Myanmar

Testualmente, dalla petizione on line dell’International Campaign for the Rohingya (ICR) denominata Tell Cartier to stop using gems sourced from Myanmar: “Tiffany & Co. ha mantenuto il proprio boicottaggio alle gemme del Myanmar ma Cartier non seguirà la causa. Cartier è tra i fondatori nel 2005 del Council for Responsible Jewelry Practices ma, con azione altamente ipocrita, usa gemme del Myanmar in almeno 4 pezzi della nuova collezione Tutti Frutti”. La risposta non s’è fatta attendere: “A seguito del continuo processo teso ad assicurare l’origine etica della fornitura, Cartier ha deciso di fermare i suoi acquisti di gemme dal Myanmar, a partire dall’8 dicembre”.

70.000 firme digitali hanno messo in moto la macchina dell’indignazione dell’opinione pubblica mondiale causata dall’escalation delle politiche persecutorie del paese indocinese contro la minoranza Rohingya, scaturite nella deportazione di fatto di circa 600.000 persone. Adesso nel mirino della campagna ci sono le altre case prestigiose d’alta gioielleria, la prima delle quali è Bulgari, che, al momento in cui scriviamo, non ha aderito al boicottaggio di rubini, zaffiri e giada birmana.

Chi, per saperne di più, si trovasse ad investigare sui motori di ricerca resterebbe però disorientato. Sul bando alle gemme birmane emergono risultati sul boicottaggio praticamente identici relativi agli anni 2007 e 2017. A distanza di dieci anni esatti, l’opinione pubblica internazionale invita i grandi brand a ritorsioni sull’export birmano di pietre preziose. Nel 2008 infatti, al culmine di un crescendo di sanzioni tese a colpire la tirannia sanguinaria dei militari birmani, il Senato di Washington promulga il Jade Act, una risoluzione che completa il quadro delle precedenti restrizioni al commercio. Nel documento si rendono più acute le misure contro il governo di Yangon: gli investimenti americani sono bloccati e l’ingresso di cittadini birmani negli Usa viene fortemente limitato. Dunque molti prodotti, tra cui in primo luogo rubini e giade, risorse birmane per eccellenza, di fatto sono stati banditi dal commercio verso gli Stati Uniti fino all’ottobre 2016. Un anno fa il bando era stato rimosso anche in segno di riconoscimento dei passi intrapresi in direzione di una svolta democratica dopo la riabilitazione di Aung San Suu Kyi, figura storica dell’opposizione in Myanmar. Sarà interessante verificare se la riproposizione del boicottaggio nel 2017 provocherà identica reazione a livello istituzionale con conseguente embargo commerciale. Le restrizioni ai rubini del 2008 hanno causato effetti controversi poiché alla comunità gemmologica apparivano assolutamente aggirabili, una volta che le gemme contestate attraversavano il confine tailandese e venivano immesse nei mercati mondiali sotto forma di gioielleria esportata da Bangkok. È comunque un dato di fatto che il richiamo alla responsabilità è scattato con la persecuzione di una minoranza piuttosto che con le ripetute segnalazioni di abusi nelle condizioni di lavoro dei minatori impegnati nell’estrazione della giada.

Gem News a cura della redazione di Trasparenze News, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 3, Gennaio 2018.

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