venerdì, Aprile 26, 2024
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L’Angola sta per diventare il primo produttore mondiale di diamanti?

Cambia la leadership del paese, si privatizza l’industria dei diamanti finora totalmente controllata dal governo. La collaborazione con il gigante minerario russo ALROSA si fa più stretta. A breve ci si metterà in proprio come hub con una borsa diamanti nazionale mentre vengono alla luce diamanti grezzi di dimensioni eccezionali. L’Angola, attualmente il settimo produttore mondiale, svela i suoi piani ambiziosi per aumentare la produzione dei diamanti e dice al mondo che il tempo in cui queste gemme finanziavano le atrocità della guerra civile è finito per sempre. E nel frattempo le esportazioni sottocosto, la palla al piede del passato, sono state fermate.

Un taglio netto col passato. Nuova leadership, nuove strade per l’industria dei diamanti in Angola

Chi ha ancora dubbi farebbe bene a ricredersi. Magari è ancora troppo presto per valutare fino a che punto le aspettative angolane avranno successo, ma una cosa è certa: così come il paese sta decisamente cambiando la rotta politica, così i diamanti stanno diventando un pilastro del suo sviluppo economico, basato ancora su una forte dipendenza (90%) dall’esportazione di petrolio. I diamanti nel 2018 hanno rappresentato il 3,3% delle esportazioni ma godono di prospettive future migliori in termini di redditività e di potenzialità rispetto alle quotazioni in discesa ed ai costi in salita dell’industria petrolifera.

Figura 1 – Dopo una lunga collaborazione iniziata ai tempi del coinvolgimento dell’URSS nell’Angola post coloniale, il gigante minerario russo ALROSA è al momento il partner più forte dell’azienda di proprietà statale ENDIAMA nella miniera di Catoca, attualmente la più grande in Angola. Insieme stanno sviluppando la miniera Luaxe, considerata uno dei più grandi camini kimberlitici al mondo e che dovrebbe entrare in funzione nel 2021. (Foto: Gsmart-ao/Wikimedia Commons, License CC BY-SA 4.0)

Non mancano i segnali. A novembre 2020 SODIAM, una delle società statali impegnate nel settore dei diamanti, detentrice del diritto esclusivo di vendere diamanti all’interno del paese, ha aperto il suo primo negozio, dedicato alla vendita diretta di gemme angolane tagliate. Le partnership internazionali qualificate non devono essere più un problema e questo negozio suggella una collaborazione con l’azienda indiana KGK1 mentre sono stati avviati o sono in fase di implementazione numerosi stabilimenti per la lucidatura e il taglio dei diamanti.

Se si fa il punto di tutte le nuove iniziative si scopre che, entro la fine del 2021, SODIAM non rappresenterà più una parte pesante e polverosa del vecchio apparato pubblico di centralizzazione ma avrà un ruolo nuovo come supervisore di una innovativa Borsa Diamanti, di una zona di libero scambio, di un’accademia gemmologica con annesso centro di ricerca.

Un simile stravolgimento, tutto in un colpo, impone una domanda: come e quando il trend ha potuto essere modificato così velocemente? I passi principali sono stati compiuti dopo il decreto 175/18 del 18 luglio 2018 da parte del nuovo presidente João Manuel Gonçalves Lourenço (Figura 2). Questo ex militare, eletto nel settembre 2017, ha aperto la porta a riforme cruciali e in qualche misura inaspettate tanto nella governance dell’industria petrolifera che in quella dei diamanti. Lo scopo dichiarato è di attrarre investimenti stranieri e, riducendo la partecipazione diretta dello stato alle attività minerarie, di aumentarne l’efficienza.

Figura 2 – L’attuale presidente dell’Angola, João Manuel Gonçalves Lourenço. (Foto: Kremlin.ru/Wikimedia Commons, License CC BY 4.0)

Per fare luce su questa nuova era dei diamanti angolani è necessario fare qualche passo indietro e inquadrare alcune fasi decisive della storia di questo Paese, che è restato fino al 1975 una colonia portoghese. Una volta ottenuta l’indipendenza, le costanti divergenze tra i movimenti di liberazione sono culminate in una guerra civile che ha terminato la sua prima fase nel 1992 con la vittoria contestata del partito MPLA. Ne è seguito un ulteriore conflitto di 10 anni tra MPLA e la fazione contendente UNITA.

Non sorprende che i diamanti con questo conflitto abbiano avuto molto a che fare. I due gruppi combattenti angolani non hanno tardato ad usare le risorse di diamanti alluvionali dell’Angola settentrionale per finanziarsi la propria guerriglia. Questo ha causato un’ondata di indignazione in tutto il mondo. I diamanti dei conflitti angolani hanno portato al primo programma responsabile condiviso a livello internazionale nel 2001, il Kimberley Process Scheme.

Ma oltre ad aver finanziato una guerra fratricida, i diamanti in questo paese ricco di minerali sono anche intimamente collegati a nepotismo e corruzione. Dopo 20 anni dominati dal sistema politico monopartitico dell’MPLA, il presidente Lourenço, in carica da tre anni, non può essere considerato un personaggio estraneo al circolo di potere che gravita intorno a questo partito. Tuttavia, la sua strategia su materie prime e diamanti si scontra apertamente con quella del suo predecessore José Eduardo dos Santos (Figura 3), che ha governato il paese durante e dopo la guerra civile. Dos Santos aveva creato un regime iper-centralizzato incentrato su petrolio e diamanti, le vere chiavi della ricchezza nazionale. Il timone della rotta della gestione economica era saldamente nelle mani della Presidenza, della sua famiglia, del suo entourage e dei propri uomini fidati, afferenti alla cerchia di potere. Questo cerchio magico spesso decideva al posto dei ministeri e dei vari dirigenti della pubblica amministrazione. Sono pochi quelli che oggi si meravigliano del fatto che l’industria dei diamanti, che il nuovo presidente intende rimodellare, sia stata per decenni un feudo, nient’altro che un’impresa familiare.

Figura 3 – L’ex presidente dell’Angola, José Eduardo dos Santos. (Foto: Fabio Rodrigues Pozzebom/Agência Brasil, License CC BY 3.0 BR)

Mai più dipendenza dalle esportazioni di petrolio, le più ingenti riserve africane di diamanti sono un’opzione per lo sviluppo economico. Depositi alluvionali…

Il comparto industriale diamantifero risale all’epoca coloniale ed ha un potenziale economico con prospettive interessanti sostenute da solidi dati geologici. È questa la sfida per il gruppo dirigente appena ristrutturato.

L’Angola ha probabilmente le più grandi riserve di diamanti di tutto il continente africano, con un totale di 180 milioni di carati. E va detto che le prospezioni coprono solo una parte limitata delle presunte risorse di questa gemma. Si tratta sia di materiale alluvionale che kimberlitico. Questa doppia caratterizzazione geologica insiste geograficamente in un’unica regione, le province di Lunda Nord e Lunda Sud dove si concentrano quasi tutti i diamanti (Figura 4). Ciò si riflette in modelli organizzativi differenti: da un lato un sistema più ordinato e strutturato nelle località meridionali, dove lo sfruttamento profondo dei depositi primari di kimberlite è stato possibile solo in tempi più recenti e in presenza di infrastrutture capital intensive, dall’altro depositi alluvionali dove possono operare anche piccole imprese minerarie scarsamente equipaggiate.

Figura 4 – Depositi minerari principali e secondari di diamanti in Angola. Come si può notare dalla mappa, sono tutti concentrati nelle regioni nord-orientali di Lunda Nord e Sud.

Le riserve secondarie di diamanti, di età compresa tra 80 e 120 milioni di anni, sono state stimate nel 2000 in 40 milioni di carati nei depositi alluvionali e nelle terrazze nei territori Malange, Uige e più a sud, a Kwanza Sul, Huambo Bié, Kuando Kubango, Moxico Huila e Cunene, con un’estensione che sconfina nella Repubblica Democratica del Congo (DRC).

Dundo, Saurimo, Lunda Norte e Lucapa, nella parte settentrionale della provincia di Lunda, sono il cuore dell’industria dei diamanti alluvionali, un’area altamente delicata, proprio lì dove si è svolta l’attività illecita di estrazione e commercio di diamanti che ha alimentato il decennio della guerra civile in Angola. Questo tratto settentrionale concentra i depositi secondari in un ambiente sociale impoverito dal conflitto civile e caratterizzato per lungo tempo da attività portate avanti da garimpeiros poco organizzati e da non angolani (immigrati principalmente dalla vicina Rep. Dem. del Congo) in cerca di fortuna2. In queste aree complicate la strategia produttiva fino a pochi anni fa non mirava che a continuare lo status quo. I passati governi angolani hanno badato al sodo e hanno trasferito gran parte delle proprie funzioni a società di diamanti private che da allora hanno svolto anche funzioni pubbliche di security, di sanità e persino di protezione dei confini nazionali. Solo più recentemente sono state riassegnate concessioni al settore artigianale e ad aziende estere qualificate, spesso in partnership con ENDIAMA.

Un esempio di questa collaborazione è l’australiana Lucapa Diamond Company che, con il proprio know how più avanzato, ha portato alla produzione di splendidi diamanti nella miniera alluvionale di Lulo, un sito che ospita i diamanti alluvionali con il più alto prezzo per carato al mondo, con 14 gemme grezze che superano i 100 carati (Figure 5-6).

Figura 5 – L’anno successivo al rilascio della concessione ed alla sua inaugurazione Lucapa, società mineraria australiana, ha scoperto nel blocco minerario alluvionale 8 della Miniera di Lulo uno straordinario diamante grezzo, una gemma da 404,2 carati, tipo IIa, colore D. La pietra è il più grande diamante mai trovato in Angola ed è stata venduta a un prezzo record di 16 milioni di dollari (39.580 dollari per carato). (Foto: Lucapa Diamond Company Limited)
Figura 6 – L’anno successivo al rilascio della concessione ed alla sua inaugurazione Lucapa, società mineraria australiana, ha scoperto nel blocco minerario alluvionale 8 della Miniera di Lulo uno straordinario diamante grezzo, una gemma da 404,2 carati, tipo IIa, colore D. La pietra è il più grande diamante mai trovato in Angola ed è stata venduta a un prezzo record di 16 milioni di dollari (39.580 dollari per carato). (Foto: Lucapa Diamond Company Limited)

…e vasti bacini kimberlitici. Il ruolo della russa ALROSA nello stabilimento estrattivo gigante di Catoca

Dall’altro lato in Angola sono stati rilevati oltre 700 camini di kimberlite, dei quali molti hanno una superficie assai ampia. Le kimberliti sono allineate lungo un corridoio tettonico da SO a NE, il Lucapa Trend, che si estende dall’Angola sud occidentale penetrando nel territorio congolese e che comprende come principali aree minerarie i distretti di Mbuji-Mayi, Catoca, Camatchia, Camútuè oltre a quelli che saranno i camini sfruttati in futuro come Tchiuso, Chiri e Mulepe. I camini kimberlitici furono scoperti per la prima volta nel 1952 mentre l’estrazione fu avviata dal 1969, con un andamento produttivo più lento rispetto ai depositi alluvionali già da tempo coltivati, tutti sotto il monopolio de facto di DIAMANG3, vero e proprio braccio coloniale minerario portoghese che operava in collaborazione con il Sudafrica. In joint venture con DIAMANG, De Beers s’è interessata ai diamanti angolani con un programma di esplorazioni durato fino al 1975. Il coinvolgimento di De Beers nel paese ha prodotto rilevazioni accurate del potenziale dei diamanti kimberlitici e si sarebbe protratto ancora e più intensamente se fosse continuato l’accordo con DIAMANG e se la transizione politica tra l’Angola coloniale e quella indipendente fosse stata meno traumatica.

I grandi gruppi estrattivi occidentali non sono intervenuti frequentemente in Angola, principalmente perché una volta reciso l’ordine economico coloniale non si è riusciti ad intravederne chiaramente uno nuovo. La BHP, con sede in Australia, ha limitato il suo raggio di azione all’esplorazione, ma ha ben presto abbandonato l’Angola nel 2007. Nuove operazioni minerarie di De Beers si sono registrare solo dal 2005 al 2012, minate da un’atmosfera poco incoraggiante nel paese. Questa riluttanza delle grandi compagnie minerarie a mettersi in gioco è spiegata dagli indirizzi economici aperti con le prime scelte nei primi tempi postcoloniali che vedevano l’Angola indipendente ampiamente ispirato dal marxismo e di conseguenza da modelli di rigido controllo della gestione dell’economia da parte dell’apparato statale.

In questo contesto nel 1981, sei anni dopo la dichiarazione di indipendenza, la nuova dirigenza dell’Angola ha deciso di gestire la sua industria dei diamanti attraverso la società statale ENDIAMA, divenuta concessionaria esclusiva di tutti i diritti d’estrazione mineraria. La realizzazione principale di ENDIAMA è Catoca, la settima miniera di diamanti più grande al mondo che, con i suoi 6 milioni di carati all’anno, è il vero motore dell’industria dell’Angola e il quarto deposito mondiale di kimberlite per riserve (stimate in 140 milioni di carati).

La storia della miniera di Catoca (Figura 1), attualmente gestita da una joint venture tra ENDIAMA, ALROSA e un partner brasiliano, evoca l’influenza della Russia sull’industria dei diamanti angolani4. L’area di Catoca è stata esplorata, pianificata e messa in produzione tra gli anni ’80 e ’90, nel momento in cui l’URSS ancora esercitava una decisa influenza con politiche di sostegno ai paesi africani. L’impianto fu realizzato da un’impresa specialista nell’estrazione di diamanti, la Yakutalmaz PSA con sede in Russia, più recentemente evolutasi in ALROSA in seguito alle privatizzazioni di Eltsin del 1992. L’insediamento ha richiesto un duro lavoro di costruzione, condotto tra campi minati in un periodo in cui, ancora furoreggiando la lotta tra le fazioni interne, l’intera area doveva esser sorvegliata da paracadutisti ed elicotteri russi. Le operazioni minerarie, iniziate nel 1997, oggi si stanno espandendo a nuovi promettenti giacimenti limitrofi.

Figura 7 – Isabel dos Santos, figlia dell’ex presidente José Eduardo dos Santos, è secondo molti la donna più ricca dell’Africa, con un patrimonio stimato da Forbes in 2,2 miliardi di dollari. Il tribunale angolano ha ordinato il sequestro dei suoi beni e conti bancari come mossa anti-corruzione al fine di recuperare un miliardo di dollari. Anche il suo fratellastro, Josè Filimeno dos Santos, a capo del fondo sovrano da 5 miliardi di dollari, nel 2013 è stato accusato di trasferimento illegale di fondi all’estero. (Foto: Nuno Coimbra/Wikimedia Commons, License CC BY-SA 4.0)

La nuova politica per i diamanti è una dichiarazione di guerra ai privilegi della casta precedente, garantiti da vendite al di sotto dei prezzi di mercato

È evidente che il rinnovato fervore dell’attività dell’industria dei diamanti si è rinfocolato pochi mesi dopo la nomina alla presidenza di Lourenço nel settembre 2017. In quel frangente, dato che il quadro economico nazionale stava precipitando, sembrava chiaro che dovevano esser prese decisioni forti. Nei paesi africani basati sull’esportazione di materie prime come l’Angola, la prima mossa della nuova Presidenza è spesso l’appropriazione del controllo sulla ricchezza mineraria. Così Lourenço ha immediatamente rimosso Isabel dos Santos (Figura 7), figlia dell’ex presidente, dal suo lavoro di manager della gigantesca compagnia petrolifera statale SONANGOL. Forte della sua posizione influente, questa donna ha potuto assemblare un impero di oltre 400 società e filiali in 41 paesi ed è sospettata ed accusata di aver goduto di enormi vantaggi grazie ad accordi privilegiati, prestiti preferenziali e contratti alimentati da denaro pubblico. Non è questa la sede per stabilire se la corruzione fosse appannaggio di un clan ristretto legato al vecchio establishment o piuttosto una piaga ancora lontana dall’essere sradicata nel contesto sociale angolano, come molti osservatori sottolineano in un acceso dibattito che si sta sviluppando nel stampa del paese negli ultimi tempi.

Quello che va notato qui è il fatto che la nuova strategia economica, nel mirare dritto alla riduzione della corruzione attraverso un cambiamento nella gestione delle risorse minerarie, ha posto le basi per stabilire un nuovo clima economico. E i risultati non si sono fatti attendere. In un incontro con il ministro per le risorse naturali e il petrolio, Diamantino Pedro Azevedo, i rappresentanti dell’industria dei diamanti alla fine hanno potuto liberamente esprimere la loro irritazione alla luce di dati sconcertanti. La miniera di Catoca da sola stimava una perdita di 464 milioni di dollari dal 2012 a causa del sistema di commercializzazione imposto dal governo dos Santos che obbligava a vendere la produzione al di sotto dei prezzi internazionali.

Questo improduttivo modello di vendita di diamanti, in vigore dal 2012 al 2016, era basato sui cosiddetti “clienti privilegiati”. Su base annuale veniva consentito a un elenco di imprese selezionate come preferite di poter accedere in modo esclusivo a una percentuale fissa della produzione di diamanti angolani che i dirigenti statali dalla SODIAM mettevano a disposizione a prezzi fino al 24% inferiori a quelli di riferimento registrati nel mercato internazionale.

A seguito di un nuovo decreto del 2018, per correggere questa falla, è stato introdotto un prezzo base di riferimento in modo tale che le transazioni dei diamanti possano aver luogo solo se gli acquirenti offrono più del prezzo di riferimento stabilito o almeno altrettanto. In pochi mesi oltre 120 aziende acquirenti si sono iscritte nel portafoglio clienti centralizzato di SODIAM. Nel frattempo hanno cominciato a manifestarsi evidenti effetti positivi: un aumento delle entrate totali delle vendite e di conseguenza delle entrate fiscali. Inoltre sono stati aperti nuovi stabilimenti per il taglio e la lucidatura, fasi necessarie ad aggiungere valore alla produzione.

Ma lo sconvolgimento del vecchio sistema basato sui privilegi concessi all’entourage del circolo del potere non si ferma qui. La nuova policy ha una necessità fondamentale, quella di guadagnare credibilità sui mercati internazionali. Solo così si può tentare di superare lo scetticismo radicato ormai nei grandi protagonisti dell’estrazione industriale, i cui capitali sono fondamentali per l’Angola se si vuol guadagnare il terreno perduto nella prospezione sistematica dei bacini diamantiferi e della loro valorizzazione.

Per sistemare le cose a casa propria, una buona idea è quella di iniziare ad uscire dall’isolamento e partire da lontano. A tal fine il presidente Lourenço nell’aprile 2018 vola a Mosca per discutere di un maggiore coinvolgimento della Russia in Angola. Due mesi dopo fa una storica visita ad Anversa. La città belga, snodo cruciale del commercio mondiale di diamanti, era stata a lungo sostanzialmente ignorata dal marketing angolano con un misero 1% di gemme smistate. “A causa delle politiche del nostro Paese – ha affermato in Belgio il nuovo presidente – non siamo stati in grado di beneficiare adeguatamente delle nostre risorse di diamanti. Abbiamo una grande responsabilità. È ora di invertire lo status quo”. A questo punto era necessario un ulteriore provvedimento per razionalizzare i canali di vendita e si è deciso di lasciare libere le società minerarie di diamanti con sede in Angola di poter vendere direttamente fino al 60% della loro produzione, con SODIAM che funge da canale esclusivo solo per le vendite a contratto.

La definitiva apertura ai mercati globali è segnata dal DPR n. 143/20, del 26 maggio 2020. ENDIAM non è più l’unico concessionario nazionale per l’estrazione di diamanti e il suo ruolo viene ad essere concentrato principalmente all’attività mineraria. SODIAM, piuttosto che agire come monopolista pubblico delle operazioni di marketing delle gemme, è chiamato a garantire l’attuazione di un nuovo progetto di marketing dei diamanti incentrato sul nuovo ruolo dell’Angolan Diamond Exchange (Figura 8).

Figura 8 – Skyline di Luanda, capitale dell’Angola, nel 2015. L’Angolan Diamond Bourse (ADB) dovrebbe diventare la prima borsa africana dopo quella sudafricana. SODIAM ha nominato come consulente Peter Meeus, un veterano del settore e amministratore delegato di HRD dal 1999 al 2005, che ha già supervisionato la creazione di Dubai Diamond Exchange e sta agendo come consulente per il progetto. Meeus ha anche presentato nel febbraio 2020 un’offerta per assumere il controllo di HRD. (Foto: David Stanley/Wikimedia Commons, License CC BY 2.0)

Conclusione. I diamanti ci raccontano molto dell’Angola

Forse anche più del petrolio, i diamanti angolani mostrano in trasparenza molti aspetti che tipicamente caratterizzano non solo questo paese ma molti altri paesi africani attanagliati dall’impossibilità di basare il proprio sviluppo su più risorse diversificate e costretti a fare affidamento solo sulla propria ricchezza mineraria. I diamanti angolani, inizialmente e prima di tutto, sono un’eredità diretta di un classico modello di sfruttamento coloniale incentrato sulla monocoltura, lo sfruttamento specializzato di materie prime. Una volta raggiunta l’indipendenza, i diamanti sono stati utilizzati come una sorta di valuta parallela per divenire poi negli anni ’90, per le fazioni combattenti, la principale fonte finanziaria per approvvigionarsi di armi e per pagare i propri eserciti.

In un tale contesto i diamanti angolani si sono trasformati nel paradigma internazionale di irresponsabilità mineraria, un sinonimo di approvvigionamento di pietre preziose legalmente inaccettabile. L’Angola, anche in seguito all’applicazione delle norme del Kimberley Process, ha fatto registrare la stessa brutalità riscontata in altri paesi africani dotati di depositi alluvionali di diamanti. La mancanza di regolamentazione ha attirato migliaia di piccoli minatori, tra cui molti dai paesi vicini, in condizioni di instabilità, soprusi e violenza. Non è un caso, inoltre, che il giornalista che per primo ha denunciato abusi e corruzione all’interno di un paese africano sia stato l’angolano Rafael Marques de Morais (Figura 9). Egli ha attirato l’attenzione internazionale sul fatto che lo sfruttamento dei diamanti angolani stava più avvantaggiando un’élite militare piuttosto che sostenere la crescita dell’economia interna.

Figura 9 – Il libro “Blood Diamonds: Corruption and Torture in Angola”, pubblicato nel 2011 dal famoso giornalista angolano Rafael Marques de Morais, ha denunciato violazioni dei diritti umani nell’industria dei diamanti in Angola e il coinvolgimento di esponenti di spicco in ambito militare. Ciò gli ha procurato un estenuante processo oltre ad un periodo di detenzione. Il testo, che denunciava gli interessi di quel paese nell’industria dei diamanti dell’Angola, è poi diventato un best seller in Portogallo. (Foto: Martin Dee/Wikimedia Commons, License CC BY-SA 4.0)

Tanto il petrolio che i diamanti sono stati a lungo funzionali al mantenimento di un regime centralizzato che ha prolungato la strategia post coloniale. Questo establishment ha esercitato un controllo statale diretto sulle funzioni dell’estrazione e della distribuzione. Tale governance centralizzata e monopolistica è stata incoraggiata dal primo sponsor economico dell’Angola indipendente, l’URSS, e ha resistito alla dissoluzione dell’impero sovietico con uno scopo diverso, quello di garantire i privilegi e gli interessi di una leadership basata sulla famiglia dell’ex presidente dos Santos e il suo entourage.

Per avviare la coltivazione delle ricchissime riserve di diamanti, il presidente Lourenço deve necessariamente uscire dall’isolamento e far guadagnare credibilità all’industria diamantifera nazionale. In questo quadro va inserita la serie di profonde riforme che si stanno realizzando allo scopo di dialogare con i mercati internazionali e non più con pochi partner privilegiati. Le grandi riserve di gemme hanno bisogno di grandi investimenti. Nel nuovo scacchiere angolano interverranno probabilmente altri protagonisti dell’industria mineraria, ma difficilmente questi intaccheranno il primato e l’espansione della joint venture russo-angolana, storicamente consolidata, diretta da ALROSA.

Note:

1 Assieme a KGK è stato aperto uno stabilimento per taglio e lucidatura dal valore 5 milioni di dollari a Luanda, mentre è allo studio uno stabilimento per il taglio dei diamanti da 10 milioni di dollari a Lucapa, nella provincia di Lunda Norte.

2 Il confine Angola–Repubblica Democratica del Congo è lungo circa 2500 km. Nel 2004, l’Angola ha ospitato più di 500.000 congolesi, un buon numero dei quali lavorava illegalmente nelle miniere di diamanti nella provincia di Lunda Norte.

3 DIAMANG ha scoperto e sviluppato i depositi di diamanti dell’Angola fino al 1971 per un periodo lungo sessant’anni, lasciando ricordi e documenti molto interessanti che testimoniano i tempi pionieristici dello sfruttamento dei diamanti nel mondo.

4 La miniera di Catoca possiede riserve stimate a 120 milioni di carati ed è la più grande iniziativa mineraria di ALROSA al di fuori della Russia. Uno dei primi passi del presidente João Lourenço è stato quello di dare ad ALROSA un’ulteriore quota dell’8,2% (del valore di 70 milioni di dollari) nella miniera di Catoca. Questo accordo può essere considerato come un passo compiuto per garantire gli interessi russi nel momento in cui venivano attuate le riforme che coinvolgevano il mercato internazionale nel suo insieme.

Referenze di lettura:

Articolo di Paolo Minieri, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 11, Inverno 2020-21

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