venerdì, Aprile 26, 2024
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Casi pratici di trattamento del Corallo. Identificazione e corretta terminologia

La gemmologia naviga sul sottile confine tra lo studio sistematico delle gemme e il marketing. Il gemmologo, infatti, attraverso delle linee guida prestabilite è responsabile della determinazione di alcuni parametri che incidono drasticamente sul valore delle gemme: identificare, stabilire l’origine, cercare indizi di eventuali manipolazioni da parte dell’uomo. Successivamente a tali indagini, gli operatori del settore potranno agevolmente valutare il materiale in questione. Fiumi d’inchiostro sono stati utilizzati per descrivere informazioni e finanche dettagli di quasi tutte le pietre, anche quelle commercialmente meno appetibili. Tale materiale, corredato da un’infinità di foto con particolari delle inclusioni, è talmente accurato ed abbondante da fornire una quantità di informazioni che aiutano a stilare un certificato attendibile.

Laccio realizzato per la Regina Maria Josè di Savoia, composto da sfere di Corallo Sciacca infilate secondo la tecnica della “tessitura”, molto in voga in Italia nel periodo tra le due guerre mondiali. Da notare, oltre alla meticolosa attenzione prestata per allineare le sfere di corallo, anche la minuziosa e gradevole scala cromatica. Il colore dei pallini varia dal rosa pallido all’arancio intenso. (Napoli, “Museo del Corallo”)

Deficit di metodologie per identificare e certificare le gemme organiche

La gemmologia comprende lo studio oltre che del materiale inorganico anche di quello organico e la trattazione di quest’ultimo, già in sede formativa, da parte dei vari istituti è abbastanza carente, o quanto meno non altrettanto approfondita quanto quella dedicata ad altre gemme. A parte le perle, le cui informazioni da raccogliere per il gemmologo sono abbastanza esaustive, sugli altri materiali organici non sempre è possibile informarsi su come identificarli e certificarli. E’ il caso del corallo. Negli ultimi anni l’aumento vertiginoso dei prezzi “dell’oro rosso” sta portando sempre più clienti a richiedere un certificato gemmologico che garantisca l’acquisto. Una dichiarazione esatta sulla natura dei materiali organici si rende obbligatoria in alcuni paesi come gli Stati Uniti, dove le limitazioni al commercio di specie protette dal “CITES” possono creare non pochi problemi alla libera circolazione e alla vendita di oggetti contenenti coralli, specie simili nell’aspetto ad alcune inserite nella lista per la tutela ambientale. Il CIBJO nel 2015 ha redatto per tale scopo il “Coral book”1 fornendo ottime indicazioni sulla terminologia e la corretta applicazione delle norme per la classificazione del corallo.

Ma ciò è sufficiente? A quali problematiche va incontro un comune professionista che cerca di fare il proprio mestiere in modo oggettivo e soddisfacente? Per il proprio lavoro il gemmologo non può essere esauriente se il raggio investigativo, oltre all’indagine microscopica, non è supportato da dati strumentali – come la spettrofotometria – che diano un riscontro tangibile, affidabile e diagnostico. E questo non può essere oggettivo se non esistono parametri da seguire nella diagnosi e una terminologia riconosciuta da tutti e/o comunemente in uso nel commercio. Di seguito sono state raccolte quattro esperienze di laboratorio per l’analisi e la valutazione, con l’unico scopo di iniziare una discussione e un confronto propositivo per migliorare il lavoro dei gemmologi alle prese con le gemme organiche. Quale strumentazione è più idonea ed attendibile per l’analisi? Quali dati potrebbero essere fuorvianti per l’analista? Quali difficoltà potrebbe incontrare il gemmologo nell’osservazione? Come base di partenza, per avere a disposizione un database attendibile, sono stati sottoposti ad analisi microscopica e spettrometrica utilizzando il Gemmoraman 532 della MAGI Instruments, 180 elementi tagliati e lucidati2 delle seguenti specie: “Corallium Rubrum” Sardegna, “Corallium Rubrum” Sciacca, “Paracorallium japonicum” Aka, “Corallium Elatius” Cerasuolo, “Corallium Elatius” Bokè, “Corallium Secundum” Midway, “Corallium sp” Deep sea, “Corallium sulcatum” Misu.

Primo caso: Corallium Rubrum. Descrizione delle procedure di riempimento

Sono abbastanza frequenti le richieste di certificazione di “Corallium Rubrum”, specie commercialmente conosciuta come “Sardegna” o più comunemente “Mediterraneo”, tra i coralli più richiesti e di conseguenza uno di quelli che ha subito un innalzamento più significativo delle quotazioni nell’ultimo decennio. Analizzato con la spettrometria Raman il “Rubrum” mostra i suoi picchi più importanti intorno a 1520 cm-1 e 1132 cm-1 oltre quelli a 1297 cm-1 e 1020 cm-1 (Figura SP1). Ma in sede di rilevazione delle alterazioni e dei trattamenti nonché su come certificarli persiste un po’ di confusione. Per cercare di dare qualche indicazione più precisa abbiamo sottoposto due sfere di 5mm a diverse “fasi” di lavorazione utilizzate comunemente dai tagliatori per migliorarne l’apparenza e l’attrattiva per il consumatore finale. In primis dopo la lucidatura i due pallini sono stati “oleati”, l’olio accentua leggermente il lustro ma non “copre” i difetti superficiali (Figura 1), anzi li mette lievemente in rilievo, migliora quindi la rifrazione della luce della superficie liscia, ai danni di quella con difetti, le cosiddette caniature3 (Figura 2).

Fig. 1 – Sfere di corallo esenti da trattamento, in superficie sono presenti diverse irregolarità.
Fig. 2 – Sfere di corallo esenti da trattamento, in superficie sono presenti diverse irregolarità.

Successivamente gli stessi pallini sono stati trattati con della cera, allo scopo di ridurre le irregolarità più superficiali, come piccolissime crepe e fori poco profondi. Il processo non impedisce che l’osservatore noti con nettezza i difetti più consistenti nelle cavità profonde (Figure 3 e 4). L’ultima manipolazione osservata consiste nell’utilizzo di un riempiente composto da sostanze cerose di diversa natura, addizionate a cementi vetro inomerici, con la possibile aggiunta di pigmenti colorati. Questo procedimento, chiamato in gergo “stuccatura” o “stucchiatura”, è un metodo molto più “invasivo”; infatti, come si può osservare dalle foto (Figure 5 e 6), molti fori sono completamente otturati ed anche imperfezioni molto significative appaiono occultate (Figure 7 e 8). Gli spettri rilevati nelle zone impregnate non presentano picchi con particolari variazioni rispetto a quelli senza “stucco” (Figura SP2). Tutti questi trattamenti non sono durevoli, il processo utilizzato è reversibile e nel tempo i difetti tornano ad essere visibili. Come definirli? Il Coral Book considera l’otturazione di piccole fessure con cera come alterazione che richiede sì informazioni specifiche senza però che incorra l’obbligo di definirlo “trattato”. Ma anche se il riempiente consiste in cera incolore tale obbligo è ineludibile qualora la superficie coperta sia rilevante come nel caso di fratture e cavità. Poco importa che il riempiente si scorga facilmente ad occhio nudo e che il risultato del trattamento non sia esteticamente efficace nell’intento ingannevole.

Fig. 3 – Le stesse sfere dopo il trattamento con cera, le cavità più profonde sono ancora facilmente visibili, alcune imperfezioni superficiali sono state parzialmente occultate.
Fig. 4 – Le stesse sfere dopo il trattamento con cera, le cavità più profonde sono ancora facilmente visibili, alcune imperfezioni superficiali sono state parzialmente occultate.
Fig. 5 – Dopo aver subito un ulteriore trattamento con dei collanti colorati, “Stucco”, molti difetti sono stati completamente nascosti o visibili con più difficoltà.
Fig. 6 – Dopo aver subito un ulteriore trattamento con dei collanti colorati, “Stucco”, molti difetti sono stati completamente nascosti o visibili con più difficoltà.
Fig. 7 – Dopo aver subito un ulteriore trattamento con dei collanti colorati, “Stucco”, molti difetti sono stati completamente nascosti o visibili con più difficoltà.
Fig. 8 – Dopo aver subito un ulteriore trattamento con dei collanti colorati, “Stucco”, molti difetti sono stati completamente nascosti o visibili con più difficoltà.
Fig. SP1 – Tipico spettro Raman del Corallium Rubrum: notare i picchi principali a 1518 cm-1 e 1129 cm-1 oltre a quelli più piccoli a 1298 cm-1 e 1016 cm-1.
Fig. SP2 – Spettro Raman di un pallino i cui fori sono stati otturati da “stucco” (in blu), i picchi principali sono identici a quello privo di trattamento (in rosso). Osservare la banda causata dalla luminescenza, generata dal materiale usato per stuccare.

Secondo caso: Coating, rivestimento superficiale

Con il corallo le insidie per il riconoscimento e per la terminologia usata per una esatta rivelazione dei trattamenti non finiscono con quelle descritte poc’anzi. Non è difficile che l’analista si imbatta in collane dall’aspetto molto simile a corallo rosso del Mediterraneo, d’apparenza omogenea e gradevole, come il filo analizzato presso il nostro laboratorio di 287 g (Figura 9), composto da elementi a scalare di forma a barilotto faccettato. L’effetto finale è molto ingannevole (Figura 10), ma se si osserva con attenzione ogni elemento è possibile riscontrare alcune discordanze (Figura 11). L’osservazione microscopica della superficie rivela aspetti differenti da come si presenta un corallo naturale (Figura 12). Lo spettro ottenuto lascia pensare inequivocabilmente ad un rivestimento (Figure SP3.1 e SP3.2) poiché è rapportabile a quello di una resina, anche se in determinati punti il cui rivestimento non è abbastanza spesso gli spettri Raman rilevati mostrano alcuni picchi diagnostici tipici del Corallium Rubrum (Figura SP3.3). Anche il peso specifico è nettamente inferiore a quello di un comune corallo. Inoltre se consumato con un qualsiasi utensile si può notare che l’odore emanato dalla copertura è molto simile a quello di una plastica bruciata.

Fig. 9 – Collana in corallo”rivestito” analizzata presso il laboratorio Gem-Tech.
Fig. 10 – Elemento in corallo “rivestito”, in apparenza molto simile al corallo naturale.
Fig. 11 – Stesso elemento fotografato lateralmente, osservare la differenza cromatica del corallo con il collante.
Fig. 12 – Superficie dell’elemento in corallo “rivestito”, si osservi, oltre al colore omogeneo, una lucentezza e una consistenza molto simile alla plastica.
Fig. SP3.1 – Spettri Raman rilevati sulla parte dell’elemento di corallo “rivestito” occupato dalla resina colorata.
Fig. SP3.2 – Spettri Raman rilevati sulla parte dell’elemento di corallo “rivestito” occupato dalla resina colorata.
Fig. SP3.3 – Spettri Raman rilevati nella parte impregnata e paragonati a quello del corallo (in nero), notare la presenza di alcuni picchi diagnostici.

Di cosa si tratta?

Partendo da un grezzo molto spugnoso di corallo naturale (Figura 13), pieno di profonde cavità, con differenze di colore molto evidenti (Figura 14) e spesso con delle macchie scure in superficie (quasi inutilizzabile commercialmente), si applica una colata di una sostanza cerosa molto densa, colorata ad arte (Figura 15) per fare in modo che si mimetizzi perfettamente con la base naturale (Figura 16). Questa, come evidenziato dallo spettro, risulta essere costituita da Corallium Rubrum (Figura SP4). Quindi si tratta di corallo di origine naturale, ma in questo caso il Coral Book impone che lo si definisca “trattato” con rivestimento4 poiché la modifica del colore ne cambia completamente l’aspetto.

Fig. 13 – Elementi di Corallo (Corallium Rubrum) prima di essere sottoposti al “rivestimento”. Osservare la superficie con profonde cavità e con evidenti differenze di colore.
Fig. 14 – Elementi di Corallo (Corallium Rubrum) prima di essere sottoposti al “rivestimento”. Osservare la superficie con profonde cavità e con evidenti differenze di colore.
Fig. 15 – Elemento di corallo “rivestito” segato per osservare le due parti che lo compongono, Corallium Rubrum e resina colorata.
Fig. 16 – Elemento di corallo “rivestito” segato per osservare le due parti che lo compongono, Corallium Rubrum e resina colorata.
Fig. SP4 – Spettro Raman rilevato sulla parte dell’elemento di corallo “rivestito” occupato dal corallo naturale di tipo “Corallium Rubrum”.

Una scala di riferimento per graduare l’intensità del riempimento

Dal 2015 esiste dunque, come si è visto dagli esempi, un dispositivo che norma la correttezza della terminologia per la giusta rivelazione delle caratteristiche del corallo. A questa il gemmologo può far riferimento a seconda dell’alterazione a cui è stata sottoposta la gemma; in tal modo la comunicazione tra l’analista e il cliente potrà essere trasparente. In alto abbiamo approntato uno specchietto riassuntivo dei casi sopra descritti, riportando alla lettera la terminologia imposta dal CIBJO. Per rendere facile da apprendere sono stati accostati questi trattamenti a quelli più familiari, per la maggioranza dei gemmologi, del corindone varietà rubino (Tabella 1).

Tab. 1

Questo confronto, puramente indicativo, può sembrare a prima vista azzardato e poco attinente. Esso però non deve essere letto come paragone su medesime caratteristiche, ma solo come un semplice esempio utile per evidenziare il livello crescente di invasività dei riempimenti. Come avviene con il rubino anche con il corallo il valore della gemma cambia in base al trattamento ricevuto ed ad ogni fase questo subisce una notevole variazione di prezzo: nell’ultimo caso “colatura con resina-cerosa” le quotazioni sono ridicole. Molti operatori non sono abituati a valutare l’impatto crescente dell’alterazione sulla valutazione dei coralli, allo stesso modo in cui invece si fa, molto più frequentemente, con i rubini.

Uno degli scopi di questo articolo è, tra l’altro, quello di fare in modo che non si ripeta ciò che è avvenuto con il rubino sottoposto a riempimento invasivo di vetro piombo. Il gemmologo più disinvolto infatti, dopo averlo diagnosticato come “corindone naturale varietà Rubino”, inseriva nelle osservazioni un equivoco “effetto flash” per sentirsi esentato da responsabilità. Anche se il Coral Book parla d’impregnazione con plastiche, o sostanze similari, una definizione specifica ed inequivocabile renderebbe il certificato più facile da interpretarsi.

Fig. 17 – Splendido filo a scalare di corallo del Pacifico di colore simile al “Pelle d’Angelo” analizzato presso il laboratorio Gem-Tech.

Terzo caso. Si può definire un corallo “Pelle d’Angelo”? Se sì, con quali criteri?

Un caso alquanto spinoso è emerso con l’analisi di un filo di corallo rosa, ritenuto (dal cliente) di qualità “Pelle d’Angelo”. Si trattava di uno splendido filo a scalare con pallini sferici e lisci dal peso complessivo di 98,36 grammi (Figura 17); le dimensioni dei pallini variavano dai 13,82 mm ai 6,67 mm, il colore si presentava di un rosa tenue appena maculato con delle sfumature di un rosa più carico, che in alcuni pallini variava andando verso un arancio molto tenue. Tutte le rilevazioni spettrometriche effettuate in fotoluminescenza, non davano indicazioni precise sulla provenienza (Figure SP5.1 e SP5.2), in quanto ogni pallino esibiva spettri simili ma non uguali, caratterizzati da una forte luminescenza che ne ostacolava la lettura, consentendola solo in tempi molto lunghi. Anche l’osservazione al microscopio non forniva aiuti rilevando solo alcune imperfezioni (piccoli fori e piccole crepe) ma anche l’assoluta assenza di trattamenti superficiali. Seguendo le indicazioni del Coral Blue Book si deve prendere atto che “il corallo Pelle d’Angelo” è del tipo Corallium Elatius commercialmente chiamato “Bokè”. In realtà questo presenta un aspetto molto simile al corallo “Misu” e al “Deep Sea”. Spesso i pallini più omogenei di queste due specie, più comuni e quindi commercialmente più economiche, si trovano sapientemente miscelati al Bokè e spacciati per tale. Al cliente avrebbe fatto molto piacere che in sede di certificazione si fosse potuto utilizzare il termine “Pelle d’Angelo”, ma si è dovuto accontentare di un attributo più generico, “Corallo del Pacifico”5. Infatti considerando la diversità delle imperfezioni cromatiche dei pallini e degli spettri rilevati non si è potuto stabilire, su tutte le sfere, con assoluta certezza, la zona di pesca e la specie.

Ma nel caso di un filo omogeneo di corallo Bokè, il gemmologo avrebbe potuto determinare che effettivamente si trattava di Pelle d’Angelo? Anche in questo caso il “Blue Book” è molto chiaro: in sede di report scritti è d’obbligo identificare il genere “Corallium” o “Paracorallium” ecc, ove è possibile precisarne la specie (Elatius, Rubrum, ecc.). Ma, non essendo stati precisati i parametri di identificazione scientifica del termine “Pelle d’Angelo”, al momento non ci sono i presupposti per stabilire la qualità che possa essere definita tale.

Le denominazioni commerciali sono importanti anche per il corallo: al momento il Coral Book certo non le disconosce, ma impone – un po’ genericamente – che vengano in ogni caso sottoposte al CIBJO per un’eventuale convalida. Il caso del “Pelle d’angelo” si può paragonare dunque a ciò che sta avvenendo per i corindoni, con l’utilizzo di attributi qualitativi quali “Sangue di piccione” per i rubini o “Royal Blue” per alcuni zaffiri. Finché non si stabilirà, in una sede riconosciuta, quali siano i parametri (cromatrici e chimici) nel quale rientri l’attributo “Pelle d’angelo” non si potrà utilizzare tale nomenclatura per le certificazioni gemmologiche.

Fig. SP5.1 – Alcuni Spettri Raman rilevati su diverse sfere della collana di corallo rosa analizzata presso il laboratorio Gem-Tech.
Fig. SP5.2 – Alcuni Spettri Raman rilevati su diverse sfere della collana di corallo rosa analizzata presso il laboratorio Gem-Tech.

Quarto caso: Il mistero del corallo fossile, lo “Sciacca”

Dulcis in fundo, ultima problematica affrontata che proponiamo in questo articolo è l’analisi di un filo tessito (Figura 18) dal peso complessivo di 140,40 g, composto da pallini semisferici dal diametro compreso tra 3,00 mm a 3,50 mm di corallo color salmone tendente in alcune zone al bruno chiaro. Dall’osservazione al microscopio si notavano che alcune delle differenze di colore sopraelencate sembravano delle lievi “bruciature” (Figure 19 e 20), presenti più nelle cavità e nei difetti superficiali piuttosto che sulla parte liscia e levigata (Figura 21). Si presume che queste “bruciature” siano precedenti alla fase di taglio.

Fig. 18 – Filo Corallo “Sciacca” tessito, analizzato presso il laboratorio Gem-Tech.
Fig. 19 – Evidente “bruciatura” della superficie di un pallino di corallo Sciacca, causato dall’azione dei batteri.
Fig. 20 – Differenze cromatiche della superficie di un pallino di corallo Sciacca, il colore varia dall’arancio al bruno, molto evidenti alcune imperfezioni superficiali e macchie di colore nero “bruciature”.
Fig. 21 – Profonda cavità in un pallino di corallo Sciacca, i batteri hanno deteriorato l’esoscheletro, il processo di taglio e lucidatura non ha eliminato le imperfezioni.

Sottoposto alle indagini di spettrofotometria Raman, il materiale ha fornito spettri che, analizzati (Figura SP6), si configuravano più simili a quelli del “Corallium Rubrum” che a quelli del corallo di provenienza del Pacifico. Il colore leggermente aranciato poteva in apparenza far pensare ad un “Corallium Elatius” (Cerasuolo), ma la strumentazione e l’osservazione al microscopio delle caratteristiche superficiali smentiscono tale ipotesi. Tutte le indicazioni portano ad una sola strada da percorrere: diagnosi di corallo “Sciacca”. Consultando il manuale del CIBJO tale nomenclatura non è menzionata, quindi ufficialmente non utilizzabile.

Il corallo “Sciacca” è un esoscheletro di celenterati, i cui depositi erano concentrati intorno a 3 banchi principali nei pressi della fantomatica isola Ferdinandea. Fu intensivamente pescato dal 1875 al 1887 e nel 1915 i depositi furono dichiarati totalmente esauriti. Lo Sciacca, quindi è un corallo fossile dal colore tipico arancio-salmone che può presentare macchie dal colore giallo, al marrone-bruno fino al nero. Caratteristica è la presenza di zone brunite simili a bruciature probabilmente causate dell’azione ossidante di alcuni batteri che negli anni hanno attaccato le componenti ferrose del corallo. La pesca di tale corallo ha portato in superficie tonnellate di grezzo. Oggi è ritenuto raro e conseguentemente caro. Le quotazioni arrivano a livelli molto elevati soprattutto per i calibri di una certa grandezza (per la tipica formazione dei banchi, i rami di Sciacca sono particolarmente sottili e difficilmente superano i 7mm, rarissimi quelli da 9/10 mm di diametro). Come descriverlo in certificazione? La specie, indicata anche dallo spettro, è inequivocabilmente Corallium Rubrum, ma la struttura chimica evidenzia un processo di fossilizzazione o di subfossilizzazione che va indicato anche per rendere giustizia alla specificità della gemma. Questa può inoltre essere legittimamente confermata dall’indicazione geografica che, essendo incontrovertibile, non rappresenta un’opinione soggettiva ma una connotazione certa. Tutti questi sono spunti che il CIBJO dovrà considerare per provvedere ad integrare la classificazione del corallo e renderla completa inserendo il trascurato e sottovalutato Sciacca.

Fig. SP6 – Tipico Spettro Raman del “Corallium Rubrum” rilevato su di un pallino di corallo componente il filo tessito di “Sciacca” analizzato.

Conclusione

Il lavoro svolto dal CIBJO è un ottimo inizio per dare un certo ordine al confuso mondo del corallo, ma non può fornire sempre risposte a tutti i quesiti che sorgono nelle fasi di identificazione e di classificazione. Non basta stabilire la nomenclatura della specie e classificarne alterazioni e trattamenti. È necessario fissare il metodo di analisi e raccogliere più dati strumentali possibili per arricchire il bagaglio di conoscenze da cui si possa attingere informazioni.

L’appetito vien mangiando, il mercato spinge per avere più informazioni e più certezze per la definizione e l’identificazione dei vari coralli soprattutto quando il valore, dopo anni di impennate dei prezzi, oramai gareggia con quello delle gemme più costose. La Rivista Italiana di Gemmologia vuole proporsi come punto di raccordo tra enti, laboratori accreditati e studiosi che condividano l’intento di riunire gli studi e le conoscenze affinché il corallo non sia più ritenuto un misterioso oggetto gemmologico e si possano definirne compiutamente i parametri qualitativi.

Collana in oro prodotta in Italia nell’inizio del XX secolo. Il raro manufatto è impreziosito da 7 pendenti sormontati da 7 cabochon rotondi di rarissimo Corallo Bokè di colore rosa intenso ed omogeneo, straordinariamente compatto. Tale sfumatura di colore è da ritenersi ideale per la classificazione “Pelle d’Angelo”. (Museo Ascione del corallo. Foto: Massimo Vicinanza)

Note

1 Il Presidente della Commissione preposta all’elaborazione del testo, Vincenzo Liverino, durante il Congresso del CIBJO tenutosi a Yerevan in Armenia a ottobre del 2016, ha annunciato un’ulteriore implementazione del Coral Book. Il testo infatti fornisce indicazioni generali ma non sempre entra nel merito delle specie. Si prevede, tra l’altro, di produrre in un prossimo futuro un’altra pubblicazione interamente dedicata alla classificazione.
2 Nel ramo commerciale non esiste un protocollo di catalogazione che garantisca l’area ed il periodo di pesca. L’autore ringrazia dunque alcune aziende storiche specializzate nel taglio e nel commercio di corallo (Collaro Salvatore, Casa Ascione, Vincenzo Pompilio) che hanno cortesemente messo a disposizione il materiale.
3 La terminologia descrittiva delle forme di taglio, di alcune caratteristiche e di alcuni trattamenti del corallo si basa molto spesso sulla variante torrese del dialetto napoletano. Nella fattispecie caniatura o cariatura indica una crepa, una fessurazione. Si può rendere in inglese con il termine crevice.
4 Al termine corallo “trattato” non si potrà mai associare l’attributo “naturale”.
5 L’indicazione dell’origine geografica esprime comunque, per il Blue Book, un’opinione soggettiva dell’analista.

Bibliografia

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Bussoletti, E., D. Cottingham, A. Bruckner, G. Roberts, and R. Sandulli (editors) – “Proceedings of the International Workshop on Red Coral Science, Management, and Trade: Lessons from the Mediterranean”, NOAA Technical Memorandum CRCP-13, Silver Spring, MD 233 pp, 2010.
Di Geronimo I., Rosso A., Sanfilippo R. 1993. I banchi fossiliferi di Corallium rubrum al largo di Sciacca (Canale di Sicilia). In: Cicogna F. & Cattaneo-Vietti R. (Eds) Il corallo rosso in Mediterraneo: Arte, Storia e Scienza, Ministero Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, Roma: 75-107.
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Karampelas S., Fritsch E., Rondeau B., Andouche A. and Métivier B. – “Identification of the Endangered Pink-to-Red Stylaster Corals by Raman Spectroscopy”, Gems & Gemology, Vol. 45, No. 1, pp. 48-52, 2009.
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A cura di Francesco Sequino, pubblicato su Rivista Italiana di Gemmologia n. 2, Settembre 2017.

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