sabato, Aprile 27, 2024
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Storici della Scienza e mineralisti indagano una sorprendente scoperta fatta nella Cappella Sansevero: Raimondo di Sangro aveva elaborato la sintesi del lapislazzuli molto prima della scoperta ufficiale

A Napoli, all’epoca terza città più grande d’Europa, capitale assoluta della musica, culla dell’illuminismo e degli studi di economia politica, il Settecento si manifestò come un grande laboratorio di idee che culminarono negli studi di intellettuali del calibro di Giambattista Vico, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri.

Ma il Settecento fu anche il secolo delle rivoluzioni nella politica e nelle tecniche agricole e tessili, e del definitivo sviluppo della ricerca scientifica. La figura di Raimondo di Sangro VII, principe di Sansevero continua a suscitare interesse e fascinazione perché si situa in una faglia in cui i suoi privilegi nobiliari, il suo ruolo nella massoneria, la sua fedeltà all’assolutismo monarchico contrastano con il nuovo pensiero sociale, la spinta all’egualitarismo, il primato della ragione. Tutti fattori che inevitabilmente sfoceranno nella fondazione del metodo scientifico moderno.

Il Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro VII
Il Principe di Sansevero, Raimondo di Sangro VII. (Foto: Wikimedia Commons, Pubblico dominio)

Quello che stupisce del Principe di Sansevero è che se pure attinge dal suo tempo stimoli e suggestioni, lo fa per però in un suo percorso originale: ha una formazione enciclopedica, le sue sono le sperimentazioni alchemico-massoniche d’un eclettico che nella scienza intravede non un metodo da condividere bensì un’esperienza esoterica, la possibilità di aprirsi alla meraviglia. È affascinato dal tema della rinascita e della palingenesi, dal confine tra vita e morte.

Raimondo non tralasciava nessun ramo dello scibile: macchine idrauliche, pirotecnica, carta ignifuga, sistemi per dissalare e rendere potabile l’acqua di mare, impermeabilizzazione dei tessuti. La Cappella Sansevero stessa, con la sua ricca simbologia e le opere d’arte (il Cristo Velato, capolavoro di Giuseppe Sanmartino; la Cavea sotterranea, con le famosissime Macchine anatomiche) che il principe vi volle installare, diventa un palcoscenico per le sue straordinarie invenzioni.

Altare maggiore, Museo Cappella Sansevero
Altare maggiore, Museo Cappella Sansevero. (Foto: Raffaele Aquilante e Alessandro Scarano, Archivio Museo Cappella Sansevero, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

Ora però, proprio dalla cornice intorno all’altorilievo soprastante l’altare maggiore della celebre Cappella, sappiamo qualcosa di più. Non si tratta di lapislazzuli, gemma costosissima a quel tempo, ma di un suo componente minerale, la lazurite.

Particolare della cornice dell’Altare Maggiore, Museo Cappella Sansevero
Particolare della cornice dell’Altare Maggiore, Museo Cappella Sansevero. (Foto: Giuseppe Paolisso/Rive Studio, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

Il Principe Raimondo di Sangro entra nella storia della gemmologia poiché dalla lazurite riuscì a creare pietre preziose artificiali e pigmenti. E ciò ben prima delle sintesi dell’oltremare, il costosissimo pigmento blu ottenuto in natura dal lapislazzuli, pubblicate dal chimico Jean-Baptiste Guimet nel 1828.

La presentazione al Museo Cappella Sansevero. Da sinistra: Alessandro Monno, Andrea Maraschi, Maria Alessandra Masucci, Francesco Paolo de Ceglia, Gioacchino Tempesta
La presentazione al Museo Cappella Sansevero. Da sinistra: Alessandro Monno, Andrea Maraschi, Maria Alessandra Masucci, Francesco Paolo de Ceglia, Gioacchino Tempesta. (Foto: Giuseppe Paolisso/Rive Studio, courtesy of Museo Cappella Sansevero).

A dimostrarlo è uno studio approfondito, presentato il 5 marzo 2024 al Museo Cappella Sansevero dalla direttrice Maria Alessandra Masucci e condotto dall’équipe dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, guidata da Francesco Paolo de Ceglia insieme a Alessandro Monno e Gioacchino Tempesta del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali e ad Andrea Maraschi del Centro Interuniversitario di Ricerca “Seminario di Storia della Scienza”.

La locandina dell’evento al Museo Cappella Sansevero
La locandina dell’evento. (Foto: Museo Cappella Sansevero)

Nel corso delle indagini in loco, gli studiosi hanno inoltre rilevato l’insolito uso di fluorite con fluorescenza blu come materiale scultoreo, in particolare per i cuscini delle statue di Sant’Oderisio (Francesco Queirolo, 1756) e Santa Rosalia (Francesco Queirolo, 1756).

Statua di Sant’Oderisio.
Statua di Sant’Oderisio. (Foto: Raffaele Aquilante e Alessandro Scarano, Archivio Museo Cappella Sansevero, courtesy of Museo Cappella Sansevero)
Particolare della statua di Sant’Oderisio. Il cuscino è in fluorite e presenta fluerescenza blu
Particolare della statua di Sant’Oderisio. Il cuscino è in fluorite e presenta fluerescenza blu. (Foto: Raffaele Aquilante e Alessandro Scarano, Archivio Museo Cappella Sansevero, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

I risultati degli studi saranno resi noti nei dettagli dal 6 marzo nell’articolo “In search of the Phoenix in eighteenth century Naples. Raimondo di Sangro, nature mimesis and the production of counterfeit stones between palingenesis, alchemy, art and economy”, in uscita online in Open Access sul nuovo numero della rivista scientifica Nuncius. Journal of the Material and Visual History of Science”.

Altare maggiore, Museo Cappella Sansevero
Altare maggiore, Museo Cappella Sansevero. (Foto: Raffaele Aquilante e Alessandro Scarano, Archivio Museo Cappella Sansevero, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

Le analisi, dunque, per la prima volta confermano che il Principe di Sansevero riuscì a creare il blu oltremare artificiale utilizzato per la cornice intorno all’altorilievo soprastante l’altare maggiore (Altare maggiore, Francesco Celebrano e Paolo Persico, anni ’60 del XVIII sec.).

Particolare della cornice dell’Altare Maggiore, Museo Cappella Sansevero
Particolare della cornice dell’Altare Maggiore, Museo Cappella Sansevero. (Foto: Giuseppe Paolisso/Rive Studio, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

Ad oggi, questo sembra essere il primo esempio mai registrato della produzione di questo pigmento artificiale, più di dieci anni prima del resoconto siciliano di Goethe, ritenuto dagli specialisti il più antico indizio della produzione artificiale di tale pigmento. Nel laboratorio sotterraneo di Raimondo di Sangro, attorno al quale già aleggiavano numerose leggende, si era quindi già trovata, e da molto tempo, la ricetta per riprodurre quel colore prezioso come l’oro.

La presentazione al Museo Cappella Sansevero. Da sinistra: Gioacchino Tempesta, Francesco Paolo de Ceglia, Maria Alessandra Masucci, Andrea Maraschi, Alessandro Monno
La presentazione al Museo Cappella Sansevero. Da sinistra: Gioacchino Tempesta, Francesco Paolo de Ceglia, Maria Alessandra Masucci, Andrea Maraschi, Alessandro Monno. (Foto: Giuseppe Paolisso/Rive Studio, courtesy of Museo Cappella Sansevero)

Tra le innumerevoli sperimentazioni, Raimondo di Sangro è noto per essersi dedicato alla produzione di pietre preziose artificiali e alla colorazione del vetro. Particolare attenzione era data, dal Principe, ai colori. Anche quelli utilizzati per la volta della Cappella – dipinta da Francesco Maria Russo, conosciuta con il nome di Gloria del Paradiso o Paradiso dei di Sangro – sono frutto delle sue invenzioni: gli azzurri, i verdi, gli ori, tutti colori vivi e raggianti, prodotto di una formula creata dallo stesso Raimondo di Sangro, che ancora oggi, dopo oltre duecentocinquant’anni, risplendono con la stessa intensità, come se la patina del tempo non li avesse in alcun modo offuscati.

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