venerdì, Aprile 26, 2024
spot_img

A Eboli l’oro non s’è fermato, piuttosto riparte dal suo Museo con un’idea più moderna ed intrigante di artigianato

Del successo della mostraL’oro s’è fermato a Eboli forse non s’è detto tutto. La si può collocare tra gli eventi espositivi orafi più interessanti e riusciti del 2019. Il motivo? Un filo conduttore ingegnoso, connotato dalla serenità di un certa misura d’understatement, messo in scena in un Museo, ambiente che induce alla profondità ed ad uno straniamento accattivante.

Sensazione all’ingresso? Appunto: “che strano”. Qui non ci sono star, non si è sopraffatti dal glamour delle griffe, dalla seduzione invadente del lusso, dal fascino folgorante del capolavoro, dall’estetica inesorabile e severa di compiuti indirizzi stilistici. Eppure probabilmente ne uscirete ispirati.

Rosmundo Giarletta, direttore artistico, è uno dei più grandi maestri internazionali del traforo. Avrebbe potuto metterla sul piano del virtuosismo. Una bella galleria di pezzi memorabili di grandi firme planetarie ed il gioco è fatto. Noi siamo qui e luccichiamo, voi state buoni lì e ci guardate.

Invece ha preferito coinvolgere piccoli laboratori e ragazzi presi dai percorsi di formazione, tutti attinti su scala regionale, proponendo manufatti non necessariamente elaborati, eppure in grado di provocare, di dire la loro. Ha ideato, con la direttrice dell’Archeologico di Eboli Giovanna Scarano, un percorso insolito di intrigante mescolanza che induce a guardare i gioielli nella maniera nella quale i musei recuperano le culture, quali reperti di un processo creativo incentrato su ingegno e manualità.

Rosmundo Giarletta (Foto: L'oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)
« di 16 »

In questo scenario si riconosce l’ordine di base, il sistema di lavoro, la compiutezza di un piano logico, di una propria visione, di un proprio deposito di emozioni. Sembra un concetto banale? No, non lo è affatto.

A Eboli si fa in modo che il visitatore riesca ad incontrare l’orafo che sta lavorando su sé stesso, per raggiungere il gioiello che ha in mente. Lo intravediamo mentre sta disciplinando innanzitutto il proprio saper fare e la propria creatività, mentre maneggia i simboli, mentre naviga tra le icone ed i segni a lui contemporanei o sedimentati – magari riscoperti contemporanei – negli stili d’altre epoche o stagioni culturali, mentre sceglie l’attrezzo, sia esso una vecchia lima o il 3D.

(Foto: L’oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)
Gli ori di Pompei (Foto: L'oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)
« di 3 »


Come un corto circuito, in questa naturale e rilassata promiscuità ecco che improvvisamente, in una vetrina, si materializzano un anello con granato inciso ed un bracciale a forma di serpente. Sono belli, moderni e coerenti. Ma di duemila anni fa. Il museo non è il più prolifico evocatore di forme e di esperienze? Un reperto cessa forse d’essere ancora un gioiello? Un orafo sepolto dalla lava nel 79 a.C. non era lo stesso tipo d’uomo d’oggi? Catullo e Bob Dylan non avevano la stessa età quando cantavano?

Se l’ingegno trascende le epoche, inevitabilmente allo stesso modo trascende le dimensioni e le ambizioni delle aziende, la disponibilità di strumentazione tecnologica o di abbaglianti, inavvicinabili materie prime. L’orafo, in questo percorso creativo di base, è architetto, scultore, storico dell’arte, naturalista. Archeologo. È tutto quello che vuole ed è libero di prendere dagli stimoli della sua esperienza tutti gli elementi che gli servono.

(Foto: L’oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)
(Foto: L’oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)

Esemplare la vetrina di un brillante orafo francese, Tristan de Le Cardinal, un giovane talento che ora lavora per Cartier. Gli appunti che Le Cardinal allega al suo oggetto in mostra esprimono, in una sorta di diario, le riflessioni che sgorgano dalle fonti di ispirazione e dalle forme che ne discendono per analogia. Visto così, il manufatto orafo è il naturale risultato di un esercizio concettuale reso possibile da una formazione non rigidamente e scolasticamente tecnica ma piuttosto umanistica. Forse giova ricordare che Benvenuto Cellini è stato, oltre che orafo e scultore, un eccellente scrittore. Le pagine della sua Vita, rilette oggi, sembrano a volte tratte dal soggetto di un action movie.

Se l’eclettismo e la fierezza rinascimentale di Cellini non bastassero e questi concetti suonassero ad un ascolto distratto come formule un po’ convenzionali, forse è il caso di risfogliare il meraviglioso saggio di Richard Sennett, “L’uomo artigiano”. Per Sennett il “saper fare” rende l’artigiano di questo millennio una figura ribelle, una specie di eroe capace di riconquistare – il solo che può ancora farlo – la propria identità e interezza umana. Si tratta di una ricchezza che il mondo moderno, frazionando le conoscenze in competenze, banalizza e frammenta.

(Foto: L’oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)

La società moderna rigetta il pensiero profondo necessario, intrinseco alla visione anche del meno geniale degli artigiani. La vera star della Mostra di Eboli è l’idea che tornare a sapere fare bene il proprio lavoro, quello che gli orafi chiamavano orgogliosamente “arte” (radice indoeuropea antichissima riferibile ad ingegno, mani, arti, manualità, pratica) è nobile. Questo proposito migliora l’uomo perché gli insegna quello che il nuovo ordine di questo millennio gli sta negando, e cioè la capacità di giudicare e di governarsi.

(Foto: L'oro si è fermato a Eboli/Museo Archeologico Nazionale di Eboli)
« di 5 »
spot_img

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

NEWS

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Dal Magazine