venerdì, Aprile 26, 2024
spot_img

Roma 2023: la gemmologia incontra il mercato e mette l’accento su fair disclosure, identificazione di trattamenti e provenienza geografica delle pietre preziose

La quinta edizione della Conferenza Nazionale di Gemmologia si è tenuta con considerevole successo il 26-27 giugno 2023 presso Sapienza Università di Roma. L’evento, in collaborazione con aziende private del settore della gioielleria e delle pietre preziose, è stato organizzato da un gruppo di università italiane sulla base del riuscito schema delle edizioni precedenti, raggiungendo un record di oltre 220 presenze registrate. Esponenti nazionali e internazionali del mondo della gemmologia si sono riuniti per presentare un programma specificamente concepito dagli organizzatori per esplorare gli argomenti da una prospettiva che fosse la più ampia possibile, tenendo sempre conto delle realtà di mercato nonché delle esigenze degli operatori impegnati nel campo delle pietre preziose. Quest’edizione, inoltre, ha visto l’introduzione di un efficace servizio di traduzione simultanea dall’inglese all’italiano per il pubblico locale e dall’italiano all’inglese per gli ospiti internazionali, consentendo una comprensione approfondita degli interventi alla platea dei partecipanti indipendentemente dalla loro lingua madre. Oltre alle presentazioni scientifiche, la conferenza ha previsto una tavola rotonda sulle linee guida per la commercializzazione trasparente delle gemme e una tavola rotonda sulla possibile definizione di “pietra preziosa”.

Rassegna dei contenuti degli interventi

Testimonianze editoriali, di laboratorio e metodologia d’indagine

Il nodo delle relazioni tra scienza e mercato è stato il filo rosso che ha animato gran parte dei lavori. La gemmologia comincia a interrogare se stessa, oltre che sui suoi fini come disciplina e sull’adeguatezza della strumentazione, anche analizzando i contenuti dell’offerta editoriale, sullo stato di avanzamento delle conoscenze rispetto alle aspettative di un mercato in continuo movimento. Questo spiega il crescente sforzo per arrivare alla determinazione della provenienza geografica delle gemme, un compito che oggi si affianca in modo stabile a quello dell’identificazione.

La V Conferenza Nazionale di Gemmologia del 26-27 giugno 2023 a Roma
Figura 1 – La V Conferenza Nazionale di Gemmologia del 26-27 giugno 2023 a Roma. (Foto: Domenico Angelino)

Thomas Hainschwang (GGTL laboratory), “Challenges of Applied Gemology using Modern Analytical Techniques”

Basandosi su una riconosciuta esperienza di laboratorio (vincitore dell’Antonio C. Bonanno Award for Excellence in Gemology nel 2015 e del Gemmological Excellence Award della Swiss Gemmological Society nel 2017) Thomas Hainschwang ha messo a fuoco con estrema chiarezza quali risultati nel campo dell’identificazione si possano raggiungere con piena certezza e quali siano invece le sfide ancora aperte. Determinare l’autenticità è un compito che il gemmologo può assolvere in modo semplice per le pietre singole, ma che è molto più complesso quando bisogna identificare il melee ed in particolare discernere tra questi i diamanti HPHT del tipo IIa e IIb, di colore rosa e blu o incolori. Al riguardo non è da sottovalutare il compito di testare i diamanti incolori che restano indeterminati come “refer” nel lavoro di prescreening (su 150 pietre scartate da un rinomato laboratorio, 133 si sono rivelati diamanti naturali).

Problematici sono anche i corindoni melee. Nel caso si ricevessero 5000 zaffiri di 0,9 mm e si dovesse determinare un eventuale trattamento diverso dal semplice riscaldamento, si dovrebbe ricorrere a strumentazione assai complessa, ideata allo scopo, e da analisti molto esperti. Il riconoscimento dei trattamenti ha significative complessità per quanto riguarda la distinzione tra riscaldamento a bassa ed alta temperatura negli zaffiri d’origine magmatica e in alcuni metamorfici. Non tutti, infatti, hanno tracce sufficienti come inclusioni che si modificano in modo netto col riscaldamento. Il trattamento dei corindoni con diffusione al berillio si individua attraverso l’uso di analisi chimica (LIBS oppure ICPMS). Il trattamento per riscaldamento dei berilli è irrilevabile (eccettuata l’acquamarina Maxixe che presenta uno spettro diverso), problematico anche rilevare il trattamento della zoisite, il riscaldamento delle tormaline così come il loro eventuale irraggiamento, assieme a quello dei berilli gialli e del quarzo fumé.

Più che il riconoscimento in sé è la quantificazione, rilevata mediante una combinazione di tecniche quali la spettroscopia agli infrarossi, la microscopia, l’imaging a luminescenza, la sfida nell’analisi del riempimento degli smeraldi.

Sul riscaldamento dei topazi Hainschwang ha fatto presente che ha in corso una ricerca specifica che sarà a breve pubblicata. Ha anticipato per il momento che il suo laboratorio, GGTL, è in grado di rilavare il riscaldamento a 450° prolungato per due ore e che la fluorescenza SWUV gessosa blu, ritenuta da alcuni indicativa del riscaldamento, nei fatti non lo è.

Il trattamento per riscaldamento degli spinelli, spesso non efficace se non addirittura controproducente, lo si determina attraverso l’analisi chimica, la fotoluminescenza e la spettrometria Raman. Riscaldamento e diffusione sull’andesina (tema che ha agitato il mercato non molto tempo fa) si riconoscono con spettroscopia a fotoluminescenza.

 

Figura 2 – Questioni cruciali nella determinazione dei trattamenti: il riscaldamento a bassa temperatura degli zaffiri è ancora problematico. (Foto: Thomas Hainschwang)

Il riconoscimento più problematico è quello dei diamanti il cui colore sia dovuto all’irraggiamento, un processo che elimina atomi dal reticolo cristallino e dagli interstiziali e produce centri di colore, principalmente il blu verdastro, oppure il giallo, l’arancio, il brown, il rosa ed il nero dopo la ricottura (annealing). Questo trattamento nasconde le proprietà dei sintetici. L’irraggiamento naturale, principalmente per raggi gamma, produce gli stessi colori attraverso gli stessi difetti che quelli artificiali esibiscono dopo l’irraggiamento per elettroni e neutroni. Quasi tutti i lotti dal giallo all’arancio testati dal laboratorio GGTL presentavano significative quantità di HPHT, e più raramente di CVD tra i diamanti naturali. Recentemente molte gemme precedentemente “certificate” come diamanti naturali di colore stanno ritornando nei laboratori dove vengono riclassificate come diamanti “indeterminati” o trattati. La determinazione dell’origine dei diamanti è compito attualmente impossibile nonostante i proclami, non sostanziati, da parte di alcuni gruppi di ricerca.

Brendan Laurs (Journal of Gemmology, Gem-A), “Important Gemological Developments of the Past Decade”

Brendan Laurs, direttore di “The Journal of Gemmology” per la Gemmological Association of Great Britain (Gem-A) ed ex membro dello staff editoriale del GIA, ha passato in rassegna i recenti sviluppi della ricerca gemmologica alla luce degli articoli di autori rinomati (T. Hainschwang, F. Notari, L. Kiefert, R. Hughes, E. Fritsch, M. Krzemnicky, solo per citarne alcuni) pubblicati sulla rivista che dirige dal 2013. Grazie allo sviluppo di tecniche strumentali e analitiche la ricerca è progredita, avvalendosi di tecniche di analisi chimica come la LA-ICP-MS e la LIBS, l’apprendimento automatico (machine learning) e l’intelligenza artificiale, la misurazione del colore e gli studi sulla cromaticità, ulteriori applicazioni della spettroscopia Raman, l’uso di strumentazione portatile (fondamentale soprattutto per l’identificazione delle gemme delle collezioni facenti parte di patrimoni culturali studiabili solo con missioni sui siti specifici), l’imaging della spettroscopia a luminescenza e le impronte digitali del DNA rilevate su perle, coralli e avorio.

La presentazione è iniziata affrontando il problema causato dal mischiare diamanti sintetici in lotti di diamanti naturali melee. L’identificazione può essere effettuata attraverso la texture del colore in luminescenza UV, i pattern di estinzione tra i polarizzatori incrociati e la spettroscopia PL. Per quanto riguarda ancora i diamanti, nell’ultimo decennio la ricerca s’è sviluppata per determinarne l’origine del colore e per rilevarne il trattamento. Sono stati sviluppati numerosi dispositivi per la verifica dei diamanti, tra cui “screeners”, le scatole nere, molto costose, che separano i diamanti naturali dai cosiddetti “refer” destinati ad ulteriori test. I tester sono prodotti progettati per identificare l’origine dei diamanti (sintetici, naturali o simulanti). La determinazione dell’origine geografica dei diamanti è molto problematica, anche se d’altro canto sono aumentati notevolmente gli studi sulla loro origine geologica. Particolarmente interessanti sono stati gli studi sui diamanti di tipo IIa e IIb.

Brendan Laurs mostra il “The Journal of Gemmology” a Tucson.
Fugura 3 – Brendan Laurs mostra il “The Journal of Gemmology” a Tucson. (Foto: Gem-A)

Per quanto riguarda gli zaffiri, gli articoli pubblicati dalla rivista si sono concentrati sulla possibile determinazione della loro origine geografica in base alla datazione dell’età delle inclusioni co-genetiche. L’analisi dello zircone, quando affiora in superficie, mediante LA-ICP-MS fornisce datazioni U-Pb quasi non distruttive.

La rivista ha anche analizzato la colorazione instabile dei Padparadscha rosa, arancioni e gialli che si trovano tipicamente in Bemainty (ma anche in Sri Lanka e Myanmar). La componente gialla degli zaffiri è solitamente stabile, ma può diventare instabile per ragioni sconosciute a causa del centro di colore Mg2+ presente in natura intrappolato all’interno. Quando il centro non è attivo non c’è alcun contributo alla colorazione gialla, che può essere attivata con l’esposizione ai raggi UV e poi riportata allo stato inattivo con l’esposizione alla luce del giorno per diverse settimane o con un leggero riscaldamento.
L’osservazione microscopica delle inclusioni, la spettroscopia FTIR e l’analisi Raman delle inclusioni di calcite e spinello, nonché la transizione epigenetica delle macchie di ferro, forniscono prove per individuare il trattamento termico a bassa temperatura di rubini e zaffiri.

L’origine geografica delle gemme è stata studiata in base alle loro caratteristiche geologiche. Gli zaffiri blu possono essere distinti tra metamorfici e basaltici, e il loro paese di origine può talvolta essere determinato utilizzando gli spettri UV-Vis-NIR, gli elementi in traccia come Ga, Fe, Mg, Ti, V e le caratteristiche interne. I rubini si distinguono tra quelli ospitati in marmo a basso contenuto di Fe (Myanmar, Vietnam, Tagikistan, Afghanistan) e quelli ad alto contenuto di Fe (Mozambico, Madagascar, Cambogia, Thailandia) attraverso elementi in traccia come Ga, Fe, Mg, Ti, V e caratteristiche interne. Gli smeraldi vengono distinti tra quelli di origine idrotermale/metamorfica (Colombia, Afghanistan, Cina) e quelli scistosi di origine magmatica (Zambia, Russia, Etiopia, Brasile) utilizzando gli spettri UV-Vis-NIR, gli elementi in traccia come Li, K, Fe, Rb, Cs e le caratteristiche interne. L’origine della tormalina Cu (Paraiba) proveniente da paesi come Brasile, Nigeria e Mozambico è determinata attraverso l’analisi di elementi in traccia come Cu, Zn, Ga, Sr, Sn, Pb.

Il fotocromismo è causato dall’esposizione alle lunghezze d’onda dei raggi UV, a volte estese dai raggi X. Questo cambiamento reversibile di colore è visibile in gemme come la sodalite (hackmanite), la scapolite (marialite), la tugtupite, lo spodumene (kunzite), il diopside, lo zircone, i diamanti (ad esempio il camaleonte) e il corindone (zaffiro), probabilmente a causa di polianioni a base solforica. Per studiare le gemme trapiche sono state condotte indagini approfondite sulla storia dei depositi di rubino in Myanmar e Vietnam.

Sin dal 1947, la rivista The Journal of Gemmology ha offerto una copertura ampia e affidabile dei principali temi della gemmologia.
Figura 4 – Sin dal 1947, la rivista The Journal of Gemmology ha offerto una copertura ampia e affidabile dei principali temi della gemmologia. (Foto: Gem-A)

Il Journal of Gemmology ha anche descritto importanti depositi di smeraldi nei pressi di Chitral, nel Pakistan nord-occidentale, nel Panjshir in Afghanistan e a Musakashi in Zambia, gemme che potrebbero essere difficili da distinguere le une dalle altre. Inoltre sono stati analizzati nuovi materiali disponibili sul mercato, come l’opale ialite messicano, fluorescente alla luce del giorno, la cui luminescenza è dovuta alla molecola con uranio (UO2)2+, l’euclasio rosa-arancio del Bahia, in Brasile, di cui, fino alla nuova scoperta del 2018, si conoscevano solo varietà incolori, blu, verdi e gialle, la laurentthomasite di Tuléar, in Madagascar, che è un nuovo membro della milarite (KMg2AlBe4Si12O30) approvato dall’IMA. La rivista del Gem-A ha riferito anche delle nuove scoperte di rubini in Groenlandia, per lo più adatte solo al taglio cabochon, che richiedono un trattamento termico con borace per sanare le frequenti fratture, nonché della scoperta di rubini nel 2009 a Montepuez e Mavago, in Mozambico. Questi depositi sono considerati i siti minerari più produttivi al mondo e vengono sfruttati da due grandi società minerarie, Gemfields e Fura. Nel giugno dello scorso anno, Fura ha stabilito un record mondiale vendendo a 34,8 milioni di dollari l’Estrela de Fura, un rubino di 55,22 carati. L’elenco dei nuovi ritrovamenti nell’ultimo decennio comprende anche diverse gemme etiopi, come l’acquamarina scoperta nel 2012 e lo smeraldo nel 2016, entrambi provenienti dalla regione di Shakiso. È stata inoltre scoperta la sunstone labradorite-bytownite, trovata nella regione di Afar nel 2015, la tsavorite nel 2017 e la spessartina nel 2019, entrambe da località non specificate, il diopside di cromo dalla regione di Oromia nel 2018. Nuovi depositi di tormalina sono stati individuati nel 2016 (Numbi) e nel 2018 (Masisi) nella RDC (Congo). Altri nuovi ritrovamenti includono l’ametista in Ruanda nel 2015, la grandidierite dalla provincia di Tuléar, in Madagascar, nel 2015, un peridoto che si preannuncia altamente redditizio nella provincia di Jilin, in Cina, nel 2015, gli zaffiri blu e rosa da Bemainty, in Madagascar, nel 2017, lo spinello viola nel 2017 e il diasporo rosa nel 2020, entrambi provenienti dall’Afghanistan. Infine, nel 2021 è stato estratto spinello con cobalto, di colorazione blu, a Mahenge, in Tanzania.

Loredana Prosperi (Istituto Gemmologico Italiano), “1988–2023: 35 years of gemmology, the testimony of a gemmologist”

Il tema centrale dell’intervento è stato l’evoluzione dell’organizzazione dei laboratori di gemmologia a partire dal 1988, anno in cui la relatrice ha inaugurato la sua carriera, fino ai nostri giorni. Il percorso ha attraversato varie epoche, partendo da quando l’attrezzatura impiegata risultava primitiva, giungendo all’epoca contemporanea contraddistinta dalla rivoluzionaria introduzione di strumentazioni all’avanguardia.

Non è un segreto che, in molteplici contesti, la mera e semplice utilizzazione del microscopio non sia in grado di conferire dati concreti relativamente ai trattamenti applicati e/o all’origine sintetica dei materiali in esame. Nella sua qualità di direttrice di laboratorio Loredana Prosperi ha dato testimonianza della cruciale importanza di aderire a tecniche analitiche avanzate quali la spettroscopia Raman, la spettroscopia ultravioletto-visibile infrarosso (UV-VIS-NIR), la spettroscopia FTIR, e altre simili, per risolvere queste problematiche intrinseche e per fornire ai professionisti del settore informazioni sempre più definitive e indiscutibili.

Questo sforzo mirato verso l’applicazione di metodologie analitiche d’avanguardia non solo rafforza l’affidabilità delle valutazioni effettuate sui trattamenti e la natura delle gemme, ma affronta anche con determinazione la questione sempre più scottante della provenienza dei materiali, un tema di crescente rilevanza all’interno dell’ambito della gemmologia contemporanea.

Gioacchino Tempesta (Università di Bari Aldo Moro), “Portable LIBS and Raman spectroscopy: what is the contributions to gemstone hunting?”

La presentazione s’è incentrata dettagliatamente sul ruolo fondamentale svolto dalla spettroscopia LIBS (spettroscopia di degradazione indotta da laser) e dalla spettroscopia Raman (entrambe portatili) nella ricerca e nell’identificazione delle pietre preziose. Queste tecniche analitiche avanzate offrono una prospettiva affascinante su come le moderne tecnologie possano arricchire il campo della gemmologia, aiutando tutti gli esperti del settore.

Gli strumenti portatili basati su LIBS e Raman sono stati riconosciuti come strumenti cruciali per identificare e caratterizzare i minerali. Essi forniscono dati preziosi sulla composizione chimica e sulla struttura cristallina delle pietre preziose, consentendo analisi dirette sul campo o presso la miniera di estrazione. Questa portabilità riduce la necessità di movimentare campioni fragili e costosi, riducendo al minimo i rischi associati. LIBS e Raman contribuiscono non solo all’identificazione delle pietre preziose ma anche all’arricchimento delle risorse scientifiche globali, migliorando le librerie spettrali e i dati chimici relativi a queste gemme. Inoltre, queste tecnologie possono svolgere un ruolo fondamentale nella scoperta di nuove specie o minerali rari nelle aree di estrazione delle gemme, potenzialmente apportando un impatto significativo sulle comunità locali e sulla scienza mineraria.

Alcune distinzioni: le dislocazioni dai Rose channels, le inclusioni epigenetiche di manganese da quelle batteriche nei quarzi

Le inclusioni cave nel diamante, nella danburite, nello spodumene e negli zaffiri possono trarre in inganno. Per l’identificazione è necessario saper caratterizzare i fenomeni delle dislocazioni dissolte e dei Rose channels così come nei quarzi si possono separare le dendriti d’origine organica da quelle minerali.

Emmanuel Fritsch (Université de Nantes), “Hollow inclusions in gems: dissolved dislocations and Rose channels”

L’esposizione ha gettato luce su due distinti tipi di inclusioni cave che spesso si riscontrano nelle gemme: le “dislocazioni dissolte” e i “Rose channels”.

Le dislocazioni costituiscono difetti cristallografici che emergono dall’alterazione della struttura cristallina lungo un asse specifico. Questi difetti possono assumere varie forme, comprese le “spigolari”, che si originano dall’inserimento di un piano atomico aggiuntivo al cuore del cristallo, causando una distorsione nei piani atomici circostanti. In situazioni in cui una forza adeguata viene applicata a uno dei lati del cristallo, il suddetto piano supplementare interagisce con i piani atomici preesistenti, rompendoli e ricollegandoli fino al raggiungimento del margine cristallino. Durante il processo di formazione del cristallo si può manifestare, inoltre, una “dislocazione a spirale”, causata da sforzi di taglio che portano all’avvolgimento elicoidale dei piani reticolari lungo l’asse della dislocazione, generando una struttura, per l’appunto, a rampa elicoidale.

In alcuni casi possono coesistere “dislocazioni miste”, rappresentando un’interazione combinata dei due tipi sopracitati. Queste dislocazioni spesso inducono una compromissione strutturale e una dissoluzione del cristallo, fenomeno che si osserva comunemente in minerali quali il diamante, la danburite e lo spodumene. L’identificazione di tali inclusioni si basa sulla loro esposizione in superficie, la loro cavità interna e la caratteristica forma allungata e sottile, talvolta con pieghe o torsioni, che può generare curve o strutture reticolari intricate.

In una ristretta categoria di materiali, tra cui alcuni metalli, la calcite e il diamante, emerge un altro fenomeno peculiare noto come “Rose channel”. Durante la geminazione, due o più cristalli crescono insieme dalla stessa soluzione sovrapponendosi perfettamente o con una disposizione speculare. All’interno di un cristallo geminato, le lamelle gemelle sono regioni del cristallo che condividono una comune orientazione cristallografica ma si sviluppano in posizioni diverse. Quando queste lamelle gemelle crescono e si intersecano, possono formare dei canali vuoti all’interno del cristallo. I canali di Rose presentano comunemente una forma losangica, sono cavi e si sviluppano in modo lineare.

Dislocazioni dissolte Rose Channels
Aspetto da losangico a rotondo Aspetto losangico
Dritte, ma spesso curve o piegate,
con possibilità di anse, reti, biforcazioni
Sempre rettilinei
Affusolate per natura Sezione sempre costante
Presenti ovunque nel cristallo Si formano con l’intersezione
di due famiglie di lamelle gemelle
Si manifestano in molte specie
di gemme, almeno venti
Fino ad ora scoperti solo nel diamante,
nel corindone e nella calcite

Tabella 1 – Tabella riassuntiva delle caratteristiche relative alle dislocazioni dissolte e ai Rose Channels, basata sull’esposizione di Emmanuel Fritsch.

In conclusione, le differenze principali tra le dissoluzioni per dislocazione e i canali di Rose riguardano l’origine, la struttura e l’aspetto. Le dissoluzioni per dislocazione si generano lungo le dislocazioni cristalline, causando l’erosione del cristallo lungo il loro percorso, mentre i Rose channels si formano quando lamelle gemelle si sovrappongono, creando canali vuoti all’interno del cristallo. Queste differenze si riflettono chiaramente nell’aspetto delle inclusioni: con le dissoluzioni per dislocazione spesso curve e contorte, e i canali di Rose invece rettilinei e con una forma losangica.

Marco Campos-Venuti (Divulgatore scientifico e geologo), “Bacterial origin of epigenetic dendrites included in quartz”

Di una recente pubblicazione di Marco Campos-Venuti IGR ha offerta una recensione. L’esposizione s’è incentrata su una nuova interpretazione dell’origine delle dendriti di manganese. Secondo Campos-Venuti una dendrite ed una colonia di batteri sono morfologicamente molto simili. Per dimostrare che le dendriti sono di origine organica, sono state comparate le geometrie delle colonie batteriche con quelle di alcuni quarzi provenienti dal Brasile. Le inclusioni rilevate all’interno di questi quarzi risultano enormemente simili all’evoluzione che hanno le colonie batteriche. Il geologo conclude che c’è stata confusione nella terminologia che di conseguenza essa dovrebbe essere rivista.

Caratterizzazioni: Paraiba ed altre tormaline, tanzanite, topazio imperiale, Laurentthomasite

Dall’esperienza diretta sul campo d’estrazione mozambicano delle Paraiba, alla tormalina verde “porro”. Dalle cause del colore della tanzanite alla questione del topazio imperiale come possibile nuova varietà, fino alla “nuova” Laurentthomasite. Quali sono i fattori che rendono alcune gemme appetibili e per questo pregiate? I contributi offrono delle risposte ed evidenziano ad esempio fattori come le modifiche del colore, le condizioni geologiche del territorio da coltivare, come pure la possibilità concreta di distinguere e separare scientificamente delle varietà gemmologiche che il commercio riconosce come pregiate.

Federico Pezzotta (Museo di Storia Naturale di Milano), “Paraiba and cuprian tourmalines from Mavuco, Alto Ligonia, Mozambique”

La presentazione ha riguardato l’esplorazione e lo sfruttamento dei depositi di tormalina contenente rame situati nelle zone di Mavuco e Maraca, in Mozambico, a cento chilometri dalla costa orientale del Paese.

Contrariamente a quanto si era ipotizzato in precedenza, e cioè che il giacimento avesse origine alluvionale, un esame più approfondito in relazione alla rete idrografica ha rivelato la sua natura residuale e metamorfica. Quest’area geologica si trova all’interno della catena dell’Africa orientale ed è caratterizzata da un’erosione differenziale, che ha dato origine a tipi distinti di rocce come migmatiti, scisti, gneiss, anfiboliti e scisti marnosi, accanto ad accumuli di granito.

Colonna stratigrafica del deposito di Maraca.
Figura 5 – Colonna stratigrafica del deposito di Maraca. (Elaborazione grafica: Stefania Coppola)

Il processo di erosione costante nel corso di milioni di anni all’interno di questa regione ha dato origine a un piano erosivo stabile, favorendo il rilascio di numerose vene pegmatitiche contenenti quarzo e gemme preziose. La porzione settentrionale del giacimento di Maraca è già stata completamente esaurita, mentre la sezione meridionale mostra ancora un potenziale promettente. La composizione del suolo del giacimento comprende uno strato bauxitico più superficiale facente parte dello strato “Cororó”. Al di sotto di questo si trova lo strato “Camada”, all’interno del quale si sfrutta materiale di qualità gemma mediante scavi orizzontali a profondità comprese tra i 2 e i 10 metri. Più in basso si trova il bedrock, ora più facilmente mappabile dopo aver rimosso lo strato più profondo ricco di minerali di varie qualità.

Il bedrock è ricco di minerali di rame, come la malachite, e ospita una vena pegmatitica contenente varie gemme come acquamarina, amazzonite, lepidolite, morganite e feldspato potassico (pietra di luna). Inoltre questo strato più profondo contiene tormaline ricche di ferro, che differiscono da quelle ricche di rame presenti negli strati superiori.

Lo strato “Camada” è accessibile ai minatori clandestini che utilizzano metodi rudimentali, ma spesso questo comporta crolli e perdite di vite umane. Le miniere industriali, invece, possono lavorare fino a 500 tonnellate di materiale al giorno. Dopo un accurato lavaggio, solo una modesta quantità di cristalli di tormalina — da 200 a 300 grammi — può essere utilizzata nell’industria del taglio delle gemme. La presenza di tormaline ricche di rame (elbaiti) è ancora più scarsa e questo contribuisce a rendere il prezzo di mercato delle tormaline di Paraiba ancora più elevato. Queste gemme esibiscono una vasta gamma di colori e sono comunemente sottoposte a trattamenti termici da parte dei produttori per ottenere le tonalità desiderate. Questa pratica, tuttavia, solleva questioni in gemmologia riguardo al materiale che può essere definito correttamente “Paraiba”.

Alessandra Altieri (Dipartimento di Scienze della Terra, Sapienza Università di Roma) “Tourmaline: the rainbow-like gemstone”

La tormalina è il principale silicato di boro presente sulla Terra. Questa pietra preziosa deve la sua bellezza e la varietà dei suoi colori a una struttura cristallochimica incredibilmente complessa, caratterizzata da sette siti cristallografici che possono ospitare una vasta gamma di elementi, dai più leggeri come l’idrogeno fino al piombo, con differenti stati di ossidazione. L’intervento ha approfondito il processo di formazione delle tormaline di qualità gemma, evidenziando come per ottenere ognuno dei diversi colori siano necessarie specifiche condizioni geologiche e geochimiche. In particolare, sono stati presentati tre casi studio, di cui uno ha portato alla scoperta di una rarissima varietà di tormalina chiamata “verde porro”, rinvenuta solo in due località al mondo: l’isola d’Elba e la miniera di Deo Darrah in Afghanistan. Il verde porro deve la sua particolare sfumatura verde chiara alla presenza di manganese (Mn2+) e alla sua interazione con il titanio (Ti). Ciò che rende questa varietà unica è la completa assenza di ferro, nonostante il colore. La formazione di questa tormalina richiede condizioni geologiche specifiche, tra cui l’arricchimento in manganese e l’impoverimento in ferro nel fluido pegmatitico, con un’alta concentrazione di boro.

Nuova varietà di tormalina qualità gemma chiamata “verde porro”.
Figura 6 – Nuova varietà di tormalina qualità gemma chiamata “verde porro”. (Foto: Alessandra Altieri)

Gabriele Giuli (Università di Camerino), “An EPR and XAS study on the cause of colour in tanzanite, the V-rich variety of zoisite”

I meccanismi che possano spiegare le cause del colore nella tanzanite non sono semplici. Lo studio ha preso in esame dei campioni provenienti dall’area di Merelani, dove i cristalli di tanzanite si trovano principalmente in vene boudinate in presenza di grafite e diopside in associazione con grossularia, quarzo, plagioclasio, calcite, argilla minerale e, in misura minore, con ematite e sfene. È stato valutato come cambino gli stati di ossidazione dopo il processo di riscaldamento attraverso indagini con spettroscopia XAS (X-ray absorption spectroscopy) e EPR, Risonanza paramagnetica elettronica (Electron Paramagnetic Resonance). S’è potuto rilevare che i principali agenti cromofori sono vanadio e ferro (V3+ e Fe3+) ma l’EPR ha mostrato che alla colorazione concorrono anche, in misura minore, V4+ e V2+. I dati si riferiscono alla tanzanite sottoposta a riscaldamento: l’incolore ed il rosa non hanno cambiato colore, giallo e verde sono diventati blu, il blu è rimasto tale.

Nicola Precisvalle (Università degli Studi di Ferrara), “Imperial topaz, from commercial name to new gemmological variety: a new definition for chromium bearing topaz?”

L’intervento è stato incentrato sull’analisi di una parte dei topazi imperiali della collezione dell’Università di Ferrara attraverso varie tecniche analitiche come diffrazione a raggi X su cristallo singolo, ICP-MS-LA, fotoluminescenza e UV-Vis-NIR. I risultati sono stati comparati con i dati relativi ad altri topazi per valutare se i cosiddetti “imperiali”, quelli provenienti dal sito universalmente conosciuto di Ouro Preto in Brasile assieme ad altri provenienti dal Pakistan, possano essere considerati una varietà gemmologica a parte.

Questo meraviglioso topazio imperiale da 9,56 carati sarà classificato come una nuova varietà gemmologica?
Figura 7 – Questo meraviglioso topazio imperiale da 9,56 carati sarà classificato come una nuova varietà gemmologica? (Foto: Collezione Paolo Minieri Pietre)

Si è rilevata una grossa differenza nel contenuto in cromo con grosse oscillazioni da 0,56 a 402,54 ppm. Il dato è poi confermato dalle analisi statistiche MDS degli elementi in tracce. Inoltre, dal punto di vista geochimico, se si fa un rapporto tra i valori di cromo e quelli di vanadio la distinzione tra topazi “normali” e “imperiali” risulta evidente. La caratterizzazione non è solamente descrittiva: si apre, infatti, una questione che ha delle chiare implicazioni di natura commerciale. Per fare solo un esempio, la varietà Paraiba della specie Elbaite ha conquistato una denominazione specifica nei report gemmologici consacrando la sua rarità e l’appetibilità che la contraddistingue sul mercato. Le caratteristiche distintive individuate per questo bellissimo topazio sono sufficienti a rendere il termine “topazio imperiale” una varietà gemmologica a sé stante e quindi qualcosa in più di un termine commerciale come nel caso della tormalina Paraiba.

Danilo Bersani (Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Parma), “Tanzanite and other sorosilicates in gemology: Raman characterization”

Il relatore ha presentato una caratterizzazione Raman della famiglia dei sorosilicati, minerali formati da coppie di tetraedri di SiO4, in particolar modo della tanzanite, la varietà blu-viola della zoisite il cui colore è dovuto alla sostituzione del vanadio con l’alluminio nei siti ottaedrici. In molti casi per ottenere questa colorazione i campioni vengono riscaldati a circa 500 °C per una decina di minuti.

Il lavoro in questione ha analizzato delle tanzaniti provenienti dalle miniere di Merelani in Tanzania. Ciò che il gruppo di ricerca ha ottenuto è di differenziare le bande di fotoluminescenza dai segnali Raman utilizzando diverse lunghezze d’onda di eccitazione, identificando così le terre rare (REE) probabilmente associate alla genesi del minerale. Inoltre si sono voluti studiare gli effetti orientativi per spiegare la variabilità spettrale; tutto questo è stato possibile utilizzando una strumentazione piccola e di facile impiego anche sul campo.

Alla fine del suo intervento il professor Bersani ha voluto condividere anche i risultati del lavoro su alcuni campioni della serie clinozoisite-epidoto. Difatti attraverso gli spettri Raman è possibile distinguere e determinare in modo affidabile i due estremi della serie con una semplice misura effettuata in pochi secondi.

Isabella Pignatelli (Dipartimento di Georisorse presso l’Università di Lorraine), “Laurentthomasite: a new dichroic gem”

Sono stati presentati i risultati del lavoro sulla Laurentthomasite, un nuovo minerale facente parte del gruppo della Milarite, rinvenuto nel 2018 nel sud del Madagascar. La gemma, grazie al suo dicroismo, dal blu al verde, risulta essere molto appetibile per il mercato. Questa caratteristica è data dal trasferimento di carica di ioni Fe2+ e Fe3+, situati rispettivamente nei siti ottaedrici e tetraedrici della struttura. Sono stati resi noti alcuni dati non ancora pubblici di elevato interesse gemmologico: sembra infatti che le inclusioni bifasiche (gas e liquido) della Laurentthomasite si siano rilevate essere CO2 mentre quelle solide di colore marrone sono minerali che molto probabilmente possono essere identificati come Hibbingite, anche se l’ipotesi è ancora da verificare. Le analisi termogravimetriche inoltre hanno evidenziato la presenza di acqua all’interno della struttura. Le prossime ricerche saranno quindi improntate sul quantificare il contenuto d’acqua e capire dove quest’ultima si colloca nel reticolo cristallino.

Le immagini mostrano il dicroismo della Laurentthomasite: blu cobalto nella foto a sinistra (a), verde-giallastro nella foto a destra (b).
Figura 8 – Le immagini mostrano il dicroismo della Laurentthomasite: blu cobalto nella foto a sinistra (a), verde-giallastro nella foto a destra (b). (Foto: Ferraris, Pignatelli, Cámara, Parodi, Pont, Schreyer, Wei/European Journal of Mineralogy, License CC BY 4.0)

Diamanti naturali per interrogarci sul lontanissimo passato e diamanti sintetici per interrogarci sul futuro

I diamanti, con le loro inclusioni, sono in grado di farci esplorare l’evoluzione del pianeta, ma a dirci che direzione prenderà l’industria delle gemme sarà lo sviluppo tecnico nella produzione dei diamanti sintetici e l’impatto che questi avranno sul mercato.

Fabrizio Nestola (Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Padova) “Super-deep diamonds: at which depth do they form?”

Il professor Nestola continua il suo viaggio alla scoperta dei diamanti super profondi, interrogandosi proprio sulle profondità della loro formazione. Al fine di rispondere a questa fondamentale domanda, il team di ricerca si è focalizzato sull’analisi delle inclusioni più caratteristiche presenti nei diamanti di elevata profondità, ossia il ferropericlasio [(Mg,Fe)O]. Fabrizio Nestola ha sottolineato che sarebbe più corretto riferirsi a questo minerale come periclasio, nel caso in cui il magnesio sia l’elemento predominante, o come wüstite, nel caso in cui prevalga il ferro. In linea generale, le inclusioni predominanti contengono una quantità di magnesio compresa tra lo 0,9 e lo 0,8, anche se in alcuni campioni sono stati riscontrati periclasi con contenuti di ferro pari allo 0,49. Questo solleva un interrogativo sulla relazione tra periclasio “ricco” e “povero” di magnesio all’interno del diamante. Attraverso lo studio di 57 periclasi contenuti in 37 diamanti del Brasile e della Guinea, il gruppo è andato ad individuare, mediante la diffrazione a raggi X, l’orientazione dei singoli cristalli. Dalle analisi si è concluso che i periclasi bassi in ferro hanno la stessa orientazione del diamante, di conseguenza devono essersi formati insieme al diamante stesso nel mantello superiore, mentre i periclasi ricchi in magnesio sono orientati in modo casuale rispetto al diamante e di conseguenza risultano essere protogenetici e appartenenti al mantello inferiore. Inoltre, grazie allo studio di un ferropericlasio contenuto in un diamante donato dal GIA, il team del professor Nestola è stato in grado di stabilire con la geobarometria elastica la profondità al quale il diamante si è formato. Il team ha infatti calcolato il volume di cella dell’inclusione di periclasio prima e dopo averla “liberata” dal diamante. La differenza tra i due dati ha permesso di calcolare la pressione residua, dalla quale si può estrapolare la profondità in cui il diamante in questione si è formato che è a circa 660 km.

Inclusione di “ferropericlasio” [(Mg,Fe)O], minerale fondamentale per lo studio dei diamanti di elevata profondità.
Figura 9 – Inclusione di “ferropericlasio” [(Mg,Fe)O], minerale fondamentale per lo studio dei diamanti di elevata profondità. (Foto: Dr. Evan Smith, Gemological Institute of America)
Sergio Sorrentino (E-motion Diamanti), “Diamond market facts”

L’esposizione ha portato all’attenzione dell’audience la testimonianza imprenditoriale d’una azienda italiana che tra le prime ha avviato la commercializzazione di diamanti sintetici. Il filo conduttore dell’evoluzione dell’impatto di queste pietre sul mercato lo si può trovare nella rapidità dei cambiamenti. Nel 1997 si potevano rinvenire pochi pezzi già tagliati, a prezzi doppi di quelli naturali, ottenuti in Russia con il processo HPHT e con evidenti inclusioni. È seguito un periodo di approvvigionamento più difficile con pochi protagonisti, prima che ci fosse l’esplosione della produzione e l’invasione. Oggi si producono tra i 6 ed i 7 milioni di carati, con proiezione di raggiungere vendite per 9 miliardi di dollari nel 2030. Ma ci sono molte ombre dietro l’angolo: il marketing etico dei diamanti lab-grown non regge alla prova dei fatti, mente il calo dei prezzi è inarrestabile. Inoltre l’effetto di cannibalizzazione rischia di erodere il mercato dei diamanti naturali.

Giulia Marras (Sapienza Università di Roma), “Innovative techniques for investigation and synthesis of diamonds”

Per quello che riguarda le tecniche innovative di investigazione sulle sintesi dei diamanti, l’esposizione ha presentato due acceleratori di particelle che consentono analisi veloci e non invasive. Il primo, che combina tomografia a raggi X e diffrazione, è il Beamline 13-BM-D. Si trova presso l’Argonne National Laboratory. Il secondo è il Beamline ID18, presso l’ESRF, che permette la misurazione dello stato di ossidazione del ferro tramite spettroscopia Mossbauer.

Pressa Voggenreiter Multi Anvil da 500 tonnellate, utilizzata per la produzione di diamanti HPHT, sita all'interno del Laboratorio di Petrologia Sperimentale del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza Università di Roma.
Figura 10 – Pressa Voggenreiter Multi Anvil da 500 tonnellate, utilizzata per la produzione di diamanti HPHT, sita all’interno del Laboratorio di Petrologia Sperimentale del Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza Università di Roma. (Foto: Giulia Marras)

Inoltre, poiché il laboratorio di petrologia sperimentale dell’Università La Sapienza si occupa di replicare le condizioni fisico-chimiche di formazione dei diamanti, si è avuta la possibilità di approfondire tre tecniche di sintesi dei diamanti in laboratorio:

  • HPHT diretta. Questa tecnica utilizza una pressione di 15 GPa e una temperatura di 2500 °C. Il diamante risultante si ottiene in soli 20 minuti tramite una pressa multi-anvil da 6000 tonnellate situata in Giappone presso il GRC. Il prodotto finale consiste in aggregati di nanodiamanti con dimensioni comprese tra 10 e 20 nanometri, caratterizzati da una notevole durezza, principalmente utilizzati nell’industria.
  • HPHT indiretta. In questa tecnica si utilizza polvere di grafite insieme a un solvente e talvolta un seme di diamante. La pressione varia tra 5 e 6 GPa, con temperature comprese tra 1300 e 1600 °C. Questo processo richiede circa una o due settimane per la produzione di un diamante. Anche il laboratorio di petrologia sperimentale dell’Università La Sapienza pratica questa tecnica.
  • CVD (Deposizione chimica da vapore). Questo metodo implica l’uso di una pressione atmosferica con temperature relativamente basse tra 700 e 1300 °C. Il carbonio viene depositato su un substrato di diamante utilizzando un gas precursore come il metano.

Gemme organiche: trattamenti del corallo e stato del mercato delle perle

Il programma ha offerto due interventi sulle gemme organiche. Il corallo è infatti una gemma tipicamente italiana, rilevante per la sua specificità e non ha un’abbondante letteratura in gemmologia. Le perle, d’altro lato, rappresentano una vera industria globale che macina fatturati da primato.

Francesco Sequino (Gem-Tech, International Gemological Institute), “Identificazione e valutazione del corallo, panoramica su trattamenti e provenienza”

Francesco Sequino ha reso pubblici i risultati di sei anni di lavoro volti a dotare il comparto di strumenti per il corretto riconoscimento delle specie e dei trattamenti del corallo in modo da poter formulare una valutazione qualitativa. Lo studio è stato eseguito sulla base delle definizioni e delle direttive emanate a più riprese dal CIBJO.

Il gruppo di lavoro, aperto alla collaborazione degli studenti, ha preso in esame un campionario esteso composto da circa 2500 pezzi grezzi e tagliati, 450 dei quali sono stati sottoposti a vari trattamenti. In questo modo sono state osservate le modifiche migliorative della superficie e della colorazione. I difetti superficiali sono stati valutati ricostruendo il processo del miglioramento con oli e cera (il cosiddetto “pignatiello”). Gli operatori usano valutare la qualità a seconda dei difetti rilevati (prima, senza difetti; seconda o internetto, difetti visibili ad occhio nudo; terza, molti difetti visibili ad occhio nudo; fabbrica, corallo poroso).

La cera si dimostra utile ad occultare piccoli fori, diversa è invece l’azione degli stucchi (colored polymeric fillers) che sono in grado di migliorare anche il colore. Come rilevare questi riempimenti? La spettrometria non aiuta: i pallini e le zone da sondare sono troppe. A questo scopo risulta molto più efficace l’illuminazione ultravioletta con la sonda dello spettrometro a fluorescenza EXA della MAGILABS che s’è dimostrato in grado di svelare con velocità e precisione la superficie riempita. L’indagine Raman si dimostra estremamente efficace per il riconoscimento del corallo rivestito per colatura massiva di materiale epossidico (trattamento equiparato al glass filling nei rubini), un processo assai invasivo che non si limita all’otturazione di piccoli fori ma permette di ottenere pallini lisci partendo da materiale estremamente scadente e largamente poroso. Per i gemmologi non dotati di strumentazione spettrofotometrica è possibile individuare quest’ultimo trattamento semplicemente sottoponendo a calore il pallino, che brucerà rilasciando odore intenso di plastica.

La prossima frontiera dell’identificazione delle specie di corallo: riconoscimento empirico sulle caratteristiche esterne.
Figura 11 – La prossima frontiera dell’identificazione delle specie di corallo: riconoscimento empirico sulle caratteristiche esterne. (Foto: Francesco Sequino/Gem-Tech Istituto Gemmologico)

L’esame dei campioni ha inoltre individuato, limitatamente a pochi rami raccolti grezzi, un trattamento migliorativo del colore attraverso perossido di azoto al 35%. Un ultimo, spinoso tema riguarda il riconoscimento delle specie, impossibile da determinare con l’esame Raman che attesta spettri identici per tutte le specie sottoposte ad esame. Il lavoro del team ha solcato una nuova strada più empirica e pratica rispetto al dispendioso e distruttivo esame del DNA, quella cioè del riconoscimento delle caratteristiche esterne del corallo del Pacifico, specie specifiche sottoposte a embargo negli Stati Uniti a causa delle restrizioni del CITES. Oltre all’anima bianca è l’accrescimento a spirali concentriche a permettere in molti casi l’identificazione dell’Elatius e del Secundum.

Piero De Stefano (Studio De Stefano Gemmologi Associati), “Le perle: novità tra scienza e mercato”

Con un totale di trenta paesi produttori (tra cui Messico, Thailandia, Sri Lanka, Malaysia, India, isole Cook), il mondo delle perle è dinamico e vitale. Si conferma la leadership produttiva della Cina per quantità (3540 tonnellate) e del Giappone per valore (127 milioni di dollari). Ma, come per le altre gemme, il mondo delle perle è in continua evoluzione e forse i cambiamenti che stanno influenzando il mercato delle gemme d’origine organica si conoscono meno in profondità.

La comparsa di tecniche di rinucleazione delle perle d’acqua dolce — nelle perle cosiddette “Edison” — ha comportato l’innalzamento delle misure disponibili. Ciò comporta una serie di problemi per l’identificazione soprattutto nelle varietà colorate. Lo sviluppo tecnico ha permesso la sperimentazione di nuovi nuclei, tra cui spicca un inedito materiale organico che s’espande al contatto con l’acqua permettendo di raggiungere misure sempre maggiori.

La coltivazione delle perle nella baia di Ha Long, in Vietnam.
Figura 12 – La coltivazione delle perle nella baia di Ha Long, in Vietnam. (Foto: PA/Wikimedia Commons, License CC BY-SA 4.0)

È inoltre emersa con prepotenza nell’ultimo decennio la questione della sostenibilità. L’uso intensivo delle “farm” ha impoverito l’equilibrio degli ambienti lacustri in Cina, con conseguente riduzione delle produzioni (meno 60% nell’ultimo decennio). E così l’andamento dei prezzi è contraddistinto da una catena di rialzi: le perle freshwater di migliore qualità sopperiscono all’aumento dei prezzi di perle Akoya e South Sea. Un’altra nuova sfida per la gemmologia consiste nella determinazione delle perle provenienti da molluschi modificati geneticamente allo scopo di migliorarne la longevità e la qualità del nacre.

Identificazioni di gemme appartenenti a collezioni storiche e archeogemmologia

L’Italia ha un invidiabile patrimonio di gioielleria storica mediante il quale si possono approfondire diverse epoche. La gemmologia assolve al compito di identificare le caratteristiche delle pietre delle collezioni e di risalire — assieme all’archeologia — alle culture delle civiltà che le producevano.

Maura Fugazzotto (Università di Catania), “Gemstones from precious and historical liturgical ornaments in Sicily: a non-invasive chemical and mineralogical investigation”

La presentazione si innesta nel solco della ricerca sulla natura delle gemme incastonate sugli oggetti di oreficeria ecclesiastica del Museo Diocleziano di Catania e Caltagirone. Questa volta le tecniche utilizzate sono l’XRF e la Raman. Le gemme si sono rivelate essere perlopiù smeraldi, rubini, diamanti e quarzi, anche se in alcuni casi queste pietre sono state sostituite da vetri colorati.

Marco Torelli (Masterstones), “Pope Leo XII, gemological photography and implications in the era of metaverse”

Marco Torelli ha offerto una singolare presentazione che s’è sviluppata su un doppio binario, quello dei risultati preliminari di un lavoro di caratterizzazione storico-gemmologica d’un anello con diamante verde dotato di cangianza in dotazione del Museo de “La Sapienza” assieme ad alcune riflessioni sulle tecniche avanzate di ripresa fotografica utilizzate per rappresentarlo.

Il Papa Leone XII, amante e promotore delle arti, donò tale manufatto nel 1824. Questo anello consiste di un diamante taglio old mine di circa 2 carati (tipo IaAB, il picco a 503 nm rivela un difetto strutturale responsabile della luminescenza verde) su un piano di malachite, contornato da 24 rubini (in realtà 9 di questi sono spinelli). Secondo una ricostruzione della storica e gemmologa Francesca Fortunato, pare che la gemma nei suoi volumi evochi la forma d’una fonte battesimale, in particolare ricorderebbe la pianta ottagonale di quella dei Giardini Vaticani. In tale prospettiva anche il diamante, con il colore verde cangiante, assume il significato del cambiamento della vita che segue la celebrazione del sacramento.

Anello con diamante old mine di circa 2 carati, verde, dotato di cangianza, appartenuto a Papa Leone XII e conservato presso il Museo di Sapienza Università di Roma.
Figura 13  Anello con diamante old mine di circa 2 carati, verde, dotato di cangianza, appartenuto a Papa Leone XII e conservato presso il Museo di Sapienza Università di Roma. (Foto: Marco Torelli/Masterstones)

La ripresa ottimale d’un oggetto così rilevante, con particolari così minuti, è un lavoro altrettanto complesso quanto la ricostruzione e l’inquadramento storico-culturale. Messa a fuoco (selezione cioè dei cosiddetti cerchi di confusione da mettere in risalto) e distanza dall’oggetto, cioè la scelta della profondità di campo (quella di maggior fuoco), sono i fattori determinati per una ripresa soddisfacente. Per ottimizzare il risultato viene in soccorso lo stacking, la sovrapposizione di varie immagini con diversi fuochi elaborata da un software in postproduzione.

L’interessante prospettiva di questo contributo sicuramente sarà ripresa in un lavoro assai originale che Torelli sta portando avanti assieme ai professori Stagno e Macrì che IGR sicuramente pubblicherà in futuro.

Flavio Butini (IGN Roma, International Gemological Institute), “Prase, The Emperors’ Emerald”

Flavio Butini ha ripercorso con le armi a lui consuete della ricostruzione archeogemmologica la storia del prasio, un calcedonio cromoforo verde (così classificato da Lisbet Thoresen nel 2008) che è citato spesso nei testi di interesse gemmologico dell’antichità. Teofrasto e Plinio indicano il prasio tra le gemme verdi più pregiate assieme allo smeraldo e i reperti presenti nelle collezioni museali testimoniano dell’uso alquanto diffuso del prasio come gemma per incisioni, in un arco temporale che si estende dal sesto secolo a.C. al terzo secolo d.C.

Figura 14 Inclusioni tipiche di ossidi e solfuri di ferro all’interno dei prasi.
Figura 14 – Inclusioni tipiche di ossidi e solfuri di ferro all’interno dei prasi. (Foto: Flavio Butini/IGN Roma)

Una caratteristica che attesta il valore attribuito al prasio dagli antichi è che veniva usato per raffigurare figure apicali: gli imperatori Tiberio e Claudio, oltre allo stesso Alessandro Magno, sono stati immortalati in cammei realizzati su questa pietra, come anche figure femminili che hanno lasciato traccia nella storia di Roma, come Agrippina e Giulia.

Le analisi effettuate su alcuni di questi reperti, oltre che su molti altri appartenenti alla collezione privata Butini, hanno rilevato una convergenza di dati (I.R. 1,525–1,538; densità 2,58–2,64; fluorescenza inerte, rosso a rosa al filtro Chelsea; tipiche zonature e inclusioni di ossido di manganese e quarzo). Inoltre i risultati ottenuti dalle analisi EDXRF fanno ipotizzare che la principale fonte di reperimento del calcedonio cromoforo “classico” fosse specifica, con ogni probabilità Cipro. E ciò, del resto, confermerebbe quanto riferito da Plinio.

Il rimodellamento dell’industria delle gemme e dei gioielli. L’esempio di Valenza

Alessia Crivelli (Fondazione Mani Intelligenti), “Valenza e le sue ‘mani intelligenti’”
Per un imprevisto che ha impossibilitato la relatrice a raggiungere la Conferenza, la presentazione è stata condotta da Rocco Gay, il quale della Fondazione è peraltro socio. Mani Intelligenti è un progetto che insiste sul territorio di Valenza, un polo orafo che nell’ultimo decennio è in una fase di continua evoluzione. Valenza, una delle capitali del gioiello italiano, partendo dall’originale vocazione artigianale si è ormai trasformata in distretto industriale. L’esempio più eclatante è l’insediamento di Bulgari, che dai 710 addetti attuali mira a raddoppiare la manodopera nel 2028 per divenire la più grande fabbrica di gioielli al mondo. Ma anche Cartier, il gruppo LVMH e altri grandi attori stanno ampliando il raggio delle proprie attività sul territorio valenzano.

La Fondazione Mani Intelligenti mira proprio a facilitare lo sviluppo del tessuto produttivo tenendo conto delle tante criticità che possono pesare negativamente. Valenza non ha dotazioni infrastrutturali e logistiche abbastanza robuste da poter favorire l’ampliamento manifatturiero. Soprattutto manca un ricambio delle figure con competenze orafe. Il compito principale di “Mani intelligenti” consiste proprio nel favorire la costruzione di una rete di accoglienza in grado di formare giovani maestranze attraverso la cooperazione di aziende con enti di formazione. È previsto l’inserimento dei giovani nel vivo delle realtà produttive affiancando esperienze pratiche alla formazione teorica.

Una Tavola Rotonda per la trasparenza e la fair disclosure

Un gruppo di lavoro guidato dal Prof. Eugenio Scandale (Accademia Pugliese delle Scienze) ha presentato, durante la Tavola Rotonda che ha concluso la Conferenza, un documento condiviso contenente delle Linee Guida per il comparto orafo per la trasparenza con cui le pietre devono essere immesse in commercio. Si tratta di un passo avanti decisivo verso la responsabilizzazione degli operatori, una spinta verso la chiarezza e la correttezza nei confronti dei consumatori. Il mercato italiano soffre ancora per effetto di pratiche opache, se non del tutto fraudolente, causate dall’uso disinvolto di denominazioni e terminologia fuorviante.

Figura 15 Rinaldo Cusi, presidente dell’Associazione Italiana Gemmologi, interviene nella presentazione delle Linee Guida per la trasparenza nelle transazioni di gemme in Italia. (Foto: Domenico Angelino)
Figura 15  Rinaldo Cusi, presidente dell’Associazione Italiana Gemmologi, interviene nella presentazione delle Linee Guida per la trasparenza nelle transazioni di gemme in Italia. (Foto: Domenico Angelino)

Alla presentazione delle linee guida hanno partecipato, sotto la coordinazione del Prof. Scandale, Giovanni B. Andreozzi (Dipartimento Scienze della Terra – Sapienza Università di Roma), Rinaldo Cusi (Associazione Italiana Gemmologi), Antonello Donini (CISGEM), Rocco Gay (International Colored Gemstones Association), Paolo Minieri (IGR – Rivista Italiana di Gemmologia), Gennaro Mincione (Oromare), Loredana Prosperi (Istituto Gemmologico Italiano) e Arduino Zappaterra (CNA).

Tavola Rotonda Sponsor ITA
Figura 15a – La tavola rotonda.

IGR, vista l’importanza dell’argomento e del passo che il settore delle gemme e dei gioielli italiano sta finalmente realizzando dopo molti passaggi normativi andati a vuoto, dedicherà alla questione un approfondimento specifico nel numero 18.

I tagli impossibili: l’esposizione delle gemme lavorate dal mastro tagliatore Luigi Mariani

Calcite incolore di dimensioni ragguardevoli, sfalerite, ilvaite, realgar, topazio rosa, smithsonite, fluorite rosa e color changing, scheelite, cerussite, ortoclasio. Il veterano italiano celebre tagliatore di minerali non comuni, Luigi Mariani, ha esposto in una sala attigua a quella in cui si sono svolti i lavori della V Conferenza di Gemmologia una parte della sua variegata collezione.

Alcune delle magnifiche gemme tagliate da Luigi Mariani esposte durante la V Conferenza Nazionale di Gemmologia: una fluorite rosa da 82,15 carati dalla Mongolia, un’ambra verde da 22,94 carati di origine etiope, un opale arancione da 15,03 proveniente dal Tagikistan e un topazio light blue nigeriano da 44,50 carati
Figura 16 – Alcune delle magnifiche gemme tagliate da Luigi Mariani esposte durante la V Conferenza Nazionale di Gemmologia: una fluorite rosa da 82,15 carati dalla Mongolia, un’ambra verde da 22,94 carati di origine etiope, un opale arancione da 15,03 proveniente dal Tagikistan e un topazio light blue nigeriano da 44,50 carati. (Foto: Elio Armando Minieri)

«Ho sempre provato a tagliare “i materiali impossibili”, minerali “morbidi” che anche tagliatori professionisti faticano a tagliare», ha dichiarato Mariani ai tantissimi visitatori, soprattutto giovani incuriositi dalle ingegnose soluzioni geometriche degli stili di taglio. «Mai smettere di provare, anche un fallimento è una grande lezione da cui si può imparare!». Mariani, 77 anni, ha applicato al taglio le sue competenze maturate nel campo della meccanica di precisione.

Figura 17 – Figura Quarzo ialino da 168,10 carati, design “Seed of Life”, proveniente dal Monte Bianco (Italia) e tagliato da Luigi Mariani, esposto durante la V Conferenza Nazionale di Gemmologia. (Foto: Elio Armando Minieri)

Le sue creazioni sono apprezzate e fanno parte di numerose collezioni.

In chiusura, le speed presentations dei giovani relatori selezionati

Una delle novità dell’edizione di quest’anno è stata l’introduzione delle speed presentations, esposizioni veloci presentate dai giovani relatori che hanno utilizzato lo spazio a loro dedicato per esporre i risultati dei loro recenti lavori realizzati.

Antonio Angellotti ha presentato un lavoro dedicato alle inclusioni minerali nei diamanti superprofondi di Juína (Brasile); Sara Monico è intervenuta con una ricerca sulla nuova varietà di calcedonio chiamata “acquaprasio”; Marco Palumbo ha discusso dei risultati dell’analisi di vetri d’epoca romana; Lorenzo Pasetti si è dedicato allo studio delle tormaline tramite spettroscopia Raman; Chiemi Sasajima ha affrontato il tema del corallo giapponese e dei nuovi sviluppi; Flavio Butini ha illustrato la ricerca di Rose Marie Scappin dedicata allo studio e alla valutazione di sensori elastometrici 3D nell’analisi glittica classica; Marilisa Yolanda Spironello ha affrontato, nel suo intervento, il tema dell’utilizzo del corallo siciliano nei manufatti del quindicesimo e del sedicesimo secolo.

Articolo di Paolo Minieri e Stefania Coppola, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 17, Autunno 2023.

spot_img

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

NEWS

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Dal Magazine