Era il febbraio del 1993 quando, contemporaneamente alla rivista greca di gioielleria Chrysotechni, vennero presentati alla Jewelry Fair di Atene i rubini sintetici Douros. Il nome era quello di due fratelli, John e Angelo, un fisico e un ingegnere elettrotecnico, specializzati nel raffinare metalli preziosi. Utilizzando le due fornaci della loro ditta al Pireo, sperimentarono composizioni chimiche, gradi di temperatura e tempi di crescita fino a realizzare un rubino sintetico flux a nucleazione spontanea che è entrato ormai nella storia della gemmologia; l’indice di rifrazione, la densità, lo spettro di assorbimento, la fluorescenza e il dicroismo: tutte le proprietà fisiche identiche a quelle del rubino naturale.
John e Angelo
Li incontrai per la prima volta nel 1996, e il nostro rapporto, da puramente commerciale, si trasformò in amicizia, il che favorì scambi di notizie scientifiche in quel campo che accomunava tutti e tre: la smisurata e irrefrenabile passione per le gemme di sintesi.
Dinamico e intuitivo John, metodico e riflessivo Angelo: una coppia perfetta che, in sintonia, riusciva a “sentire” i processi chimici e fisici che avvenivano nel buio del crogiolo di grafite. Il loro era un talento naturale per la sperimentazione scientifica, e sentirli parlare di processi di sintesi è stata veramente un’esperienza incredibilmente affascinante. Come lo è stata la loro storia, inscindibilmente legata ai loro rubini.
La produzione dei rubini sintetici Douros iniziò nel 1993/94 raggiungendo circa i 2.000 ct al mese di grezzo, da cui si potevano ricavare circa 300 ct di materiale sfaccettato; erano gemme che non superavano gli 8 carati, di varia qualità e purezza – comunque sempre molto inclusi – di colore spesso scuro, tendente al violaceo. Il costo non era elevato, poiché venivano penalizzati dalla qualità inferiore a quella alle produzioni contemporanee, come i Rubini sintetici Ramaura e Chatham.
Erano comunque una novità nel panorama delle gemme di sintesi, ed ebbero un discreto successo; poi, nei due anni successivi, la commercializzazione diminuì: effettivamente, nemmeno io ebbi molto successo nella vendita dei loro rubini: il rosso troppo scuro e le inclusioni eccessivamente evidenti non incontravano il gusto dei consumatori italiani.
Anche la produzione non era costante: John Douros mi disse con disarmante semplicità che a volte la corrente industriale al Pireo veniva a mancare per alcune ore, e che quindi il procedimento di crescita veniva interrotto, vanificando magari settimane di lavoro. Poi, nel 2002, la svolta.
Carrol e Tom
Tom Chatham era il figlio di Carrol, famosissimo produttore di gemme che chiamò con il suo nome: i primi Smeraldi flux furono i suoi, creati nel 1938 nel suo laboratorio di San Francisco, a cui seguì la produzione di corindoni sintetici (rubino, zaffiro e padparacha). Il metodo Verneuil – a quei tempi l’unico diffuso – non permetteva di produrre anche smeraldi, dato che il silicato di alluminio e berillo, colorato dal cromo, non fondeva insieme a tutti gli elementi della sintesi: alcuni evaporavano prima che gli altri fossero sciolti. Chatham trovò una soluzione geniale: un solvente – chiamato appunto “flux” – composto da una combinazione di sostanze chimiche con la proprietà di mantenere lo stato liquido a temperature molto elevate, senza evaporare (ossido di Litio, ossido di Molibdeno e ossido di Vanadio), ogni creatore poi trovò la propria formula segreta: dunque, una miscela fusa, stabile e controllata, capace di fondere insieme tutti i componenti e far crescere il cristallo da un seme o per nucleazione spontanea.
In USA ebbero un buon successo commerciale e la Chatham Company crebbe notevolmente diventando leader del mercato delle sintesi di lusso; Carrol non era solamente un ottimo scienziato, ma anche un abile venditore di se stesso. Le sue gemme sintetiche, poi, erano di ottima qualità, perfette nella trasparenza, nel taglio, nel colore e con un vasto inventario di forme e misure.
Alla morte di Carrol, nel 1983, il figlio Tom lo sostituì nella conduzione della compagnia; la rafforzò ed ampliò, dimostrando grandi capacità manageriali. Non poteva certo prevedere il terremoto di magnitudo 7,1 che nel 1989 devastò la baia di San Francisco, e con questa, anche il laboratorio della produzione Chatham.
Tom non aveva la stessa passione né la capacità scientifica del padre, ma era indiscutibilmente un genio del marketing, e invece di ricostruire i laboratori, scelse un’altra via. Prese contatti con i migliori produttori di gemme sintetiche nel mondo, ne curò la qualità dei loro prodotti, il colore, il taglio, la pulitura, la limpidezza che rimasero insuperati. E diede loro il suo nome. Chatham era oramai molto famoso in USA e nel mondo, i suoi prodotti erano unici. Continuò a chiamarli “Chatham” e continuarono ad essere unici.
Aspetto al microscopio
Si possono riscontrare:
- frequenti zone prive di inclusioni,
- caratteristici veli formati da microscopiche goccioline di fondente che generalmente si riscontrano in altri rubini sintetici creati con il metodo flux,
- cavità arrotondate e allungate con residui di fondente giallo,
- inclusioni a bolla di residui di flux che ricordano quelle bifasiche,
- inclusioni di fondente orientate in modo regolare secondo l’aspetto cristallografico,
- veli a “canali interconnessi”, simili a quelli dei rubini naturali trattati con il borace.
All’esame ottico e microscopico le caratteristiche delle zone del cristallo con scarse inclusioni sono facilmente confondibili con quelle dei rubini naturali, occorrono esami più approfonditi per accertarne la natura sintetica.
L’aspetto del grezzo
Esame del grezzo DourChat
La svolta
Chatham quindi aveva bisogno di esperti “crescitori” di gemme, possibilmente con un proprio laboratorio e a costi bassi, e i Douros avevano bisogno di una forza economica per continuare la loro produzione: nacque così un sodalizio perfetto per cui i Douros lavorarono in esclusiva e molto, molto discretamente per Chatham, creando Rubini sintetici nel loro laboratorio al Pireo. Fu John a raccontarmelo, e la mia collezione si arricchì di alcuni rubini creati proprio in questo periodo.
Ma la collaborazione fra loro non si limitò solamente ad una crescita per procura, perché Tom Chatham conosceva i segreti del padre, e li condivise con i Douros: uno scambio di informazioni scientifiche che cambiarono non solo il colore, ma anche l’abito cristallino dei rubini dei due fratelli. Era nata una nuova generazione di Douros (per brevità li chiamerò “DourChat“).
I fratelli Douros continuarono a produrre cristalli grezzi di rubino per Chatham fino a circa il 2007, poi la collaborazione finì. Chatham si rivolse ad altri produttori russi e cinesi.
Happy end
Ma la storia dei Douros non finì qui, perché la loro competenza ed esperienza di “crescitori di cristalli”, arricchita dal sodalizio con Chatham, era oramai unica; nel frattempo, infatti, anche la Ramaura di Judy Osmer aveva chiuso i battenti, e nessuno oramai produceva cristalli di rubino con il metodo flux. Il nuovo capitolo della loro storia aveva in serbo nuove sorprese: prima fra tutte l’idea di rivestire grossi frammenti di boule di rubino Verneuil con uno spessore di alcuni millimetri di rubino creato con il metodo flux che andava via via crescendo su di esso (coated); durante il processo, la base di rubino Verneuil subiva un riscaldamento termico che ampliava le microfessure già presenti e ne creava di nuove, ma il corindone in crescita e il flux le riempivano. Il risultato? Rubini sintetici di grandi dimensioni, di ottimo colore e splendide inclusioni molto “naturali”, a prezzi decisamente contenuti. Una tecnica per quei tempi innovativa e unica, che trovò immediato mercato in Thailandia, da cui poi si diffuse nel mondo.
Pochi sanno che i fratelli Douros furono i primi a creare i corindoni con inclusioni indotte termicamente per frattura (thermal cracking) in modo molto naturale.
Prima di allora in Thailandia i rubini, gli zaffiri e altri corindoni sintetici venivano “craccati” molto rozzamente, riscaldati, immersi in olio e poi riempiti con vetro al borace o altro; i risultati erano pessimi, le pietre spesso si spaccavano causando un notevole spreco di materiale; il loro aspetto era spesso opaco e poco attraente, con fratture interne molto rozze e innaturali.
Sempre per brevità, chiamerò questa ultima creazione dei fratelli Douros “DourCoat” e andrò ad analizzare, una per una, le tre tipologie di Rubino che hanno fatto la loro, ma anche la nostra storia.
L’aspetto delle gemme tagliate
In conclusione, l’aspetto inclusivo dei DourChat presenta le seguenti caratteristiche:
- veli di fondente simili ai Rubini naturali riscaldati o trattati con borace;
- cavità arrotondate a bolla allungata simili a inclusioni bifasiche;
- inclusioni frastagliate a “merletto”, a “scrittura” e poligonali, di canali interconnessi simili a quelli dei Rubini naturali trattati,
- tracce di flux parallele tra loro.
I Douros Coated
La tecnica di ricopertura di gemme naturali o sintetiche con i più disparati trattamenti e materiali sia a caldo che a freddo è nota fin dall’antichità. Ma la prima vera tecnologicamente avanzata fu effettuata negli anni ‘60 dall’austriaco Lechleitner che riuscì a fare crescere, con il metodo idrotermale, una sottile pellicola di smeraldo sintetico sulla superfice di un berillo naturale quasi incolore. Non si hanno invece notizie di rubini sintetici ricoperti di altro rubino sintetico prodotti in grande quantità a scopo commerciale fino al 2007, anno appunto della loro produzione da parte dei fratelli Douros.
Gli altri “crescitori “di sintesi non concepivano il principio che una gemma sintetica potesse essere ricoperta da un’altra pure sintetica: la loro missione era di imitare e superare la natura, creando gemme perfette, senza correzioni a posteriori. Ma i fratelli Douros non la pensavano così, e ribaltarono il principio dell’inseminazione del flux: non un piccolo seme di rubino sintetico Verneuil su di cui si sviluppava l’edificio cristallino di un altro rubino sintetico, ma un grosso frammento di Verneuil su di cui cresceva uno strato più o meno sottile di rubino sintetico con il metodo flux.
Il procedimento di ricottura controllata del procedimento permetteva di creare gemme con ottime caratteristiche di brillantezza, colore e inclusioni molto simili alle naturali, correggendo lo spiacevole aspetto vetroso e privo di inclusioni dei rubini Verneuil. Sostanzialmente era un processo di valorizzazione di una sintesi già esistente con l’apporto di modifiche gradite al mercato.
Secondo le spiegazioni di John Douros – e c’è da crederci – la ricottura (annealling) non era per niente facile, perché i rubini sintetici Verneuil, come noto, sono dei monocristalli con intense tensioni interne e microfenditure causate dalla rapida crescita e dalla differenza di gradiente termico tra la testa di formazione e il resto del cristallo. Condizioni che li rendono fragili e sensibili alle variazioni di temperatura, perfino il riscaldamento con una semplice fiamma può causare la fratturazione del cristallo in piccoli pezzi irregolari.
La permanenza nel flux ad alta temperatura per almeno due o tre settimane poteva ulteriormente danneggiare e degradare i monocristalli Verneuil. A quei tempi non esistevano studi a riguardo, e i fratelli Douros, dopo avere fatto numerosi esperimenti, inventarono un procedimento di ricottura che “temperava“ le boule di rubino Verneuil eliminando le tensioni interne e spesso anche le “linee curve” di accrescimento.
Il processo di ricottura durava circa una settimana e consisteva nel riscaldare le boule Verneuil di rubino sintetico in un forno elettrico, seguendo un ciclo di riscaldamento e raffreddamento che progressivamente, ogni volta, aumentava del 10% il punto minimo e quello massimo della temperatura, fino a raggiungere i 1300°, stabili per almeno 48 ore. Poi, molto lentamente, veniva introdotta la miscela in polvere che componeva il flux di crescita e iniziava così la formazione del coating cristallino sulla superfice dei frammenti di boule di Rubino Verneuil. Data la grandezza del ”seme”, la crescita era veloce, circa mezzo millimetro al giorno.
Sui campioni in mio possesso il coating è di spessore variabile con un massimo di circa 4 millimetri. Se si continuasse il processo per giorni, la crescita continuerebbe, fino a assumere l’aspetto di un conglomerato cristallino di frammenti di boule e nuovi cristalli, ma la cosa non sarebbe conveniente dal punto di vista economico, perché più aumenta lo spessore di coating, più aumenta in modo scalare il suo tempo di formazione, e quindi, la permanenza nel forno, con l’aggravio di maggiori costi energetici, peggiorandone inoltre l’aspetto.
Con il trattamento di ricottura e successivo coating avviene un altro importante fenomeno che riguarda le microfenditure che si originano nella formazione del monocristallo Verneuil; queste non sono da intendersi come fratture, ma come dislocazioni di crescita del tessuto cristallino della boule che originano dei “vuoti” di dimensione di alcune centinaia di nanometri, a volte visibili al microscopio in liquido di contrasto.
Con il processo, le microfenditure si ampliano con il rilassamento plastico della struttura cristallina dovuta all’alta temperatura dando origine ad alcune tipologie di strutture che dipendono dalla larghezza della microfenditura:
- si saldano formando dei veli praticamente identici ai naturali;
- si riempiono di flux dando origine a varie visibili strutture tra cui interessanti cristallizzazioni esagonali di corindone formatesi per capillarità.
- danno origine a sottili fratture più o meno estese con la caratteristica di avere la forma “ a ginocchio”, ad angolo acuto, incrociate e concoidi.
Esame al microscopio del grezzo
L’aspetto delle gemme tagliate
Le inclusioni sono caratteristiche e si possono così riassumere:
- cristallizzazioni a forma poligonale sia regolare che irregolare formatesi per capillarità nelle microfratture;
- veli formati da minutissime gocce di fondente;
- veli formati dalla saldatura tra loro delle pareti della microfenditura;
- veli in microfratture con forma a ginocchio, incrociati, concoidi e ad angolo acuto;
- linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari confondibili con la geminazione polisintetica lamellare dei rubini naturali (struttura molto rara e particolare che difficilmente si riscontra in un rubino di sintesi);
- striature curvilinee parallele tipiche dei rubini Verneuil;
- cavità arrotondate a bolla allungata simili a inclusioni bifasiche.
Conclusione
I fratelli John e Angelo Douros hanno indubbiamente rappresentato un momento importante nella storia della creazione dei Rubini sintetici.
Le loro geniali intuizioni e la loro passione hanno messo a punto una serie di originali procedimenti di creazione e trattamenti che sono ancora oggi utilizzati per la realizzazione di bellissimi Rubini sintetici impiegati in gioielleria.
I rubini sintetici DourCoat sono stati prodotti in notevole quantità e sono ancora presenti sul mercato delle gemme di sintesi, ma ora i fratelli Douros, concentrati nel loro lavoro di sempre, la raffinazione di metalli preziosi, non ne producono più; hanno però aperto la strada ad alcuni piccoli produttori, soprattutto thailandesi, che hanno intuito e migliorato il procedimento di trattamento termico dei corindoni Verneuil di qualsiasi colore.
Queste gemme non subiscono un coating, ma solo un trattamento termico e – a volte – un leggero bagno nel flux con risultati incredibili dal punto di vista inclusivo: le inclusioni a velo, infatti, sono delicate e identiche alle naturali, non si vedono veli a ginocchio, incrociati o ad angolo acuto. Spesso non sono nemmeno rintracciabili le linee di crescita tipiche della sintesi Verneuil. Sono gemme sintetiche estremamente difficili da identificare, e possono trarre in inganno, dato l’aspetto inclusivo visivamente identico ai naturali. Per una sicura identificazione occorrono ulteriori esami con strumenti più sofisticati.
Ritengo che siano le sintesi di rubino attualmente più diffuse.
Le foto e i materiali gemmologici fotografati sono di proprietà dell’autore.
Bibliografia
1987 – Journal of Gemology, Vol. 20, pp.294-305 – On twinning in natural and synthetic flux-grow ruby Schmetzer k.
1993 – Chrysotechni, Vol. 4, No. 45 – Douros J. , Douros A. Cultivared ruby from Greek production.
1993 – JewelSiam, Vol. 4, No. 4, pp 106-114; No 5, p. 16 – New flux –grow synthetic rubies from Greece -Smith C.P., Bosshart G.
1993 – ICA Early Warning Flash, Laboratory alert No 71, June 8, 1993 – Flux synthetic ruby alleged European production – Hanni H.A, Bosshart G.
1994 – Gems & Gemology, Summer 1994, Vol. 30, No. 2 – Sintetic Rubies by Douros: A New Challenge for Gemologists – Peer Reviewed ArticleHenry A. Hänni, Karl, and Heinz-Jürgen Bernhardt
1994 – Journal of Gemology, Vol. 24, pp. 87-93 -Twinning in Ramaura synthetic rubies.– Schmetzer K., Smith C.P., Bosshart G, Medenbach O.
1994 – Jewellery News Asia – September 1994 – How to identify Douros synthetic rubies – Asian institute of gemological sciences.
A cura di Alberto Malossi, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia nr. 4, Estate 2018.
Excelente articulo, muy recomendado para laboratorios de deteccion de sinteticos gracias por compartir
Gracias Andres!
Estimado Sr Alberto Malossi en orden de entender mejor la tecnologia con la cual trabajaban los hermanos Douros podria usted proporcinarme si fuera posible
A) De que material refractario estaban hechas las paredes del horno
B) De que material estaban hechas las resistencias que calentaban el horno
Gentile Andres, abbiamo contattato Alberto Malossi che ha gentilmente risposto alla sua domanda.
“Va bene qualsiasi forno elettrico indipendentemente dal rivestimento, basta che raggiunga la temperatura di circa 1.400 gradi necessaria al processo che comunque avviene in crogioli di grafite o platino posti all’interno del forno.
I Douros usavano un forno con caricamento dall’alto perché la loro attività principale non erano i Rubini ma la raffinazione di metalli nobili. Il rivestimento dei forni solitamente è fatto di un impasto refrattario a base di ossido di alluminio. La resistenza era in carburo di silicio adatta alle alte temperature e funzionamento in continuo.
In allegato una foto del forno di Judy Osmer per i Ramaura fatta quando sono andato a trovarla a Los Angeles.
Alberto Malossi”
Thank you very much dear Mr Alberto Malossi for your good and excellent answers Thanks again for your noble action
Gracias rivista di gemmologia italiana por contactar al Sr Alberto Malossi. Fue de incalculable valor su gesto de ayuda.
De nada!
Splendide fotografie ed ancor piu’avvincente lo studio , ebbi il piacere di conoscere il signor Douros e da lui comperai un grezzo che ancora ho.
Ho passato piu’ di un ora di vero piacere con voi ,grazie.
Grazie a lei e grazie ovviamente ad Alberto Malossi, l’autore di questo meraviglioso articolo!