domenica, Aprile 28, 2024
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La storia mai raccontata dei rubini sintetici Douros

Era il febbraio del 1993 quando, contemporaneamente alla rivista greca di gioielleria Chrysotechni, vennero presentati alla Jewelry Fair di Atene i rubini sintetici Douros. Il nome era quello di due fratelli, John e Angelo, un fisico e un ingegnere elettrotecnico, specializzati nel raffinare metalli preziosi. Utilizzando le due fornaci della loro ditta al Pireo, sperimentarono composizioni chimiche, gradi di temperatura e tempi di crescita fino a realizzare un rubino sintetico flux a nucleazione spontanea che è entrato ormai nella storia della gemmologia; l’indice di rifrazione, la densità, lo spettro di assorbimento, la fluorescenza e il dicroismo: tutte le proprietà fisiche identiche a quelle del rubino naturale.

Figura 1 – A partire da sinistra verso destra: 2 rubini Douros prima maniera, poi 2 rubini DourChat ed infine 2 rubini DourCoat. (Foto: Alberto Malossi)

John e Angelo

Li incontrai per la prima volta nel 1996, e il nostro rapporto, da puramente commerciale, si trasformò in amicizia, il che favorì scambi di notizie scientifiche in quel campo che accomunava tutti e tre: la smisurata e irrefrenabile passione per le gemme di sintesi.

Dinamico e intuitivo John, metodico e riflessivo Angelo: una coppia perfetta che, in sintonia, riusciva a “sentire” i processi chimici e fisici che avvenivano nel buio del crogiolo di grafite. Il loro era un talento naturale per la sperimentazione scientifica, e sentirli parlare di processi di sintesi è stata veramente un’esperienza incredibilmente affascinante. Come lo è stata la loro storia, inscindibilmente legata ai loro rubini.

La produzione dei rubini sintetici Douros iniziò nel 1993/94 raggiungendo circa i 2.000 ct al mese di grezzo, da cui si potevano ricavare circa 300 ct di materiale sfaccettato; erano gemme che non superavano gli 8 carati, di varia qualità e purezza – comunque sempre molto inclusi – di colore spesso scuro, tendente al violaceo. Il costo non era elevato, poiché venivano penalizzati dalla qualità inferiore a quella alle produzioni contemporanee, come i Rubini sintetici Ramaura e Chatham.

Erano comunque una novità nel panorama delle gemme di sintesi, ed ebbero un discreto successo; poi, nei due anni successivi, la commercializzazione diminuì: effettivamente, nemmeno io ebbi molto successo nella vendita dei loro rubini: il rosso troppo scuro e le inclusioni eccessivamente evidenti non incontravano il gusto dei consumatori italiani.

Anche la produzione non era costante: John Douros mi disse con disarmante semplicità che a volte la corrente industriale al Pireo veniva a mancare per alcune ore, e che quindi il procedimento di crescita veniva interrotto, vanificando magari settimane di lavoro. Poi, nel 2002, la svolta.

Tabella 1 – I primi rubini Douros

Carrol e Tom

Tom Chatham era il figlio di Carrol, famosissimo produttore di gemme che chiamò con il suo nome: i primi Smeraldi flux furono i suoi, creati nel 1938 nel suo laboratorio di San Francisco, a cui seguì la produzione di corindoni sintetici (rubino, zaffiro e padparacha). Il metodo Verneuil – a quei tempi l’unico diffuso – non permetteva di produrre anche smeraldi, dato che il silicato di alluminio e berillo, colorato dal cromo, non fondeva insieme a tutti gli elementi della sintesi: alcuni evaporavano prima che gli altri fossero sciolti. Chatham trovò una soluzione geniale: un solvente – chiamato appunto “flux” – composto da una combinazione di sostanze chimiche con la proprietà di mantenere lo stato liquido a temperature molto elevate, senza evaporare (ossido di Litio, ossido di Molibdeno e ossido di Vanadio), ogni creatore poi trovò la propria formula segreta: dunque, una miscela fusa, stabile e controllata, capace di fondere insieme tutti i componenti e far crescere il cristallo da un seme o per nucleazione spontanea.

In USA ebbero un buon successo commerciale e la Chatham Company crebbe notevolmente diventando leader del mercato delle sintesi di lusso; Carrol non era solamente un ottimo scienziato, ma anche un abile venditore di se stesso. Le sue gemme sintetiche, poi, erano di ottima qualità, perfette nella trasparenza, nel taglio, nel colore e con un vasto inventario di forme e misure.

Alla morte di Carrol, nel 1983, il figlio Tom lo sostituì nella conduzione della compagnia; la rafforzò ed ampliò, dimostrando grandi capacità manageriali. Non poteva certo prevedere il terremoto di magnitudo 7,1 che nel 1989 devastò la baia di San Francisco, e con questa, anche il laboratorio della produzione Chatham.

Tom non aveva la stessa passione né la capacità scientifica del padre, ma era indiscutibilmente un genio del marketing, e invece di ricostruire i laboratori, scelse un’altra via. Prese contatti con i migliori produttori di gemme sintetiche nel mondo, ne curò la qualità dei loro prodotti, il colore, il taglio, la pulitura, la limpidezza che rimasero insuperati. E diede loro il suo nome. Chatham era oramai molto famoso in USA e nel mondo, i suoi prodotti erano unici. Continuò a chiamarli “Chatham” e continuarono ad essere unici.

Aspetto al microscopio

Si possono riscontrare:

  • frequenti zone prive di inclusioni,
  • caratteristici veli formati da microscopiche goccioline di fondente che generalmente si riscontrano in altri rubini sintetici creati con il metodo flux,
  • cavità arrotondate e allungate con residui di fondente giallo,
  • inclusioni a bolla di residui di flux che ricordano quelle bifasiche,
  • inclusioni di fondente orientate in modo regolare secondo l’aspetto cristallografico,
  • veli a “canali interconnessi”, simili a quelli dei rubini naturali trattati con il borace.

All’esame ottico e microscopico le caratteristiche delle zone del cristallo con scarse inclusioni sono facilmente confondibili con quelle dei rubini naturali, occorrono esami più approfonditi per accertarne la natura sintetica.

Figura 2 – Veli sottilli da fondente. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 3 – Inclusioni a bolla. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 4 – Inclusioni a canali interconnessi. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 5 – Inclusioni da fondente orientate secondo i piani di crescita del cristallo. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 6 – Linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari con aspetto molto simile alla geminazione polisintetica lamellare dei rubini naturali. (Foto: Alberto Malossi)

L’aspetto del grezzo

Figura 7 – Intero crogiuolo di rubino Douros di prima generazione nella fase iniziale di cristallizzazione. Come riportato in diversi studi, il rubino Douros di prima generazione nasce per nucleazione spontanea con il metodo da fondente “flux” (una miscela segreta di fondenti) in un crogiuolo di grafite (per motivi economici non venivano usati crogiuoli di platino). L’unico elemento distintivo rispetto agli altri procedimenti “flux” era la forte presenza di piombo (probabilmente i Douros usavano floruro e ossido di piombo) che serviva ad abbassare la temperatura di fusione dei componenti e la miscibilità tra loro. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 8 – Come è noto, i cristalli di rubini Douros di prima generazione cristallizzano in due abiti: romboedrico e tabulare, ma anche in forme intermedie.
In figura, Douros 1° maniera (Romboedro). (Foto: Alberto Malossi)
Figura 9 – Come è noto, i cristalli di rubini Douros di prima generazione cristallizzano in due abiti: romboedrico e tabulare, ma anche in forme intermedie.
In figura, Douros I° maniera (Tabulare accoppiata). (Foto: Alberto Malossi)
Figura 10 – Come si vede dalle foto, nella prima fase di crescita la forma romboedrica predomina in sottili cristalli intrecciati tra loro in modo non ordinato.
In figura, cristalli esagonali in via di ingrossamento. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 11 – Come si vede dalle foto, nella prima fase di crescita la forma romboedrica predomina in sottili cristalli intrecciati tra loro in modo non ordinato.
In figura, cristalli esagonali appena formati. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 12 – L’aspetto cristallino tabulare accoppiato gemellare è particolare nei rubini Douros, direi unico. Questa foto presenta il frammento cristallino precedente ma rovesciato, è interessante notare come il “flux” si è praticamente dissolto. Nell’immagine, cluster precedente fotografato rovesciato, è visibile il fondo di crescita cristallino privo di residui di “flux”. (Foto: Alberto Malossi)

Esame del grezzo DourChat

Figura 13 – Aggregato cristallino di DourChat. I tempi di cristallizzazione sono lunghi, variano da due a tre mesi, ad una temperatura costante che si aggira intorno ai 1300° a pressione atmosferica. La difficoltà incontrata dai fratelli Douros per la produzione di rubini perfetti e in modo costante era dovuta alla rudimentale tecnologia dei forni elettrici con scarsa coibenza, con i quali non era facile mantenere una temperatura costante, peraltro fondamentale per una crescita perfetta dei cristalli, soprattutto di grandi dimensioni. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 14 – Cristalli singoli di DourChat. La forma dei cristalli del grezzo cambia completamente rispetto ai precedenti di prima generazione, poiché diventano massicci e assumono forma tabulare di una bipiramide esagonale tronca (pentagonal bifrustum). L’aspetto dei cristalli è singolare, non ho trovato corrispondenze con il grezzo dei Chatham tradizionali, né con i Ramaura e neppure con gli Kniska: sarebbe interessante approfondirne l’aspetto cristallografico per valutarne le simmetrie di crescita.
In natura cristalli simili sono riscontrabili nei giacimenti Burmesi di Mogok, nei quali, oltre che prismi tabulari esagonali che oscillano tra la pinacoide basale e la piramide, si possono trovare anche i prismi con le facce romboedriche.
Le tracce di flux che si riscontrano esternamente sui cristalli sono di colore bianco e non giallastro come nei primi Douros, questo significa che la sua composizione è variata e probabilmente non entrano più nella composizione dei composti piombici. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 15 – Cristallo grezzo di DourChat. La crescita dei cristalli non avviene più per nucleazione spontanea, ma per “inseminazione” con frammenti di rubino sintetico “Verneuil” che vengono immessi nella massa fusa quando tutti i componenti del fluido di crescita “flux” si sono sciolti e amalgamati fra loro: il seme ne innesca la crescita.
La ragione del cambiamento tra la nucleazione spontanea e l’inseminazione risiede nel fatto che con quest’ultimo metodo i tempi di crescita si riducono notevolmente e anche le temperature, consentendo un notevole risparmio di attrezzature e soprattutto di costi energetici. In immersione i cristalli grezzi appaiono trasparenti verso la superficie esterna e più inclusi verso l’interno. Alcune inclusioni di flux, parallele alla faccia romboedrica del cristallo, potrebbero indicare uno sviluppo iniziale di lamine tabulari che poi si uniscono in un edificio cristallino di aspetto diverso. Esaminandoli con attenzione, in alcuni si vede il cristallo seme che, come accade solitamente in altre sintesi, avendo un punto di fusione superiore, non si scioglie nella massa fusa dei flux. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 16 – Inclusioni parallele di flux tipiche in questa sintesi. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 17 – Cristallo grezzo di DourChat. Sono visibili i residui di flux bianco. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 18 – Cristallo grezzo di DourChat dove è visibile al centro, esternamente, una zona più chiara: si tratta del cristallo seme. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 19 – Cristallo grezzo di DourChat. Ingrandimento della foto precedente che evidenzia il seme (frammento di corindone Verneuil). (Foto: Alberto Malossi)
Figura 20 – Altro cristallo seme di DourChat. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 21 – Inclusioni di fondente all’interno del cristallo grezzo di DourChat. (Foto: Alberto Malossi)

La svolta

Chatham quindi aveva bisogno di esperti “crescitori” di gemme, possibilmente con un proprio laboratorio e a costi bassi, e i Douros avevano bisogno di una forza economica per continuare la loro produzione: nacque così un sodalizio perfetto per cui i Douros lavorarono in esclusiva e molto, molto discretamente per Chatham, creando Rubini sintetici nel loro laboratorio al Pireo. Fu John a raccontarmelo, e la mia collezione si arricchì di alcuni rubini creati proprio in questo periodo.

Ma la collaborazione fra loro non si limitò solamente ad una crescita per procura, perché Tom Chatham conosceva i segreti del padre, e li condivise con i Douros: uno scambio di informazioni scientifiche che cambiarono non solo il colore, ma anche l’abito cristallino dei rubini dei due fratelli. Era nata una nuova generazione di Douros (per brevità li chiamerò “DourChat“).

I fratelli Douros continuarono a produrre cristalli grezzi di rubino per Chatham fino a circa il 2007, poi la collaborazione finì. Chatham si rivolse ad altri produttori russi e cinesi.

Happy end

Ma la storia dei Douros non finì qui, perché la loro competenza ed esperienza di “crescitori di cristalli”, arricchita dal sodalizio con Chatham, era oramai unica; nel frattempo, infatti, anche la Ramaura di Judy Osmer aveva chiuso i battenti, e nessuno oramai produceva cristalli di rubino con il metodo flux. Il nuovo capitolo della loro storia aveva in serbo nuove sorprese: prima fra tutte l’idea di rivestire grossi frammenti di boule di rubino Verneuil con uno spessore di alcuni millimetri di rubino creato con il metodo flux che andava via via crescendo su di esso (coated); durante il processo, la base di rubino Verneuil subiva un riscaldamento termico che ampliava le microfessure già presenti e ne creava di nuove, ma il corindone in crescita e il flux le riempivano. Il risultato? Rubini sintetici di grandi dimensioni, di ottimo colore e splendide inclusioni molto “naturali”, a prezzi decisamente contenuti. Una tecnica per quei tempi innovativa e unica, che trovò immediato mercato in Thailandia, da cui poi si diffuse nel mondo.

Pochi sanno che i fratelli Douros furono i primi a creare i corindoni con inclusioni indotte termicamente per frattura (thermal cracking) in modo molto naturale.

Prima di allora in Thailandia i rubini, gli zaffiri e altri corindoni sintetici venivano “craccati” molto rozzamente, riscaldati, immersi in olio e poi riempiti con vetro al borace o altro; i risultati erano pessimi, le pietre spesso si spaccavano causando un notevole spreco di materiale; il loro aspetto era spesso opaco e poco attraente, con fratture interne molto rozze e innaturali.

Sempre per brevità, chiamerò questa ultima creazione dei fratelli Douros “DourCoat” e andrò ad analizzare, una per una, le tre tipologie di Rubino che hanno fatto la loro, ma anche la nostra storia.

L’aspetto delle gemme tagliate

In conclusione, l’aspetto inclusivo dei DourChat presenta le seguenti caratteristiche:

  • veli di fondente simili ai Rubini naturali riscaldati o trattati con borace;
  • cavità arrotondate a bolla allungata simili a inclusioni bifasiche;
  • inclusioni frastagliate a “merletto”, a “scrittura” e poligonali, di canali interconnessi simili a quelli dei Rubini naturali trattati,
  • tracce di flux parallele tra loro.
Figura 22 – Nella parte superiore della gemma, frattura da shock termico parzialmente riempita di flux. Nella parte inferiore si sviluppa una texture “a merletto”.
Le inclusioni sono particolari e per certi aspetti diverse dagli altri rubini sintetici creati con il metodo flux: quindi è possibile identificarli con certezza.
Le tracce di flux all’interno del cristallo si organizzano in disegni complessi che rispecchiano la morfologia di crescita del cristallo, visibili nelle foto seguenti. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 23 – Tracce di flux parallele. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 24 – Ingrandimento della foto precedente in cui si notano, nella parte inferiore, tracce disordinate di flux bifasiche di aspetto tipico delle sintesi di rubino. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 25 – Inclusioni a forma di “scruttura” e “merletto”, bande di colore a destra. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 26 – Rubino della foto precedente fotografato in luce diretta. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 27 – Inclusioni a “merletto” poligonali. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 28 – Ingrandimento della foto precedente. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 29 – Inclusioni miste con bande di colore. (Foto: Alberto Malossi)

I Douros Coated

La tecnica di ricopertura di gemme naturali o sintetiche con i più disparati trattamenti e materiali sia a caldo che a freddo è nota fin dall’antichità. Ma la prima vera tecnologicamente avanzata fu effettuata negli anni ‘60 dall’austriaco Lechleitner che riuscì a fare crescere, con il metodo idrotermale, una sottile pellicola di smeraldo sintetico sulla superfice di un berillo naturale quasi incolore. Non si hanno invece notizie di rubini sintetici ricoperti di altro rubino sintetico prodotti in grande quantità a scopo commerciale fino al 2007, anno appunto della loro produzione da parte dei fratelli Douros.

Gli altri “crescitori “di sintesi non concepivano il principio che una gemma sintetica potesse essere ricoperta da un’altra pure sintetica: la loro missione era di imitare e superare la natura, creando gemme perfette, senza correzioni a posteriori. Ma i fratelli Douros non la pensavano così, e ribaltarono il principio dell’inseminazione del flux: non un piccolo seme di rubino sintetico Verneuil su di cui si sviluppava l’edificio cristallino di un altro rubino sintetico, ma un grosso frammento di Verneuil su di cui cresceva uno strato più o meno sottile di rubino sintetico con il metodo flux.

Il procedimento di ricottura controllata del procedimento permetteva di creare gemme con ottime caratteristiche di brillantezza, colore e inclusioni molto simili alle naturali, correggendo lo spiacevole aspetto vetroso e privo di inclusioni dei rubini Verneuil. Sostanzialmente era un processo di valorizzazione di una sintesi già esistente con l’apporto di modifiche gradite al mercato.

Secondo le spiegazioni di John Douros – e c’è da crederci – la ricottura (annealling) non era per niente facile, perché i rubini sintetici Verneuil, come noto, sono dei monocristalli con intense tensioni interne e microfenditure causate dalla rapida crescita e dalla differenza di gradiente termico tra la testa di formazione e il resto del cristallo. Condizioni che li rendono fragili e sensibili alle variazioni di temperatura, perfino il riscaldamento con una semplice fiamma può causare la fratturazione del cristallo in piccoli pezzi irregolari.

La permanenza nel flux ad alta temperatura per almeno due o tre settimane poteva ulteriormente danneggiare e degradare i monocristalli Verneuil. A quei tempi non esistevano studi a riguardo, e i fratelli Douros, dopo avere fatto numerosi esperimenti, inventarono un procedimento di ricottura che “temperava“ le boule di rubino Verneuil eliminando le tensioni interne e spesso anche le “linee curve” di accrescimento.

Il processo di ricottura durava circa una settimana e consisteva nel riscaldare le boule Verneuil di rubino sintetico in un forno elettrico, seguendo un ciclo di riscaldamento e raffreddamento che progressivamente, ogni volta, aumentava del 10% il punto minimo e quello massimo della temperatura, fino a raggiungere i 1300°, stabili per almeno 48 ore. Poi, molto lentamente, veniva introdotta la miscela in polvere che componeva il flux di crescita e iniziava così la formazione del coating cristallino sulla superfice dei frammenti di boule di Rubino Verneuil. Data la grandezza del ”seme”, la crescita era veloce, circa mezzo millimetro al giorno.

Figura 30 – Inclusioni di fondente all’interno del cristallo grezzo di DourChat. (Foto: Alberto Malossi)

Sui campioni in mio possesso il coating è di spessore variabile con un massimo di circa 4 millimetri. Se si continuasse il processo per giorni, la crescita continuerebbe, fino a assumere l’aspetto di un conglomerato cristallino di frammenti di boule e nuovi cristalli, ma la cosa non sarebbe conveniente dal punto di vista economico, perché più aumenta lo spessore di coating, più aumenta in modo scalare il suo tempo di formazione, e quindi, la permanenza nel forno, con l’aggravio di maggiori costi energetici, peggiorandone inoltre l’aspetto.

Con il trattamento di ricottura e successivo coating avviene un altro importante fenomeno che riguarda le microfenditure che si originano nella formazione del monocristallo Verneuil; queste non sono da intendersi come fratture, ma come dislocazioni di crescita del tessuto cristallino della boule che originano dei “vuoti” di dimensione di alcune centinaia di nanometri, a volte visibili al microscopio in liquido di contrasto.

Con il processo, le microfenditure si ampliano con il rilassamento plastico della struttura cristallina dovuta all’alta temperatura dando origine ad alcune tipologie di strutture che dipendono dalla larghezza della microfenditura:

  • si saldano formando dei veli praticamente identici ai naturali;
  • si riempiono di flux dando origine a varie visibili strutture tra cui interessanti cristallizzazioni esagonali di corindone formatesi per capillarità.
  • danno origine a sottili fratture più o meno estese con la caratteristica di avere la forma “ a ginocchio”, ad angolo acuto, incrociate e concoidi.

Esame al microscopio del grezzo

Figura 31 – Rubini sintetici Verneuil ricoperti con il metodo Douros, i DourCoat. La superficie irregolare è solcata da striature cristalline di forma tabulare allungata e accoppiata che ricoprono il grosso frammento di boule, in alcuni punti si osservano formazioni esagonali. Da notare che la crescita è quasi nulla sulle superfici segate mentre è normale su quelle da frattura. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 32 – Ingrandimento della superficie di DourCoat. Si notano i cristalli tabulari allungati accoppiati e una formazione esagonale. Il grezzo dei DourCoat è facilmente riconoscibile, perché al suo interno si distingue perfettamente il frammento e la forma della boule di rubino Verneuil. Sulla superfice irregolare sono visibili delle strutture di crescita cristalline parallele tra loro, che non sono altro che cristalli tabulari di rubino sintetico in via di formazione. Il grezzo è di dimensione varia, da 4 ct. fino a 60 ct., a volte è pretagliato per facilitare la successiva lavorazione della gemma. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 33 – DourCoat fotografato in immersione, si notano i cristalli tabulari e le microfenditure. (Foto: Alberto Malossi)

L’aspetto delle gemme tagliate

Le inclusioni sono caratteristiche e si possono così riassumere:

  • cristallizzazioni a forma poligonale sia regolare che irregolare formatesi per capillarità nelle microfratture;
  • veli formati da minutissime gocce di fondente;
  • veli formati dalla saldatura tra loro delle pareti della microfenditura;
  • veli in microfratture con forma a ginocchio, incrociati, concoidi e ad angolo acuto;
  • linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari confondibili con la geminazione polisintetica lamellare dei rubini naturali (struttura molto rara e particolare che difficilmente si riscontra in un rubino di sintesi);
  • striature curvilinee parallele tipiche dei rubini Verneuil;
  • cavità arrotondate a bolla allungata simili a inclusioni bifasiche.
Figura 34 – Rubino DourCoat con inclusioni tipiche. L’aspetto dei DourCoat è a dir poco eccezionale nella morbidezza setosa del colore rosso porpora e nelle inclusioni molto simili alle naturali. Il taglio è quello misto tipico thailandese con sfaccettature non regolari, comunque identico quello delle pietre naturali. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 35 – Rubini DourCoat con inclusioni poligonali, veli con forma a ginocchio e incrociati, bolle di fondente. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 36 – Rubini DourCoat con inclusioni poligonali, veli con forma a ginocchio e incrociati, bolle di fondente. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 37 – Rubini DourCoat con veli concoidi e incrociati. Nella parte destra delle pietre linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 38 – Rubini DourCoat con veli concoidi e incrociati. Nella parte destra delle pietre linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 39 – Rubini DourCoat con veli concoidi e incrociati. Nella parte destra delle pietre linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 40 – Rubini DourCoat con veli concoidi e incrociati. Nella parte destra delle pietre linee parallele di accrescimento dei cristalli tabulari. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 41 – Striature curvilinee parallele tipiche della sintesi Verneuil. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 42 – Striature curvilinee parallele tipiche della sintesi Verneuil. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 43 – Striature curvilinee Verneuil e bolle di fondente in microfenditure indotte. (Foto: Alberto Malossi)
Figura 44 – Striature curvilinee, microfratture a ginocchio di varie forme con disegno poligonale e bolle di fondente. (Foto: Alberto Malossi)

Conclusione

I fratelli John e Angelo Douros hanno indubbiamente rappresentato un momento importante nella storia della creazione dei Rubini sintetici.

Le loro geniali intuizioni e la loro passione hanno messo a punto una serie di originali procedimenti di creazione e trattamenti che sono ancora oggi utilizzati per la realizzazione di bellissimi Rubini sintetici impiegati in gioielleria.

I rubini sintetici DourCoat sono stati prodotti in notevole quantità e sono ancora presenti sul mercato delle gemme di sintesi, ma ora i fratelli Douros, concentrati nel loro lavoro di sempre, la raffinazione di metalli preziosi, non ne producono più; hanno però aperto la strada ad alcuni piccoli produttori, soprattutto thailandesi, che hanno intuito e migliorato il procedimento di trattamento termico dei corindoni Verneuil di qualsiasi colore.

Figura 45 – Cristallizzazioni capillari a forma esagonale nelle microfratture. (Foto: Alberto Malossi)

Queste gemme non subiscono un coating, ma solo un trattamento termico e – a volte – un leggero bagno nel flux con risultati incredibili dal punto di vista inclusivo: le inclusioni a velo, infatti, sono delicate e identiche alle naturali, non si vedono veli a ginocchio, incrociati o ad angolo acuto. Spesso non sono nemmeno rintracciabili le linee di crescita tipiche della sintesi Verneuil. Sono gemme sintetiche estremamente difficili da identificare, e possono trarre in inganno, dato l’aspetto inclusivo visivamente identico ai naturali. Per una sicura identificazione occorrono ulteriori esami con strumenti più sofisticati.

Ritengo che siano le sintesi di rubino attualmente più diffuse.

Le foto e i materiali gemmologici fotografati sono di proprietà dell’autore.

Bibliografia

1987 – Journal of Gemology, Vol. 20, pp.294-305 – On twinning in natural and synthetic flux-grow ruby Schmetzer k.
1993 – Chrysotechni, Vol. 4, No. 45 – Douros J. , Douros A. Cultivared ruby from Greek production.
1993 – JewelSiam, Vol. 4, No. 4, pp 106-114; No 5, p. 16 – New flux –grow synthetic rubies from Greece -Smith C.P., Bosshart G.
1993 – ICA Early Warning Flash, Laboratory alert No 71, June 8, 1993 – Flux synthetic ruby alleged European production – Hanni H.A, Bosshart G.
1994 – Gems & Gemology, Summer 1994, Vol. 30, No. 2 – Sintetic Rubies by Douros: A New Challenge for Gemologists – Peer Reviewed ArticleHenry A. Hänni, Karl, and Heinz-Jürgen Bernhardt
1994 – Journal of Gemology, Vol. 24, pp. 87-93 -Twinning in Ramaura synthetic rubies.– Schmetzer K., Smith C.P., Bosshart G, Medenbach O.
1994 – Jewellery News Asia – September 1994 – How to identify Douros synthetic rubies – Asian institute of gemological sciences.

A cura di Alberto Malossi, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia nr. 4, Estate 2018.

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9 Commenti

  1. Estimado Sr Alberto Malossi en orden de entender mejor la tecnologia con la cual trabajaban los hermanos Douros podria usted proporcinarme si fuera posible
    A) De que material refractario estaban hechas las paredes del horno
    B) De que material estaban hechas las resistencias que calentaban el horno

    • Gentile Andres, abbiamo contattato Alberto Malossi che ha gentilmente risposto alla sua domanda.

      “Va bene qualsiasi forno elettrico indipendentemente dal rivestimento, basta che raggiunga la temperatura di circa 1.400 gradi necessaria al processo che comunque avviene in crogioli di grafite o platino posti all’interno del forno.

      I Douros usavano un forno con caricamento dall’alto perché la loro attività principale non erano i Rubini ma la raffinazione di metalli nobili. Il rivestimento dei forni solitamente è fatto di un impasto refrattario a base di ossido di alluminio. La resistenza era in carburo di silicio adatta alle alte temperature e funzionamento in continuo.

      In allegato una foto del forno di Judy Osmer per i Ramaura fatta quando sono andato a trovarla a Los Angeles.

      Alberto Malossi”
      null

  2. Splendide fotografie ed ancor piu’avvincente lo studio , ebbi il piacere di conoscere il signor Douros e da lui comperai un grezzo che ancora ho.
    Ho passato piu’ di un ora di vero piacere con voi ,grazie.

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