giovedì, Aprile 25, 2024
spot_img

La versione del field gemologist Vincent Pardieu

Vincent Pardieu è uno dei più importanti, se non il più importante, specialista di gemmologia sul campo (field gemologist) in attività. Vincent ha lavorato per l’AIGS e per Gübelin, raggiungendo la fama internazionale grazie al lavoro fatto presso il GIA, per la quale ha lanciato il dipartimento di Field Gemology nella sede di Bangkok. Oggi fornisce servizi con la sua “VP Consulting SPC” ma è anche legato al DANAT, il laboratorio gemmologico con sede nel Bahrein per il quale sta allestendo una raccolta di campioni di riferimento. Questo compito consente a lui ed al suo gruppo di video-operatori e fotografi, di viaggiare di miniera e miniera in tutto il mondo per allargare ed approfondire le conoscenze gemmologiche. Gli chiederemo ovviamente cosa ne pensi della cosiddetta “gemmologia sul campo”, ma anche di illustrare il suo punto di vista sul commercio, sulle tendenze e naturalmente sulle sue pietre preferite.

La reputazione mondiale di Vincent è dovuta non solo ai suoi notevoli ed eccezionali contributi scientifici, ma anche alla sua integrità, alla sua indipendenza ed alla sua fermezza nel testimoniare ed affrontare diversi temi sensibili alle quali un gemmologo non può esimersi dal rispondere. Questo lavoro comprende il determinare la portata dell’impatto dell’estrazione delle gemme sull’ambiente e su quanto siano accurate e documentate le accuse di alcuni media internazionali sui danni causati dallo sfruttamento.

Simon Dussart è il fondatore di www.asialounges.com e l’autore del blog “A Gem Dealer’s Journal”. La prima versione di questa intervista è stata pubblicata il 30 maggio 2019, in lingua inglese, ed aggiornata nel mese di giugno 2019 da Vincent Pardieu.

Fig. 1 – Una foto di Vincent Pardieu con la sua Polo “Expect the Unexpected”, letteralmente “Aspettati l’inaspettato”. (Foto: V. Pardieu)

Simon Dussart: Chi è Vincent Pardieu?

Vincent Pardieu: Sono un tipo un po’ curioso… Nato nella Francia sudoccidentale, ho molti interessi tra i quali la natura, le persone e i viaggi e, dato che la gemmologia è un dominio della conoscenza che abbraccia un bel po’ di aree di scienze, arte, storia, geografia, lingue, commercio, eccetera, un bel giorno ho scoperto la passione per le gemme. È per questo che non mi annoio mai.

Dussart: Ci dici di più della Field Gemology? Come sei entrato in questo mondo? Di cosa si tratta e che cosa comporta?

Pardieu: La Field Gemology è la pratica della gemmologia al di fuori del laboratorio, sul campo, lì dove molti gemmologi si recano per comprare le gemme. Ma questi sono da considerare più dei commercianti o dei grossisti. D’altro lato, i gemmologi di laboratorio, anche se attivi sul campo, non dovrebbero essere parte in causa nel commercio. Da parte mia, Field Gemology significa principalmente andare sul campo a raccogliere campioni di riferimento per i laboratori gemmologici che intendano con questi allestire un campionario e lavorare nel campo della ricerca. Ciò vuol dire che alla fine il lavoro dovrebbe sfociare più nella redazione di pubblicazioni che nel commercio di pietre preziose. Il motivo per cui ho cominciato a fare questo lavoro è da ricercarsi nel fatto che nel 2004 alcuni grossisti di gemme stavano cercando di convincermi a scrivere degli articoli sulle loro pietre, e io mi resi conto che sulla loro origine stavano mentendo. Stavano cercando di usarmi per sviare i potenziali concorrenti verso depositi lontani dal posto in cui le pietre venivano effettivamente rinvenute. George Bosshart ed Henry Hanni allora mi fecero capire che per me sarebbe stato meglio raccogliere da solo le pietre sulle quali volevo scrivere. Alla fine, nel 2005, ho lanciato il sito web fieldgemology.org (al momento in fase di rimodernamento) nel quale si possono trovare le mie scoperte ed i resoconti dei miei viaggi.

Dussart: Che impatto ha la Field Gemology sulla vita dei gemmologi di laboratorio e, di conseguenza, sull’intero mondo delle gemme e della gioielleria?

Pardieu: Beh, un gemmologo di laboratorio produce report. Paragona le pietre dei propri clienti a quelle che ha studiato in passato ed a quelle presenti nel campionario di riferimento. Potrebbero sorgere dei problemi nel caso in cui le cosiddette “pietre di paragone” utilizzate nei suoi studi non siano state correttamente etichettate, ad esempio se gli zaffiri che ha catalogato come provenienti dallo Sri Lanka provenissero in realtà dal Madagascar.

L’allestimento di una raccolta di riferimento accurata è un’operazione molto delicata ed è cruciale, in quanto permette ad ogni laboratorio e ad ogni gemmologo di costruire su basi solide la propria conoscenza presente e futura. È solo così, infatti, che si può pensare che gli articoli da loro pubblicati possano considerarsi corretti. In pratica la ricerca la possiamo vedere come una catena. La forza di questa catena si misura dal suo anello più debole. Si possono avere i migliori strumenti, impiegare i migliori gemmologi nel campo della ricerca, ma se alla base vengono dati campioni sbagliati, tutto il loro talento andrà sprecato ed il loro lavoro si renderà inutile.

Dussart: Tutti i campioni che raccogli hanno lo stesso valore di ricerca e di produzione?

Pardieu: Beh, no. Ecco perché, sin dalle mie prime esperienze sul campo, ho sviluppato un sistema che documenta attentamente ogni campione. Se un campione raccolto a Tucson è interessante quanto un campione raccolto in un sito preciso, diciamo in una miniera in Madagascar, questo chiaramente non significa che i due campioni avranno per il gemmologo/ricercatore lo stesso livello di attendibilità.

Per questo motivo, ad ogni campione che raccolgo, allego un codice che documenti in che modo il campione è stato raccolto:

  • Campioni del “Tipo A”: sono stati estratti direttamente dal gemmologo durante il suo lavoro sul campo;
  • Campioni del “Tipo B”: lo specialista sul campo è stato testimone dell’estrazione di tale campione;
  • Campioni del “Tipo C”: il gemmologo specializzato nel lavoro sul campo ha raccolto il campione sul sito da cui è stato estratto, ma non è stato testimone dell’estrazione vera e propria. Ad esempio, potrebbe averlo recuperato dalla tasca di un minatore;
  • Campioni del “Tipo D”: sono stati raccolti direttamente dal minatore, ma non alla miniera;
  • Campioni del “Tipo E”: non sono stati raccolti dal minatore, ma da un commerciante o da altra persona diversa dal minatore, nella stessa regione in cui è stato estratto. Secondo questo codice, ogni pietra faccettata, in quanto lavorata da un tagliatore, non può essere classificata in maniera superiore al “Tipo E”;
  • Campioni del “Tipo F”: sono stati raccolti da fonti secondarie in un mercato internazionale, come ad esempio una Fiera Internazionale dedicata alle gemme.

Attualmente il mio lavoro come Field gemologist si configura soprattutto nel viaggiare verso i paesi produttori di gemme per raccogliere campioni dal tipo A al tipo E.

Fig. 2 – Una vecchia foto scattata durante la prima vera spedizione sul campo di Vincent Pardieu, in Myanmar nel 2000. Il gruppo era diretto al deposito di rubini e spinelli di Namya. Fu durante questa spedizione che iniziò l’interesse di Vincent verso i luminosi spinelli rosa che successivamente battezzò con il nome di spinelli “Jedi” (vedi l’articolo pubblicato su Gems & Gemology nella primavera del 2014). Foto scattata da una persona molto gentile.

Dussart: Hai viaggiato in tutto il mondo soprattutto alla ricerca di miniere di rubini, zaffiri e spinelli. È stata una scelta personale, un obbligo professionale oppure entrambe le cose?

Pardieu: La prima cosa da capire è che il lavoro di un gemmologo/ricercatore è quello di inquadrare i problemi dei suoi colleghi impegnati nel ramo produttivo. Dunque è una scelta personale? Un obbligo professionale? È un po’ tutt’e due queste cose in realtà. Diciamo che sono felice di essermi presentato come volontario perché è esattamente ciò che amo fare! È in realtà una questione di buon senso ed amo farlo.

Dussart: Come pianifichi un viaggio da Field gemologist?

Pardieu: Inizio col dire che, per quanto mi riguarda, esiste una grossa differenza tra una spedizione sul campo ed il turismo gemmologico. La Field Gemology è parte della ricerca. Dove termina la conoscenza disponibile in un determinato momento lì inizia la ricerca. Questo significa che prima di partire per una spedizione sul campo, cerco di raccogliere e leggere qualsiasi cosa sia stata mai pubblicata fino a quel momento sul posto e sulle gemme verso le quali mi sto dirigendo. Facendo così, diventa molto più facile scoprire le differenze tra ciò che è stato già pubblicato (cioè la “ricerca bibliografica” da farsi prima di recarsi nell’area di studio) e ciò che nei fatti resta sconosciuto. E in quest’ultima frase consiste il nocciolo di quella che io considero la “ricerca sul campo”.

Fig. 3 – Raccolta di campioni di rubini a Maninge Nice, nei pressi di Montepuez in Mozambico. Utilizzare un GPS (anche molto vecchio…) è il modo migliore per ricordare quando e dove i campioni sono stati raccolti. (Foto: V. Pardieu © GIA)

Dussart: Hai già pianificato il prossimo viaggio? Se sì, puoi anticiparci qualcosa?

Pardieu: Certo, ho sempre qualcosa in cantiere, ma quando si parla di Field gemology può accadere sempre quello che non ti aspetti. Prima di tutto ci sono quelle che io chiamo “questioni in sospeso”, cioè i posti che pur provando non sono mai riuscito a visitare. Non mi piacciono le “questioni in sospeso” e cerco sempre di aggiungere nuovi posti alla mia mappa.
Il prossimo viaggio potrebbe essere in Brasile per gli smeraldi, priorità per DANAT con cui collaboro e per cui ho raccolto in molti altri paesi campioni di riferimenti attendibili… Ma ancora una volta: devo aspettarmi l’inaspettato.

Dussart: Il team che porti con te sul campo è “aperto”?

Pardieu: Sì e no. Il fatto è che non mi diverto a viaggiare da solo, per vari motivi. Il primo motivo è la sicurezza: ovviamente se ti succede qualcosa è sempre bene avere qualcuno di cui ti puoi fidare e che ti può aiutare. Il secondo è che viaggiare con altre persone è un bel modo per creare dei bei ricordi e farsi degli amici. Il terzo è che rappresenta anche un modo meraviglioso per imparare da persone che ne sanno più di me. Perciò, le mie incursioni sono aperte a tutti coloro che riescono a convincermi che possono essere utili, mentre evito chi crea problemi.

Fig. 4 – Vincent insieme ad un gruppo di amici alla rupe di Cung Truoi, nei pressi di An Phu nella provincia di Luc Yen in Vietnam. Durante gli scorsi 10 anni, il Vietnam è stato spesso il punto di partenza per le persone che hanno voluto viaggiare con lui. Foto scattata da una persona molto gentile.

Dussart: Come recluti i componenti del tuo gruppo?

Pardieu: Una delle regole che cerco di non dimenticare mai è di recarmi sul posto solo con gente che conosco e di cui mi posso fidare. È come il primo appuntamento: si inizia solitamente con un caffè, un pranzo o una cena. Se c’è un buon feeling, si può pensare di andare sul campo per uno o due weekend. Soltanto dopo, se vedo la possibilità di creare un progetto comune, posso considerare di invitare quella persona per una spedizione più lunga.

Dussart: Hai qualche consiglio per i “Younglings” (ragazzini, ndr) che vogliono seguire le tue orme o quelle dei tuoi “padawans” (apprendisti, ndr)?

Pardieu: Essere motivati. Curiosi. Pazienti. Positivi, perché odio chi si lamenta di continuo. Essere una risorsa per tutto il gruppo. Essere organizzati. Farsi trovare pronti per il peggio, così da poter apprezzare il meglio. Aspettarsi l’inaspettato. Ma se vuoi davvero recarti sul campo ed io non sono disponibile: semplicemente fallo da solo. Io ho iniziato così e questo atteggiamento finora mi è servito tantissimo.

Dussart: Parlando di “Padawans” e “Younglins”, sei molto conosciuto per aver associato termini di Star Wars alle gemme ed ai tuoi colleghi (Spinelli Jedi, Wim “il Padawan” Vertriest, ecc.). Ci dobbiamo aspettare molti altri nomi divertenti? Qualcuno attualmente in lavorazione? Da dove vengono fuori?

Pardieu: Ho imparato che il modo migliore per stare in un team è quello di restare neutrali in temi come la politica o la religione. Dunque quando mi approccio a temi etici, utilizzo la terminologia di Star Wars in quanto universale ed abbastanza neutrale.

Riguardo alla parola “Jedi”, venne fuori quando acquistavo spinelli per Henry Ho. Originariamente, era un codice che utilizzavamo per mantenere le nostre conversazioni private quando discutevamo di qualche pietra in particolare. Ne ho parlato anche in un articolo pubblicato su Gems & Gemology nella primavera del 2014, “Hunting for Jedi spinels in Mogok”.

Altri termini sono stati coniati allo stesso modo. Per esempio, la parola “Windex” per gli spinelli blu cobalto. Questo termine viene da due dei miei “padawans”: Jean Baptiste Senoble e Lou Pierre Bryl, poiché agli inizi del 2009 stavamo cercando di capire da dove venissero gli spinelli ad alta saturazione del Vietnam. Comunicare con i vietnamiti sul colore (che a quel tempo non conoscevano molto l’inglese) è stata una bella sfida. È stato arduo far capire loro quale colore stessimo cercando finché Jean Baptiste trovò una bottiglia di “Windex”, un detergente liquido per vetri, in un negozio della zona. Da quel momento in poi, tutto divenne chiaro poiché avevamo un ottimo riferimento di colore che ognuno poteva comprendere.
Ancora oggi, quando riemerge la questione degli spinelli blu di colore brillante e vivido, tra di noi usiamo ancora la parola “Windex” per riferirci a questo specifico colore. Detto ciò, a differenza della storia “Jedi”, non ho ancora trasformato questo evento in un articolo.

Dussart: Vedo che stai per cominciare a prendere dei brevetti di immersione subacquea per rendere possibile per DANAT la caccia alle perle. Ci puoi dire di più sul tuo impegno nel mondo delle perle?

Pardieu: A dire il vero è qualcosa che viene dai miei vecchi tempi al Gübelin Gem Lab quando, insieme a Christian Dunaigre, abbiamo visitato un bacino di coltivazione di perle South Sea in Myanmar, aiutati da Kham Vannaxay, di Sofragem di Bangkok. Era il dicembre 2007 e durante quella spedizione ebbi la mia prima esperienza di immersione usando una sorta di “cappello rigido”, equipaggiamento lasciato dai coltivatori di perle giapponesi alla fine degli anni ’50. L’area di coltivazione delle perle si trovava nell’arcipelago Mergui, un’esperienza davvero meravigliosa.
Dopodiché i miei padawans Jean Baptiste Senoble e Lou Pierre Bryl, mi dirottarono da una delle mie spedizioni sul campo in Vietnam e mi convinsero ad andare con loro a caccia di perle Melo da Hanoi all’isola di Cat Ba e nella Ha Long Bay… Ancora una volta fu una bellissima esperienza.

Da allora ho sviluppato una relazione d’amore con le perle e, quando DANAT mi ha chiesto di prendere in considerazione una spedizione subacquea dedicata alle perle, ho deciso di prepararmi adeguatamente ed ho preso lezioni di immersione l’anno scorso in Madagascar con alcuni amici.

Dal momento in cui DANAT mi ha chiesto di considerare l’idea di partecipare ad una spedizione subacquea sulle perle in partenza quest’anno, ho preso questo impegno molto più seriamente e mi sto preparando al meglio. È per questo motivo che il “Dive Master” mi terrà impegnato nei prossimi due mesi.

Fig. 5 – Vincent ed il suo video-operatore Didier alla miniera di smeraldi vicino al villaggio di Khenj, nella valle del Panjshir in Afghanistan: “Viaggiare con un buon amico non è soltato untile per documentare una spedizione con foto e video, ma è anche un modo per restare al sicuro”. (Foto: Ramin Habibi / DANAT)

Dussart: Le parole sulla bocca di tutti in questo periodo sono “tracciabilità” ed “estrazione mineraria etica”. Vorrei conoscere il tuo pensiero sul tema.

Pardieu: Per quanto mi riguarda è una questione di scelta personale. Ma è pure un fatto che in questi giorni molti attivisti si danno da fare per cercare di creare un clima generale di imbarazzo sul tema “etico”. Mentre capisco la tracciabilità (perché basata su fatti), dal discorso dell’etica mi tengo un po’ da parte. Mi spiego meglio: cosa significa “etico” se non qualcosa di soggettivo che si lega a specifiche cornici religiose o culturali che possono essere in contrapposizione tra loro? Per esempio, nella percezione dei cacciatori la caccia è “etica”, mentre in quella degli animalisti non lo è.
La mia posizione su questo argomento è che i gemmologi non sono investiti della responsabilità di decidere se una gemma sia “buona” o no, o se l’attività mineraria sia etica o meno. La loro preparazione riguarda l’osservazione per produrre report corretti ed accurati. Per i grandi operatori commerciali la questione è diversa: sono chiamati a giudicare le gemme decidendo se valga la pena comprarle oppure no. Da gemmologo di laboratorio cerco di dare il massimo studiando tutte le gemme che vedo. Non penso a giudicarle. Scrivo relazioni su ciò che vedo ma non giudico le persone o i loro comportamenti. Alla fine si perseguono diversi obiettivi: i gemmologi si focalizzano sulle loro capacità di identificazione per produrre report corretti in maniera tale da permettere agli operatori del settore di giudicare con serenità e con il massimo della conoscenza ciò che stanno guardando. È una specie d’ecosistema.

Riguardo l’intero tema dell’etica e della tracciabilità, la mia sensazione è che le gemme scontino grandi limiti, come ho spiegato nel mio intervento all’ICA del 2011 ed in un articolo pubblicato su National Geographic. A differenza del caffè e delle banane, le gemme sono beni durevoli per definizione. Perciò, se guardiamo a tutte le gemme dal peso superiore ai 3 carati disponibili in posti come Parigi e Ginevra, la mia ipotesi è che la maggior parte di esse (e ciò è particolarmente vero per le gemme classiche come gli zaffiri del Kashmir, i rubini birmani o gli smeraldi della Colombia) sono state estratte decenni fa e nella maggior parte dei casi i minatori, così come i precedenti proprietari, sono probabilmente morti. Dunque cos’è la tracciabilità per queste pietre? Abbiamo bisogno della lista dei precedenti proprietari? A meno che il precedente proprietario non sia stato, per dire, Elizabeth Taylor oppure una famosa regina, questa lista non sarà molto glamour… il che spiega perché le case d’aste preferiscano report che indichino l’origine. Questi restituiscono un aspetto romanzato con un po’ di colore quando tra i precedenti proprietari non ci sono figure storiche famose o star.

Quei tanti che pensano che i grandi operatori del mercato delle pietre facciano come me andando sul campo si sbagliano. In realtà quasi sempre assomigliano più a degli antiquari piuttosto che a degli Indiana Jones.

A dire il vero, se qualcuno nel commercio è davvero interessato a temi quali l’etica, l’accesso all’istruzione, le condizioni sanitarie o la conservazione, non deve necessariamente limitarsi ad acquistare quelle che vengono definite “gemme etiche”. Per promuovere e finanziare idee positive o progetti in cui si crede si potrebbero usare tutte le pietre di “seconda mano” che si vogliono… Ciò per dire che sarebbe bello vedere le scuole nel Kashmir venir finanziate dalle vendite dagli zaffiri del Kashmir estratti oltre 100 anni fa (anche se l’estrazione di quei tempi non era effettivamente eseguita secondo gli standard che oggi si considerano “etici”). Gli attivisti, cioè, per dare una buona immagine all’industria, mettono i minatori sotto pressione. Ed invece questi non dovrebbero essere lasciati da soli a farsi carico di questo compito.

Fig. 6 – Vincent e Jean Baptiste Senoble a Luc Yen, in Vietnam, nel 2005: “Viaggiare con dei buoni amici è il mio modo preferito di viaggiare. Si creano dei ricordi insieme e si può imparare dall’altra persona. Il mio consiglio è: viaggiate con persone che già conoscete ed apprezzate…”

Dussart: Che cosa pensi del “paternity test” di Gübelin e delle sue implicazioni per il commercio, per i minatori ed in generale per i consumatori finali?

Pardieu: Credo sia una tecnologia affascinante. È anche qualcosa che si applicherà soltanto alle gemme che verranno estratte in futuro, il che lascia scoperta la maggior parte delle gemme attualmente in commercio. Perciò credo che, a parte l’essere funzionale alle strategie di marketing di Gübelin e delle imprese minerarie che utilizzeranno questa tecnologia, essa avrà un impatto molto limitato a livello globale.

Dussart: So che recentemente hai avuto un duello dialettico con National Geographic riguardo l’impatto sull’ambiente dell’estrazione mineraria delle pietre preziose. Qual è la tua posizione?

Pardieu: Ti stai riferendo all’articolo di Paul Tullis che incolpava “il commercio degli zaffiri dell’estinzione dei lemuri”? Quel titolo e la prima versione dell’articolo erano davvero vergognosi. Nell’articolo originale l’autore ha incolpato il commercio degli zaffiri della distruzione di migliaia di acri di foresta e di minacciare la sopravvivenza dei lemuri. Non intendo dire che i minatori non hanno mai tagliato un albero o ucciso un lemure. Ma dato che queste accuse si discostavano molto dalla mia osservazione sul campo, mi sono lamentato fermamente con l’editore di Nat Geo, ottenendo una parziale modifica dell’articolo originale nella versione attualmente online.

Sai, la Field Gemology non è soltanto visitare i luoghi di produzione delle gemme per la raccolta di campioni di riferimento affidabili per i laboratori. Consiste anche nella fornitura di relazioni affidabili e documentate riguardo l’attività estrattiva delle gemme. Fortunatamente in questo caso avevo raccolto abbastanza osservazioni sul campo, che ho poi confrontato con le immagini satellitari fornite da Google Earth per produrre una valutazione corretta riguardo ciò che è successo veramente.

In realtà, come tante altre persone coinvolte nella conservazione, anche io sono preoccupato dall’impatto della corsa agli zaffiri nelle aree protette. Ho scritto dell’argomento sin dalla mia prima visita nella regione nel 2012, quando la corsa agli zaffiri ed ai rubini interessò la zona vicino al villaggio di Didy (vedi i report sul sito GIA) ed ho spesso espresso le mie preoccupazioni in diverse discussioni. Il problema è che quando qualcuno accusa pubblicamente i minatori di zaffiri di aver distrutto migliaia di acri di foresta, come si fa in quell’articolo, dovrebbe fornire delle prove. Ma in quel caso non mi sono mai state fornite precise rilevazioni cartografiche che mostrassero dove, secondo loro, i minatori avrebbero distrutto queste foreste. Hanno semplicemente buttato lì un numero che fa sensazione, corredato da interventi di esperti che però non hanno visitato il sito. Riguardo i lemuri, ad ogni mia visita presso il sito minerario sono stato felice di riuscire ad ascoltare i loro versi, il che secondo me significa che essi sono sopravvissuti nonostante la minaccia delle migliaia di minatori illegali alla ricerca di zaffiri nell’area in cui sono stanziati. Questo è stato un sollievo.

Adesso nell’articolo revisionato, al posto di accusare “il commercio degli zaffiri dell’estinzione dei lemuri”, si incolpano “i minatori illegali di mettere a repentaglio i lemuri”. Così l’articolo è più accettabile. I redattori hanno aggiunto anche ulteriori indagini sul disboscamento in quella zona ed i numeri indicati in questo momento da Nat Geo sono riferibili a circa 500 acri, invece delle migliaia di acri iniziali. La mia opinione è che in realtà al tempo della mia seconda visita gli acri interessati dal disboscamento fossero circa 100, situazione comunque migliore. È triste da dire, ma il commercio delle gemme, specialmente in questo caso in cui l’estrazione è illegale, è un obiettivo facile.

Dussart: Il materiale che hai prodotto in risposta all’articolo contestato è disponibile?

Pardieu: Allo scopo ho realizzato un documento esaustivo, attualmente disponibile su LinkedIn. Ovviamente però una cosa è un gigante del mondo editoriale, ed un’altra cosa è un social media.

Fig. 7 – Entrare in un altro mondo: Vincent sta iniziando un corso di immersione subacque per un futuro progetto con DANAT dedicato alla ricerca gemmologica sul campo relativa alle perle. (Foto: Tim McCabe)

Dussart: Quale potrebbe essere, per te, la soluzione a questa problematica?

Pardieu: Io capisco davvero le preoccupazioni dei conservazionisti incaricati di proteggere l’area CAZ. Dal 2012, l’area che tentano di proteggere viene invasa quasi ogni anno da migliaia o, spesso, decine di migliaia di minatori illegali alla ricerca di oro o gemme. Ciò comporta l’accesso di persone provenienti dall’esterno nell’area protetta, che disturbano le comunità locali ed alcune delle relazioni che i conservazionisti hanno impiegato anni per costruire. In realtà, l’estrazione mineraria illegale di piccola scala fornisce molto lavoro alla povera gente e delle entrate significative che possono essere molto apprezzate nel momento in cui l’agricoltura fornisce soltanto lavoro stagionale.

Credo semplicemente che spargere menzogne ed altre “fake news” sull’estrazione delle gemme non possa aiutare la conservazione. In realtà ritengo che il commercio delle pietre preziose e la conservazione abbiano un interesse comune nel lavorare insieme in quella località, come si è potuto vedere in altri posti.

Il classico esempio di una cooperazione di questo tipo è la “Tsavorite”, una bella varietà di granato grossularia, battezzata così in riferimento al Parco Nazionale di Tsavo in Kenya, da Campbell Bridges e Tiffany. Dare il nome di un Parco Nazionale ad una gemma è stata una grandissima idea. Lavorando nella zona di Tsavo, minatori come Bridges si sono trovati a collaborare con i ranger del parco per combattere il bracconaggio. Non tutto è perfetto, nemmeno nel parco Tsavo con la Tsavorite. Si potrebbero creare più sinergie tra commercio e conservazione, di cui beneficerebbero sia la Tsavorite che Tsavo. Ma ritengo che la direzione che dovremmo prendere sia questa, poiché credo che il termine “conservation gem” suoni decisamente meglio rispetto a “blood gem”. Mi piacerebbe vedere più storie come quella di Tsavo e della tsavorite. Alla fine di tutto, la conservazione ha bisogno di una maggiore visibilità e di supporto finanziario per poter avere successo e credo che l’industria delle pietre preziose possa aiutare di più relativamente a questi aspetti positivi. Per quanto riguarda coloro che lavorano attivamente sia per la conservazione che per l’industria delle gemme, il problema che si trovano davanti in questo periodo è che molti giornalisti, o i cosiddetti attivisti, per far sensazione preferiscono far uscire articoli negativi dato che fanno presa e vendono più di quelli positivi.

La mia speranza è che un giorno i conservazionisti, il mondo del commercio delle gemme e le comunità locali possano davvero trovare un modo per lavorare insieme con l’obiettivo di produrre gemme bellissime da cui possano trarne beneficio le comunità locali, supportando al contempo la conservazione.

Fig. 8 – Visita a Campbell Bridges e alle sue operazioni di estrazione di granato Tsavorite in Kenya nel 2005. Grazie a questa visita, Vincent ha potuto constatare che gemmologia e conservazione possono supportarsi a vicenda: le gemme possono essere utilizzate per promuovere e supportare ottime odee e progetti come la conservazione, ma anche altre necessità locali come l’assistenza sanitaria o l’educazione scolastica. (Foto: Jean Baptiste Senoble)

Dussart: Quali raccomandazione vuoi dare, per finire, ai gemmologi ed agli appassionati – giovani e meno giovani – che oggi ti stanno leggendo? Che dovrebbero fare secondo te per comprendere meglio il mondo delle pietre?

Pardieu: Lavorare sodo. Lavorare con intelligenza. Leggere molto. Credere in se stessi ma restare aperti alle idee nuove. Imparare quanto si può senza smettere di sognare ma senza paura di restare realistici poiché l’unico modo di sbagliare è quando si decide di smettere di provarci. Quando cercate un primo impiego non dare retta alla paga, quanto a quello che potete apprendere… È così che sono arrivato dove mi trovo oggi. Ho perso soldi ogni mese dei miei primi sette anni di carriera, ma questo danaro l’ho trasformato in esperienza professionale ed una buona reputazione. Questo è stato davvero un investimento migliore di una laurea.

Box: Il controverso articolo di Nat Geo sotto la lente d’ingrandimento di V. Pardieu. Come si misura l’impatto ecologico?

Fig. 9a
Fig. 9b

La presunta estinzione dei lemuri per colpa dei minatori. La recente corsa alle pietre nel Madagascar ha attirato l’attenzione di molti media. Vincent Pardieu si è fortemente opposto ad uno di questi in particolare, “Come il commercio degli zaffiri sta portando all’estinzione dei lemuri” di Paul Tullis pubblicato da National Geographic, nel quale l’autore tra le altre cose ha affermato che l’estrazione di zaffiri ha causato la distruzione di migliaia di acri di foresta. Alla fine il titolo è stato modificato ed il testo rivisto secondo le indicazioni di Pardieu.

Fig. 10a
Fig. 10b

Valutazione delle condizioni ambientali utilizzando Google Earth. Allo scopo di fornire una documentazione efficace Pardieu ha semplicemente utilizzato Google Earth, a suo giudizio un potente strumento, e ha comparato nel tempo le modificazioni che si sono verificate in alcune aree. Le due immagini sulla sinistra mostrano l’Ambodipaiso (oppure “Ambodipecho”), una delle aree di rinvenimento degli zaffiri nella parte occidentale di Bemainty (posizione all’incirca 17°58’22” S 48°38’37”E), nel 2005 e nel 2017. Entrambe le immagini mostrano che non ci sono alberi attorno al corso d’acqua, a riprova che la terra utilizzata l’estrazione nel 2017 era già priva d’alberi, per cui non ci sono basi per incolpare i minatori di attività di deforestazione. Secondo Pardieu, Paul Tullis ha basato quest’accusa usando dati che si riferivano ad un’altra area (priva di miniere) del paese. (Foto: Google Earth)

Fig. 11a
Fig. 11b

“Piazza pulita”, un tipico sistema di agricoltura. A destra, viste comparate di una area mineraria di zaffiri riferita a Febbraio ed Ottobre 2017 vicino Bemainty, nei pressi di Ambatondrazaka nel Madagascar. Il numero delle capanne sono molto meno in quanto i minatori sono calati da circa 40.000 a 400 unità. Cosa interessante, la maggior parte degli alberi è ancora intatta con la foresta che ha ricominciato a riprendersi, legno secco o parzialmente bruciato che si trova di meno è molto di meno. In contrasto con le affermazioni di Paul Tullis e comparando tra loro le immagini, Pardieu nota che né i minatori né la gente comune era interessata a tagliare alberi dato che potevano bruciare facilmente il legno secco disponibile, molto più facile da raccogliere e molto più adatto alla cucina. L’area a foresta dove si sono trovati gli zaffiri è stata bruciata da coloro che praticano un sistema agricolo tradizionale denominato “Piazza pulita” (“slash and burn”) che, secondo molti, rappresenta una minaccia molto più seria rispetto all’attività mineraria.

Articolo a cura di Simon Dussart, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 7, Estate 2019.

spot_img

Articoli correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

NEWS

spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img
spot_img

Dal Magazine