lunedì, Aprile 29, 2024
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Il terzo embargo al Myanmar è diverso. Ora si va dritto al cuore agli interessi dei militari su giada e rubini

Si è cominciato nel 2008 col JADE Act di George Bush che reagiva alla repressione violenta della “Rivoluzione Zafferano” (dalla tunica dei monaci buddisti) dell’anno precedente. Si è andati avanti nel 2018 con altre sanzioni imposte da Trump come ritorsione per le operazioni di pulizia etnica ai danni delle minoranze musulmane Rohingya. L’Unione Europea e il Regno Unito hanno seguito a ruota. Chi si fosse illuso che nel decennio scorso in Myanmar le elezioni, le riforme e le parziali aperture democratiche fossero tappe decisive per la normalizzazione del paese da decenni sotto un regime militare autoritario, deve ricredersi.

Tutto è culminato nel Febbraio 2021 nel drammatico e cruento colpo di stato attuato dalla giunta militare che non riconosceva la vittoria straripante della storica leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi e avviava una dura repressione. Va detto che gli osservatori in passato hanno espresso dubbi sull’efficacia delle sanzioni. Il punto è: si punisce la leadership coinvolta nei crimini contestati o piuttosto la popolazione inerme? Ma c’è un fatto nuovo: questa volta vengono colpiti dalle sanzioni statunitensi gli interessi specifici dei generali, giada e rubini compresi. I militari gestiscono attraverso due agglomerati economici giganteschi, di cui si sa poco, la Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL) e la Myanmar Economic Corporation (MEC), almeno 133 aziende.

(Foto: Ninjastrikers/Wikimedia Commons, License CC BY-SA 4.0)

In una dichiarazione datata 11 febbraio 2021 la Casa Bianca non va per il sottile. Questa volta si fanno nomi e cognomi: il Comandante in Capo delle forze armate Min Aung Hlaing ed il suo vice Soe Win. E si citano espressamente giada e rubini: “Sono state individuate tre entità, tra cui la Myanmar Ruby Enterprise e la Myanmar Imperial Jade Co., LTD. che sono interamente gestite da un conglomerato posseduto o controllato dai militari birmani”. Il documento precisa che “il governo degli Stati Uniti sta prendendo provvedimenti per impedire ai generali di accedere impropriamente a più di 1 miliardo di dollari in fondi del governo birmano detenuti negli Stati Uniti”. Questo provvedimento è la vera novità che potrebbe risolvere il rebus: come colpire i responsabili al potere senza danneggiare un tessuto sociale già duramente provato? A facilitare un passo così determinato può aver contribuito lo studio dettagliato da parte del “Human Rights Council”, un organo intergovernativo costituito all’interno del sistema delle Nazioni Unite, che ha istituito a marzo 2017 una Missione col compito di accertare fatti e circostanze relative a presunti abusi e violazioni dei diritti umani da parte delle forze militari e di sicurezza in Myanmar. La Missione ha documentato in modo chiaro la rete di interessi che alcuni esponenti del Tatmadaw, l’esercito del Myanmar, detengono in vari settori industriali birmani tra cui quello minerario.

Gem News pubblicata su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 12, Estate 2021

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