martedì, Aprile 23, 2024
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Spettroscopia Raman: tecnica e applicazioni gemmologiche

Uno dei requisiti praticamente imprescindibili nelle metodologie di analisi gemmologica è che il campione non venga in nessun modo alterato o, anche parzialmente, distrutto. Questa limitazione tecnica, sebbene perfettamente comprensibile data la natura del materiale esaminato, impedisce al gemmologo l’utilizzo di una vasta gamma di apparati, per i quali è previsto il “sacrificio”, seppure in minima parte, di porzioni della gemma. La spettroscopia Raman è a tutt’oggi considerata la tecnica di identificazione per eccellenza in quanto, oltre che estremamente precisa nell’analisi dei materiali, è al tempo stesso veloce ed assolutamente non invasiva per le gemme.

L’effetto Raman

Quando una sostanza viene colpita da un fascio di radiazione monocromatica, una piccola parte di questa radiazione viene diffusa (scattering). La maggior parte di questa avrà la medesima energia della sorgente: si avrà per cui una diffusione elastica (Rayleigh scattering). Una piccolissima parte (1 fotone su 10 milioni) della radiazione diffusa avrà energia diversa da quella della sorgente incidente ed il risultato sarà una diffusione anelastica (Raman Scattering). In questo caso avviene uno scambio di energia tra il fotone della radiazione incidente e la materia, la quale si porta in uno stato eccitato. Parte di questa energia viene utilizzata dalla materia per accendere un moto vibrazionale. Successivamente la materia torna allo stato fondamentale rilasciando un fotone la cui energia è mancante della quota necessaria all’accensione del moto vibrazionale. La diffusione Raman è strettamente correlata ai modi di vibrazione di una sostanza; dato che questi dipendono dalla massa degli atomi, dalle forze di legame e dalle simmetrie, ne risulta che lo spettro Raman di una sostanza corrisponde ad una sua vera e propria impronta digitale che ne consente l’univoca identificazione. Per la scoperta di questa diffusione, avvenuta nel 1928, Sir C.V. Raman venne insignito del premio Nobel per la fisica nel 1930 (Figura 1).

Un aspetto straordinario di questa diffusione, che viene comunemente chiamata Raman shift, è che non solo è unica e distinta per ogni materia, ma si mantiene costante a prescindere dalla lunghezza d’onda della sorgente utilizzata. Questo aspetto è tutt’altro che secondario se pensiamo che in gemmologia, come in molti altri campi, abbiamo a che fare con una moltitudine di materiali differenti i quali reagiscono in modo spesso diversissimo a seconda dell’energia dell’emissione utilizzata per identificarli. Alcuni campioni saranno infatti più facili da individuare utilizzando una sorgente nello spettro del visibile mentre per altri, che possono manifestare reazioni di luminescenza a queste lunghezze d’onda, potrà essere necessario disporre di unità infrarosse.

Figura 1 – Sir C.V. Raman con lo spettrografo al quarzo utilizzato per misurare le lunghezze d’onda della diffusione anelastica, in seguito denominata effetto Raman. (© www.actrec.gov.in)

L’apparato Raman

Concettualmente si tratta di un sistema piuttosto elementare: una sorgente monocromatica viene focalizzata sul campione, questo emette uno spettro di radiazioni che vengono successivamente filtrate affinché la sola diffusione anelastica raggiunga il rilevatore. Un sistema computerizzato trasformerà successivamente il segnale in uno spettro visualizzabile. Se dal punto di vista schematico il sistema così descritto appare di semplice realizzazione, nella pratica ci sono una serie di problemi che richiedono l’adozione soluzioni tecniche estremamente avanzate. Se torniamo per un momento al concetto di diffusione anelastica (provocata da 1 fotone su 10 milioni) possiamo renderci conto di quanto questa sia esigua, ai limiti del rilevabile; è quindi intuitivo che per aumentarne l’entità sia necessario disporre di una fonte monocromatica estremamente potente. Sino a pochi anni fa l’unico sistema in grado di soddisfare questo requisito era il monocromatore, un apparato che, per mezzo di griglie di diffrazione, scomponeva la luce visibile nelle sue componenti monocromatiche che potevano poi essere utilizzate per generare l’effetto Raman nel campione. Si trattava di un sistema molto costoso, ingombrante e non efficientissimo. Uno dei due aspetti che ha consentito la rapida diffusione della spettroscopia Raman in tempi relativamente recenti è stato la velocità con la quale i LASER si sono evoluti. A pensarci bene, date le sue caratteristiche, si potrebbe pensare che il LASER sia stato inventato per la Spettroscopia Raman: un fascio estremamente potente di luce monocromatica coerente ad un costo praticamente irrisorio se paragonato a quello dei monocromatori. L’altro fattore che ha influito notevolmente è l’adozione degli spettrometri a CCD (Charge-Coupled Device), decisamente più compatti, economici e in molti casi addirittura più efficienti dei tradizionali sistemi a sensore PMT (Photomultipler). L’ultimo aspetto critico è costituito dai filtri la cui efficacia, grazie ai progressi della chimica, è migliorata esponenzialmente nell’ultimo decennio.

Il MicroRaman confocale

Vale senz’altro la pena in questa sede descrivere, seppur brevemente, l’apparato Raman che ha comportato una vera e propria svolta in gemmologia per quanto riguarda l’identificazione delle inclusioni nelle gemme. Fino a non moltissimi anni fa, l’osservazione microscopica era il metodo più utilizzato per identificare la natura delle inclusioni. In combinazione con un sistema microscopico e di illuminazione efficienti era ovviamente necessaria una profonda conoscenza dell’abito cristallino dei vari elementi e delle loro possibili associazioni alla gemma da analizzare. A causa delle oggettive difficoltà che questa pratica comportava, tuttavia, il risultato rimaneva, molto spesso e con poche eccezioni, nel campo delle possibilità. Il MicroRaman confocale, seppur con alcune limitazioni, consente di identificare con assoluta certezza le inclusioni all’interno di una gemma senza danneggiarla. Il procedimento tuttavia non è così semplice come sembra ed è necessario un potente sistema di elaborazione dati provvisto di software specifici affinché il risultato sia apprezzabile. L’inclusione poi non deve trovarsi troppo in profondità nella gemma; il sistema infatti registra uno spettro che è la combinazione del materiale ospitante e di quello al suo interno; se il primo risulta troppo preponderante e/o sovrapposto, il riconoscimento dell’inclusione può risultare decisamente complicato se non impossibile. In molti casi i MicroRaman confocali dispongono di più sorgenti intercambiabili, di solito sia radiazione visibile che infrarossa, per ampliare il più possibile la gamma di indagine disponibile.

Figura 2 – Il grafico mostra lo spettro Raman (o Raman fingerprint) di uno zircone. All’origine degli assi troveremo il valore zero che corrisponde alla lunghezza d’onda della sorgente. In ascissa viene visualizzato lo scostamento (shift) ovvero la differenza tra le frequenze dei fotoni incidente (laser) e diffuso espressa in cm-1. Sull’asse delle ordinate l’intensità del segnale espressa in un’unità arbitraria (counts) che non riveste una reale importanza: é bene infatti ricordare che, trattandosi di uno scostamento (o shift), il fattore importante riguarda i dati leggibili in ascissa. L’intensità del segnale, infatti, è dipendente dall’orientazione cristallografica del campione: una sua rotazione rispetto al fascio incidente provocherà una differente intensità dei picchi le cui posizioni relative all’asse Y, tuttavia, rimarranno costanti. (Foto e recut: Conny Forsberg FGA, Swedish Gem LAB)

La luminescenza, elemento di disturbo o preziosa risorsa?

Si è detto che è possibile utilizzare una vastissima gamma di lunghezze d’onda per stimolare la diffusione Raman, ma qual è la più efficace per la gemmologia? I sistemi Raman possono raggrupparsi in due grandi famiglie, a seconda che la sorgente sia nel campo del visibile o dell’infrarosso. Tradizionalmente l’emissione infrarossa (di solito tra 780 e 800 nm) è stata quella maggiormente utilizzata in passato: il motivo alla base di questa scelta è che si voleva il più possibile limitare una indesiderata reazione di luminescenza nei campioni. I più vari elementi chimici nella composizione del materiale da analizzare possono reagire generando una fastidiosa emissione, spesso nel visibile, che può mascherare completamente o in parte la debolissima diffusione Raman rendendone impossibile la rilevazione. Le lunghezze d’onda nella regione infrarossa provocano molto raramente questa reazione e per questo sono state per lungo tempo preferite nella progettazione di sistemi Raman. L’aspetto negativo deriva dal fatto che sono necessari Laser molto potenti e spettrometri estremamente sensibili (i sensori CCD sono veramente poco efficienti nell’infrarosso) per ottenere risultati apprezzabili. Tutto questo porta a costi di realizzazione che sono di regola tre volte superiori a quelli di un’unità Raman che utilizza luce visibile. Il motivo per cui, al giorno d’oggi, le sorgenti visibili sono via via maggiormente preferite è che le eventuali emissioni di luminescenza, sebbene in alcuni casi possano rendere problematica o impossibile la scansione dell’effetto Raman, ci forniscono ulteriori e preziosissime informazioni per l’analisi gemmologica, non solo di identificazione dei materiali ma anche di loro eventuali trattamenti. Data la straordinaria importanza che la fotoluminescenza riveste negli ultimi studi gemmologici lasceremo la sua trattazione ad uno specifico articolo che potrete trovare nel prossimo numero della rivista.

Figura 3 – Schema di spettrometro Raman. La sorgente, in questo caso un laser, colpisce il campione non prima di aver subito un filtraggio per eliminare tutte le eventuali lunghezze d’onda indesiderate. Il campione emette diffusione elastica (in verde nel disegno) ed anelastica (in rosso). Entrambe vengono filtrate e solo quest’ultima raggiunge il sensore dello spettrometro. L’unità elaborazione dati rende visualizzabile lo spettro Raman risultante.

Applicazioni gemmologiche

Uno dei pilastri concettuali della gemmologia ci insegna a raccogliere più dati possibili – molto spesso si usa l’immagine del detective – prima di azzardare un’ipotesi concreta nell’identificazione delle gemme. Il protocollo probabilmente più comune ed efficace prevede l’esclusione progressiva dei candidati man mano che le indagini diagnostiche danno i loro frutti sino ad arrivare ad una gamma di opzioni più esigua possibile. Maggiore è il numero di tecniche utilizzate, più alta sarà la possibilità di arrivare all’identificazione certa. La spettroscopia Raman è probabilmente l’unico sistema che consente, nella stragrande maggioranza dei casi, l’identificazione certa e veloce della gemma – sia essa grezza che tagliata – senza necessità di ulteriori indagini confermative. Questo vuol dire, nella pratica, una drastica diminuzione dei tempi d’indagine a tutto vantaggio del lavoro del gemmologo. Sono da registrare, da parte di alcuni esperti del settore, isolate critiche basate sulla problematicità o addirittura sulla inutilità di dotarsi di Spettroscopia Raman, a meno che non si possieda una formazione di livello accademico in materia. Ci sentiamo di non condividere questa posizione. L’operatore non deve essere necessariamente uno scienziato per ottenere risultati validi. Quello di cui necessita è una comprensione del principio di funzionamento, la capacità di comparare i risultati con un database di riferimento di provata validità e, non ultimo, la competenza nel rendersi conto di quando lo strumento sta fornendo risultati errati o non completamente affidabili, vuoi per problemi di posizionamento del campione, per sua inadeguatezza, o, infine, per malfunzionamento del sistema. All’operatore, in pratica, non è richiesto altro che utilizzare propriamente lo spettrometro e comparare i risultati con il database, né più né meno quello che si fa quando si prende l’indice di rifrazione: si effettua la lettura e si comparano i valori con le tabelle. E’ certamente utile conoscere la dimostrazione matematica con cui si arriva alla determinazione dell’angolo critico, ma non per questo le letture rilevate da un operatore che ne sia all’oscuro saranno meno valide.

In gemmologia siamo abituati a trattare con una moltitudine di gemme contenenti elementi cromofori in traccia, il più famoso è senz’altro il cromo. Una sua per alcuni versi sconveniente proprietà è quella di emettere una violenta reazione di luminescenza se eccitato da alcune lunghezze d’onda del visibile ad intensità concentrata, proprio quello che accade quando vogliamo rilevare uno spettro Raman. Rubini, smeraldi, alessandriti, in molti casi zaffiri ed altre gemme contengono cromo in percentuali varie e rilevarne il fingerprint Raman è molto spesso praticamente impossibile. Se da una parte questo aspetto potrebbe far pensare ad una sostanziale inutilità della spettroscopia Raman per questi materiali, c’è da considerare che le reazioni a fotoluminescenza caratterizzano anch’esse con estrema precisione le varie gemme e possono essere registrate e opportunamente comparate dagli stessi spettrometri Raman dotati di sorgenti visibili, purché aventi adeguata ampiezza spettrale che le possa includere. Tipicamente le emissioni del cromo si presentano tra i 678 ed i 690 nm, a volte poco oltre i 700 nm, e se il nostro spettrometro avrà un range che include questi valori, le gemme in questione potranno essere identificate mediante i loro spettri a fotoluminescenza anche se lo spettro Raman sarà impossibile da rilevare.

Figura 4 – Schema di MicroRaman Confocale. Il raggio laser (A) e l’immagine visualizzata negli oculari (B) vengono focalizzati dall’obiettivo (C) sullo stesso piano spaziale mediante un complesso sistema sincronizzato di diaframmi iris. Agendo sulla messa a fuoco del microscopio si modifica così anche il punto che il Laser colpirà all’interno del campione. Il segnale Raman emesso dalla gemma compie poi a ritroso parte del medesimo percorso ottico per poi venire inviato allo spettrometro. La risoluzione spaziale di questi apparati è dell’ordine dei 3 µm. La sorgente luminosa (D) ha esclusiva funzione di illuminazione del campione.

Sintetici, trattamenti e… controindicazioni

Molto spesso, dal punto di vista dei risultati, lo spettrometro Raman viene concettualmente e forse impropriamente paragonato ad un rifrattometro “potenziato”. In effetti, come avviene per quest’ultimo, non si possono ottenere distinzioni tra gemme naturali e sintetiche. Esistono pochi ma significativi casi in cui i fingerprint Raman di gemme naturali e sintetiche differiscono, uno su tutti: lo spinello. Altre significative differenze (usando la fotoluminescenza) si possono appurare negli smeraldi, negli opali, nei trattamenti per impregnazione delle giade ed altre gemme. I metalli non producono alcun segnale Raman né disturbi, e questo facilita l’analisi di gemme montate. Ovviamente come per tutti gli strumenti, anche la spettroscopia Raman ha il suo tallone di Achille: come già detto dà il meglio di sé per strutture cristalline ben definite, ma i materiali amorfi presentano qualche difficoltà. Anche i campioni di colore nero o molto scuri tendono, per loro natura, ad assorbire la loro stessa radiazione Raman, ragione per cui in molti casi è oggettivamente complicato ottenere uno spettro leggibile. Ma l’ambito in cui la spettroscopia Raman dimostra tutta la sua straordinaria efficacia gemmologica riguarda i materiali non “tradizionali” che, soprattutto ultimamente, stanno entrando sempre più frequentemente in commercio anche a causa della cronica scarsità delle gemme più comunemente utilizzate. Se identificare una collana in fosfosiderite o magnesite può richiedere tempi relativamente lunghi utilizzando metodologie tradizionali, per uno spettrometro Raman sarà questione di secondi. La possibilità inoltre di analizzare qualsiasi forma e pezzo, anche grezzo, ne fanno lo strumento quasi insostituibile nel moderno laboratorio gemmologico.

Conclusioni

Grazie al progresso nei laser ed alla miniaturizzazione degli spettrometri CCD, la spettroscopia Raman si sta recentemente candidando a divenire, da strumento avanzato disponibile in pochi laboratori, un rapido ed efficace sistema di analisi alla portata del gemmologo singolo. La sua velocità e sicurezza d’uso ne consentiranno una diffusione sempre maggiore e ci auguriamo non ci vorrà molto prima che venga incluso nei corsi gemmologici come strumento base per l’identificazione delle gemme.

Bibliografia

D. Bersani, P.P. Lottici, “Analytical and Bioanalytical Chemistry”, 2010 Aug. – 397 (7), 2631-2646.

R. Jasinevicius, “Characterization of vibrational and electronic features in the raman spectra of gem minerals”, MSc thesis, 2009, Department of Geosciences, University of Arizona, Tucson, 147p.

A cura di Alberto Scarani e Mikko Åström, pubblicato su Rivista Italiana di Gemmologia n. 2, Settembre 2017.

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2 Commenti

  1. Buonasera, sono un vostro abbonato e leggo sempre con molta attenzione igli articoli pubblicati, sono anche un appassionato di gemmologia.
    Ho un’azienda orafa di manifattura, di antica tradizione, ho partecipato a corsi di gemmologia e ho una collaborazione con l’Università di Catania , Dipartimento di Geologia, dove periodicamente tengo dei seminari di Gemmologia (naturalmente solo conoscitivi) per far conoscere agli studenti della Facoltà questo meraviglioso mondo delle gemme, ed ho partecipato, insieme a docenti ed alunni alla realizzazione di quattro interessanti tesi di Laurea (una di queste sulla Simetite, di cui sono un grande appassionato non che un collezionista).
    Porto a vostra conoscenza che il Dipartimento di Geologia , da anni esegue analisi spettroscopiche con il Raman, ha organizzato per ben due anni di seguito dei convegni di Gemmologia, a Catania,con la partecipazione non solo di Docenti universitari di varie regioni d’Italia , ma l’Istituto Gemmologico Italiano, e la Federdettaglianti.
    Non mi dilungo , vorrei avere la possibilità di incontrarvi, anche telefonicamente, e potere con voi chiaccherare un po di Gemme.
    Cari saluti Ugo Longobardo

    • Gentile Ugo,
      la ringraziamo per il suo intervento, che giriamo alla nostra redazione! Se desidera parlare con uno dei nostri redattori può inviare una e-mail al nostro indirizzo info@rivistaitalianadigemmologia.com per un appuntamento telefonico oppure per incontrarsi durante le manifestazioni di settore, quando sarà di nuovo possibile viaggiare liberamente per l’Italia!

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