domenica, Aprile 28, 2024
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Le Nazioni Unite affermano che in Myanmar i militari controllano i rubini e la giada in violazione dei diritti umani ed invitano a rompere i legami con le società controllate

Lo “Human Rights Council”, organo intergovernativo costituito all’interno del sistema delle Nazioni Unite, ha istituito a marzo 2017 una Missione col compito di accertare fatti e circostanze relative a presunti abusi e violazioni dei diritti umani da parte delle forze militari e di sicurezza in Myanmar, principalmente, ma non esclusivamente, collegate alla persecuzione dei Rohingya. La missione ha prodotto 6 rapporti sia in birmano che in inglese.

Uno di questi rapporti, pubblicato nell’agosto 2019, intitolato esplicitamente, “La Missione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Myanmar rivela collegamenti tra settore militare e commerciale e chiede sanzioni mirate ed embargo sulle armi” fornisce diverse informazioni che dimostrano l’uso della violenza da parte del Tatmadaw, l’esercito del Myanmar, nella gestione dei molti settori dell’economia in cui è partecipe, tra cui l’estrazione mineraria, un comparto rilevante che rappresenta il 6% del PIL, il 20% delle entrate statali e il 47,6% delle esportazioni del paese.

L’estrazione di giada e rubini, rispettivamente negli Stati di Kachin e Shan contribuisce in modo significativo all’industria mineraria del Myanmar. Il documento rileva che molte attività nel ramo minerario sono espletate da due società, la Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL) e la Myanmar Economic Corporation (MEC), prevalenti in molti altri settori economici importanti (farmaceutici, credito, turismo, costruzioni). Queste due holding vengono descritte nel rapporto come imprese opache, possedute e influenzate da alti dirigenti militari. La Missione ha anche identificato diverse aziende controllate dalla MEHL che operano nelle miniere di rubini di Mong Hsu, nello Stato Shan, sotto il controllo del Tatmadaw. Ad esempio, la Myanmar Ruby Enterprise, società mineraria per lo sfruttamento di rubini, controllata e posseduta per intero dalla MEHL, ha altre 16 controllate impegnate nell’estrazione di rubini. E oltre a ciò, per completare una complessa architettura di scatole cinesi, MEHL e MEC “funzionano, sebbene in maniera non ufficiale, come servizio di segreteria e smistamento delle pratiche delle imprese private che cercano di accedere a lotti e licenze per estrarre rubini”.

(Foto: Adam Jones / Flickr)

La Missione ha identificato ed espressamente citato i nomi di circa 60 imprese straniere in joint venture o con legami commerciali con Tatmadaw creando una pressione che è sfociata in nuove restrizioni internazionali e nel ritiro di aziende che collaboravano con le imprese sotto accusa.

L’inchiesta delle Nazioni Unite documenta in maniera articolata l’uso esteso da parte delle forze militari del paese di proventi derivanti dalla gestione di attività economiche, compresa l’estrazione di gemme, per sostenere “operazioni brutali” nei confronti di gruppi etnici.

“La Missione conclude con motivazioni ragionevolmente fondate che gli interessi commerciali e militari del Tatmadaw nelle industrie estrattive di giada e rubini hanno contribuito direttamente alle violazioni internazionali dei diritti umani, dalle quali hanno anche tratto vantaggi, in aree colpite da conflitti nello Stato di Kachin. La Missione ha una preoccupazione simile, a causa dell’esistenza di ostilità, nei confronti dello Stato Shan. Il Tatmadaw ha usato il lavoro forzato per aumentare le entrate minerarie e ha usato le aree minerarie come basi di sosta per rapimenti, lavoro forzato, violenza sessuale e omicidi. La perpetrazione di queste gravi violazioni fa pensare che i civili, in particolare le donne, che vivono e lavorano nelle aree minerarie corrono un rischio particolarmente elevato di subire violenze sessuali da parte del Tatmadaw. Molte delle violazioni dei diritti umani documentate dalla Missione sono anche violazioni del diritto internazionale umanitario e alcune raggiungono il livello di crimini di guerra, poiché sono da mettersi in relazione con conflitti armati non internazionali”.

La missione delle Nazioni Unite, presieduta da Marzuki Darusman, avvocato, attivista per i diritti umani ed ex procuratore generale in Indonesia, non manca di incoraggiare gli investitori a impegnarsi con aziende che non sono affiliate ai militari e cita Tiffany & Co. come “esempio di un’impresa che ha dimostrato sensibilità e responsabilità quando ha riferito pubblicamente della sua decisione di ‘andare oltre quanto il governo regolamentava’ in occasione della revoca delle sanzioni statunitensi nel 2016 perseverando nella decisione presa nel 2003 di non acquistare pietre preziose dal Myanmar in forza del Burmese Freedom and Democracy Act del 2003, adottato a causa alla gravità delle violazioni dei diritti umani in Myanmar”.

L’efficacia delle sanzioni – va ricordato – è stata messa in discussione da molti osservatori, in quanto la gran parte dei rubini birmani accedeva ai mercati internazionali dopo essere stata lavorata in Thailandia. Gli sviluppi dell’industria estrattiva del Myanmar sembrano infatti dipendere più che altro da Bangkok per i rubini e da Pechino per la giada e resta da vedere in che misura Thailandia e Cina risponderanno alla richiesta di diligenza evidenziata con parole d’allarme da Radhika Coomaraswamy, componente della Missione: “Data l’entità del coinvolgimento del Tatmadaw nell’estrazione di giada e rubini nel Myanmar settentrionale, le imprese e i consumatori dovrebbero condurre una maggiore diligenza per garantire che non stiano acquistando, vendendo, scambiando o utilizzando in altro modo gemme prodotte o vendute da imprese possedute o influenzate dal Tatmadaw”.

Gem News pubblicata su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 8, Inverno 2019

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