venerdì, Aprile 26, 2024
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Li chiameranno blood rubies? Il complicato insediamento di Gemfields riapre la questione della Responsabilità Sociale

Le grandi imprese minerarie straniere hanno cambiato in meglio o in peggio le condizioni delle comunità insediate? Se i rubini fossero estratti solo da piccoli artigiani in competizione tra loro assisteremmo a più o meno violenza? Gemfields ha ottenuto un innegabile successo ed aumentato le rendite del Mozambico ma la quantificazione del suo grado di compliance etica è ancora un lavoro in corso molto controverso dopo una serie di inchieste giornalistiche alquanto critiche ed un’azione legale avversa. Ma questa è una questione complicata che richiede accurati approfondimenti. Non è un gioco in cui si debba semplicemente distinguere tra buoni e cattivi.

Figura 1 – Fotogrammi dal video esplicito pubblicato su Facebook da Lazaro Mabunda, giovane giornalista mozambicano, in cui vengono mostrati presunti abusi, tra cui una sorta di autoflagellazione, e bastonate, perpetrate ai danni dei garimperos.

 

Scoppia il caso dei presunti abusi. 4000 minatori sono espulsi dal paese

Il 17 luglio 2017 Lazaro Mabunda, un giovane giornalista mozambicano pubblica su Facebook un post con riprese esplicite (1400 condivisioni in poche ore, moltissimi commenti di sdegno e un’indagine della polizia) che documentano abusi e violenze contro i garimperos che sarebbero state commesse a Namanhumbir, nella provincia di Cabo Delgado dove si trovano i ricchi depositi di rubini di Montepuez. Si tratta di tante bastonate e di umiliazioni anche singolari, una sorta di autoflagellazione. Le tensioni e gli scontri non sono una novità tra i minatori artigiani concorrenti, a partire dalla scoperta dei preziosi giacimenti di rubini nel 2009. Incidenti e violenze sono a lungo stati all’ordine del giorno. Da quando sei anni fa sono stati concessi diritti di sfruttamento esclusivi a Gemfields, un’area enorme di 340 km quadrati si è candidata ad essere la principale fornitrice mondiale di rubini. La concessione ha generato nelle comunità locali e nei cercatori di fortuna il timore di essere tagliati fuori dai giochi delle pietre preziose, sebbene siano state concesse ai piccoli minatori locali due aree vicino a Namahaca e Nacaca (quest’ultima in particolare si contraddistingue per la qualità dei rubini estratti). Nell’ultima delle tante operazioni di espulsione ad aprile 2017 le Forças de Defesa e Segurança (FDS) per conto delle autorità di governo avevano allontanato dalla regione settentrionale e frontaliera circa 4000 minatori illegali, di cui molti erano stranieri, principalmente provenienti da Senegal, Somalia e Tanzania. Ma chi sono queste persone? Sono gli stessi che si riversarono nella regione prima dell’avvento di Gemfields, non appena fu scoperto il nuovo Eldorado. Originariamente lo sfruttamento dei rubini ha seguito il modello inefficiente, tipicamente africano, incentrato sulle piccole imprese artigiane, ciascuna con capacità estrattive assai ridotte. Infatti dagli anni ‘80 le operazioni minerarie in paesi limitrofi erano basate su traffici sommersi, in collusione con le autorità locali ed avviate con finanziamenti opachi di compratori stranieri. Così, prima dell’insediamento di Gemfields, i broker africani (provenienti principalmente da Tanzania, Guinea, Mali o Senegal), senza avere la licenza di operare in Mozambico, hanno finanziato gruppi di minatori locali, o spostatisi nell’area, per scavare nei territori potenzialmente ricchi di rubini. In cambio forniscono loro vitto, alloggio e in casi di necessità assistenza medica. Questo modello di reperimento non prevede che i broker corrispondano salari ma percentuali tra il 10 ed il 25% del ricavo, dopo aver collocato le gemme tra i loro finanziatori, i commercianti, per lo più thailandesi, presenti nella città di Montepuez. Nonostante sia volatile e precaria, la condizione di lavoro illegale non è del tutto sgradita. Fonti locali riportano infatti di affari soddisfacenti da parte degli abitanti dell’area con i compratori stranieri. La comunità riceve vantaggi indiretti come l’incremento della richiesta di merci ed alloggi.

Figura 2 – Il Mozambico soffre ancora della disparità di sviluppo tra la sua regione meridionale, più ricca e basata sulla capitale Maputo, e i suoi territori settentrionali.
Questi ultimi territori di fatto hanno sperimentato soltanto recentemente la crescita delle attività minerarie, legate alla scoperta dei nuovi depositi di rubini e di gas naturale.
Da notare che questi depositi minerari sono stati messi in funzione non molto lontano dalla riserva naturale protetta di Niassa, nell’estremo nord del paese.

Scoppia un nuovo conflitto tra Gemfields ed i minatori artigiani dopo l’applicazione della nuova “Lei de Minas”

Questo ingente manipolo di cercatori di gemme – locali o avventurieri che siano – sconfina costantemente alla ricerca di rubini ed è in evidente contrasto con le imprese minerarie come Gemfields e la sua controllata per il 75%, MRM (Montepuez Ruby Mining), che detiene licenze esclusive su precise aree nelle quali sono stati realizzati consistenti investimenti. Ciò nonostante, dopo alcuni contrasti durante lo stato iniziale dell’insediamento di Gemfields, la presenza di minatori artigianali non ha sempre portato ad atti di violenza rilevanti con i nuovi concessionari. Ma per i minatori le cose andarono peggiorando dopo l’entrata in vigore nel 2016 della Legge 202014, detta “Legge delle Miniere” (“Lei de Minas”) che ha modificato le regole dell’attività estrattiva. Ciò ha fatto sì che tutti quei minatori artigianali che oltrepassavano i confini delle aree protette vedessero trasformare il proprio status da “senza licenza” a “illegali” e, dunque, penalmente perseguibili con diversi anni di detenzione. Per questo motivo le nuove presunte violenze contenute nel post di Facebook hanno rinfocolato i vecchi conflitti generati dall’instabilità e dell’illegalità che proveniva dal caos di quando lo sfruttamento era disorganizzato, frammentario e spontaneo.

Il gioco dei rubini di Montepuez s’è complicato. Oggi i protagonisti sono molti: una grande compagnia di attività mineraria con proprie forze di sicurezza; la polizia e le forza armate governative; gli abitanti la cui economia dipende dall’assetto del territorio, estromessi dalle aree di scavo; i cercatori di gemme alla ricerca di buoni affari; centinaia di compratori dalla Thailandia e dallo Sri Lanka che risiedono a Montepuez e che aprono sedi per continuare a rivendere i rubini grezzi ottenuti dai minatori artigiani.

Subito dopo il post del Luglio 2017, Custòdio Duma, Presidente della Commissione Nazionale per i Diritti Umani è intervenuto giudicando la reazione della polizia inappropriata e meritevole di punizione, nonostante le irregolarità che possono aver commesso i minatori. Il caso è esploso rapidamente ed il 19 Luglio è partita un’indagine all’interno delle forze di polizia nel tentativo di identificare i responsabili degli abusi ai danni dei minatori illegali. Adesso la polizia del Mozambico ha ammesso che quelli sono i luoghi dove si estraggono i rubini nella regione di Montepuez, che gli ordini sono impartiti in portoghese da poliziotti regolari, e che quelle erano vere e proprie forme di tortura. Le indiscrezioni sono presto state confermate e il materiale postato è stato riconosciuto come credibile.

Figura 3 – 100Reporters è finanziata dalla Ford Fondation ed è stata fondata da Diana Jean Schemo e Philip Shenon. Sono noti giornalisti, già corrispondenti del New York Times ed esperti in inchieste scomode. 100Reporters ha lavorato per tre anni sui presunti illeciti ed abusi dei rubini di Montepuez, con 10 spedizioni sul campo, 50 interviste con Responsabili governativi, incontri con minatori, indagini su casi giudiziari.

Il giornalismo d’inchiesta aveva puntato già i riflettori…

Come si può spiegare questa improvvisa impennata di sensibilità per i diritti umani in un paese difficile? Il Mozambico, anche a causa del fatto che molte personalità dell’establishment sono coinvolte nel business dei rubini, non sembrava un’area particolarmente aperta e sensibile alle ragioni delle parti sociali deboli, sebbene si riconosca l’esistenza di spazi di libertà nella stampa locale. Doveva esserci qualche nervo scoperto e qualche megafono acceso. Rileggendo le cronache con attenzione, a partire dal 2016, infatti si nota con chiarezza che alcune inchieste ben documentate – e più autorevoli di un semplice post – autorizzavano molti a non negare più possibili violenze ed abusi che certamente sono avvenuti a diverse intensità nel corso del tempo. Si deve notare che anche un interessante video del GIA dell’ottobre 2015, nel fornire un’esauriente descrizione dei depositi di Montepuez (236 milioni di carati stimati solo in un primo lotto di 36 km quadrati), non mancava di documentare sparatorie e conflitti con i cercatori illegali. Comunque, a quel tempo, non si sono registrate particolari conseguenze nell’opinione pubblica. Aveva cominciato Al Jazeera nel 2015, dando conto di due presunti omicidi di giovani cercatori illegali da parte della Força de Intervenção Rápida (FIR), unità speciali di polizia. In quel video mandato in onda dalla nota rete d’informazione, il Procuratore Generale di Montepuez, Pompilio Xavier Wazamguia, cita 18 casi di omicidi che sarebbe possibile attribuire a forze governative di sicurezza schierate a difesa dei depositi. Poi nel maggio del 2016 a puntare i riflettori sulle concessioni minerarie di Montepuez è 100Reporters, un’Associazione di Giornalismo Responsabile. Ne è risultato un j’accuse assai stringente, con riscontri precisi ed articolati che non risparmiano di intaccare le pretese etiche di Gemfields. Estacio Valoi, autorevole giornalista mozambicano è dietro molti di questi lavori e per le sue inchieste ha ottenuto nel 2017 l’Environmental Journalism Award.

 

Ma alcune testate avevano dovuto scusarsi…

Alcuni media africani avevano nello stesso 2016 tentato di denunciare intimidazioni ed omicidi di minatori artigiani, divenuti illegali con gli accordi del 2012 che hanno concesso uno sfruttamento esclusivo al gruppo estrattivo anglo-sudafricano. Ma non era finita bene per quelle testate. Dietro l’intervento del Press Ombudsman sudafricano ad esempio il giornale Mail & Guardian è stato costretto a scusarsi con Gemfields e con il partner Montepuez Ruby Mining (MRM) per l’articolo “Abitanti di paesi del Mozambico colpiti da spari e lasciati morire mentre cercano i rubini” e per il successivo editoriale “Christo Wiese, Mila Kunis e i rubini di sangue del Mozambico”. Le parole di Johan Retief, responsabile del pronunciamento dell’autorità sudafricana, sono in qualche maniera illuminanti: quegli articoli “creano l’impressione, senza sufficiente giustificazione, che MRM assieme a Gemfields siano coinvolte in omicidi, che MRM assicuri con l’uso della forza della sua Security un monopolio non etico… dirigendo forze del governo per commettere violenze contro minatori illegali attivi dentro l’area della concessione… trasformata in area militarizzata”. Anche ZAM Magazine, una piattaforma di giornalismo investigativo su temi africani, ha dovuto similmente rettificare alcuni dettagli del suo report, correggendo quelle che a parere di Gemfields sono imprecisioni. Le parole pesano tonnellate quando è in gioco la reputazione di un gruppo minerario che fa degli adempimenti etici un punto di forza.

Figura 4 – Leigh Day, in crescita del 20% annuo da un decennio, nasce nel 1987 con la missione di intervenire a livello internazionale a difesa di comunità danneggiate dagli interessi dei gruppi multinazionali. Martin Day è stato presidente della sezione britannica di Greenpeace sino al 2008.

E ora anche gli avvocati. Leigh Day annuncia il suo prossimo attacco a Gemfields

Eppure lo stringato post di Lazaro Mabunda da cui siamo partiti arriva a produrre l’effetto di smuovere l’opinione pubblica, più rapidamente ed incisivamente di tanti lavori giornalistici. Si ha la sensazione che il vento sia cambiato, il Telegraph riprende il tema e lo fa emergere tra le notizie rilevanti nel continente europeo, tradizionalmente pigro nel raccontare vicende africane. Dopo che la stampa internazionale ha cominciato a dar conto in maniera più ampia del caso, rimane da capire in che misura l’opinione pubblica sia in grado di discernere, in un contesto in cui è difficile addentrarsi tra le tante sfumature, se le presunte violenze si debbano collegare a lotte interne tra minatori illegali o a forze militari o di sicurezza nella loro azione di difesa dell’area sottoposta a concessione.

Ma soprattutto il fatto nuovo è l’azione legale che è stata intrapresa presso l’Alta Corte d’Inghilterra e del Galles (High Court of England and Galles) dallo studio britannico Leigh Day contro Gemfields per conto di 29 persone che vivono vicino la concessione. Al momento le carte non sono state depositate e non è possibile entrare nel merito. Quello che si sa è che Leigh Day, specialista nel casi di violazioni di diritti umani in Africa e in paesi svantaggiati, aveva ottenuto fino al 2015 risarcimenti per i propri assistiti per circa 150 milioni di sterline vincendo contro colossi come Shell, Trafigura, BP, Xstrata, Anglo American e Unilever. Tuttavia Leigh Day ha fatto registrare anche sconfitte con strascichi controversi come nel caso al-Sweady su presunte torture inflitte a militari iracheni da parte delle truppe britanniche. La sentenza, sulla scorta di testimonianze rivelatesi false, dà torto allo studio legale.

Ma ormai la minaccia al gruppo estrattivo non viene da più o meno coraggiosi, o da poco o molto influenti, reporter free lance. Bisogna organizzare una mobilitazione assai differente contro accuse che accendono indesiderati riflettori giudiziari. Sulla scia delle richieste per le concessioni minerarie nell’aprile 2018 un’organizzazione ONG locale ha addirittura proposto di cambiare i termini delle licenze minerarie delle compagnie per trattenere una quota maggiore dei profitti dell’azienda. C’è chi possiede armi legali appuntite ed è in grado di sfruttare l’indignazione pubblica pronta a sollevarsi ai primi sospetti di reintroduzione di politiche di neocolonialismo in Africa.

Cosa difende Gemfields? Le proprie credenziali etiche

Gemfields non tarda a reagire. Emette un comunicato l’11 febbraio 2018 nel quale sostanzialmente rigetta gli addebiti: “lo studio legale, Leigh Day, è ben conosciuto… per influenzare inchieste giornalistiche avverse”. Il gruppo estrattivo fa risalire il clima sfavorevole sostanzialmente ai lavori del Mail & Guardian, quelli per i quali era stato promulgato l’obbligo di rettifica e di scuse a Gemfields.

Nel comunicato si possono riscontrare due aspetti importanti. Il primo elemento da sottolineare è proprio il fatto che Gemfields abbia deciso di rilasciare così tempestivamente un documento seppure ci si trovi in una fase preliminare. In casi simili è raro che si prenda posizione ed è spesso prevalente un atteggiamento prudente ed attendista lasciando la parola ai legali, temporeggiando per valutare gli sviluppi. Evidentemente il silenzio minerebbe le pretese di piena compliance etica di Gemfields, mettendo ombre sulla sua effettiva condotta nel campo della responsabilità sociale, dopo che sono stati sviluppati progetti per oltre un milione di US$ comprendenti infrastrutture scolastiche e sanitarie ed aiuti all’agricoltura. Come la nostra Rivista ha evidenziato sul numero 2 Gemfields è attiva anche in progetti di conservazione ambientate nella regione di Niassa. Si delinea un clima che autorizza a dubitare dei successi che sembravano riconosciuti in materia di sostenibilità ambientale e di rispetto per le comunità locali, fattori non aggiuntivi ma centrali nel progetto industriale di Gemfields. L’impresa non mira a commercializzare semplici rubini, ma rubini che la filiera potrà tracciare fino all’origine riscontrando che sono estratti a beneficio delle comunità e dei governi locali, senza provocare danni ambientali. E, poiché il mercato dei prossimi anni premierà chi saprà mostrare credenziali etiche, non è pensabile che queste siano messe in discussione, senza che conseguentemente il valore commerciale stesso sia parimenti intaccato.

Il secondo elemento che emerge dal comunicato è contenuto nelle circostanze che Gemfields stessa ammette essere oggetto di controversie e criticità: “l’azione legale presume che Gemfields e MRM siano responsabili di abusi su diritti umani quali morte e maltrattamenti di minatori artigiani e l’appropriazione di terra senza giusto processo. Lo studio legale presume che quegli atti siano da attribuire, in molti casi, alla polizia del Mozambico e/o ad altre forze governative mozambicane, per le quali l’azione legale cerca di rendere responsabili Gemfields e MRM”.

Gemfields nel comunicato di fatto riconosce testualmente che “in passato si sono verificati casi di violenza fuori e dentro l’area della licenza MRM, sia prima che dopo il nostro arrivo a Montepuez… tra gruppi rivali di minatori artigiani ed i loro gestori in competizione per il controllo del territorio o anche coinvolgendo forze di sicurezza nel preservare specificamente la sicurezza ed il benessere degli impiegati, dei fornitori di servizi e dei membri della comunità locale. Comunque allorché tali incidenti sono accaduti coinvolgendo nostri impiegati si sono compiute le azioni necessarie, in stretta collaborazione con le autorità e fornendo anche assistenza umanitaria ai minatori artigiani ed ai membri della comunità”.

(© MMO – Moçambique Media Online – www.mmo.co.mz)

L’accordo con Gemfields, un’opzione che chiama in causa l’establishment del Mozambico

Queste citazioni testuali dal comunicato di Gemfields sono utili perché, nel rigettare gli addebiti, si riconosce apertamente l’esistenza di un clima di violenza che danneggia e rende più difficoltoso un insediamento morbido da parte della compagnia. Ciò solleva due questioni preliminari che non possono sfuggire agli specialisti di CSR: il trauma derivante dalle controversie sul possesso della terra e la concessione, mediante surroga, dell’uso della forza.

È opportuno un passo indietro per ricostruire in qualche modo il contesto e per collocare nelle giusta cornice le conseguenze dell’impatto di una realtà industriale complessa ed articolata come quella della prospezione e dell’estrazione mineraria moderna su un insieme regionale particolare e fragile come Cabo Colgado, Montepuez. Il Mozambico è stato un paese sotto il controllo, prevalentemente costiero, portoghese sin dal sedicesimo secolo, con una penetrazione coloniale attiva nelle aree interne solo agli inizi del secolo scorso, con frontiere costruite al tavolo negoziale con le potenze europee confinanti e con cinque gruppi etnico-linguistici differenti. È stata per secoli una realtà fragile tenuta sotto chiave da un regime coloniale arcaico e sordo a qualunque cambiamento.

L’indipendenza ottenuta nel 1974 era poi sfociata in un guaio peggiore, una guerra civile che è terminata solo nel 1994 con il consolidamento del FRELIMO, un partito influenzato dall’ideologia marxista, al potere. Come risultato il Mozambico ha ereditato una struttura economica modellata da politiche di pianificazione tipicamente comuniste. I dati economici mostrano una situazione economica assai debole (PIL pro-capite di 634 $ nel 2012) per la dipendenza dall’agricoltura (83% degli occupati), per l’emorragia di capitali all’estero a causa della lunga instabilità. Le prospettive di sviluppo del Mozambico poggiano in modo determinante sul settore minerario da quando nel 2012 sono stati individuati lungo le coste depositi di gas naturale (stimate riserve per 20 miliardi di barili) e rubini nell’area di Montepuez.

Nel 2009 l’abbondanza di punti d’estrazione di rubini ha posto il Mozambico di fronte ad una scelta strategica. Sul territorio c’è solo Mwiriti, un’impresa locale, senza particolare esperienza, che possiede l’area come concessione di caccia da molto tempo prima la scoperta dei preziosi depositi, attribuita ad un suo impiegato, Suleiman Hassan. Fonti locali assegnano però questo merito ad abitanti del posto e sono scettiche sulla regolarità del processo di acquisizione di ulteriori diritti terrieri nonché sulla concessione legittima delle licenze d’uso secondo la legislazione del Mozambico. Tra i proprietari di Mwiriti si possono trovare personalità di rilievo dell’establishment del paese come Raime Pachinuapa, figlio di Raimundo, già comandante dei guerriglieri Frelimo ed ex Governatore della regione di Cabo Delgado. In questo quadro il governo mozambicano ha deciso di garantire a MRM una licenza di sfruttamento minerario venticinquennale su 81.000 acri di Mwiriti a Montepuez. L’impresa ha sulle prime tentato di giocarsi la carta con il solo aiuto di un’azienda thailandese, la “Dragon Gems Enterprises”, che lavorava precedentemente nelle vicinanze delle miniere di tormaline di Mavuco. Ma questa partnership non ha funzionato poiché sono iniziate per Mwiriti difficoltà per i bassi ricavi e per la turbolenza causata da migliaia di persone che andavano invadendo la loro concessione.

C’era un’altra opzione. Sembrava chiaro che una risorsa preziosa poteva svilupparsi solo con una collaborazione forte in grado di centralizzare la distribuzione internazionale di questa gemma guadagnando rendite certe per le casse dello stato. E Gemfields, che ha le carte in regola per giocare questo ruolo, aveva da parte sua bisogno di agenti locali per potersi insediare in una concessione così estesa e così difficile da pattugliare contro i piccoli minatori che vi gravitavano in precedenza. Ecco che il sodalizio finisce per saldare gli interessi dell’impresa mineraria con quelli di personalità dell’establishment politico dominante. Il paese è giovane, con un forte indebitamento, non ha una classe dirigente imprenditoriale con esperienza, non dispone di capitali e di know how adeguati. È un dato di fatto che il Mozambico, per emanciparsi dalla cronica inadeguatezza dell’estrazione artigiana, abbia allora messo sul tavolo i diritti per il futuro utilizzo delle proprie risorse minerarie, ipotecandole in cambio di quegli investimenti necessari che solo gruppi multinazionali strutturati potevamo garantire. Gli effetti positivi o negativi di questa politica saranno svelati solo dal tempo.

(© Oxpeckers)

L’acquisizione controversa della terra e l’ambiguità dell’uso della forza

Molte delle contestazioni della comunità locali al raggruppamento Gemfields e MRM vertono sul fatto che i diritti sulla concessione delle superfici potenzialmente ricche di rubini sarebbero stati ottenuti dai notabili locali, partner di Gemfields, sfruttando le ambiguità di una Legge Agraria (Land Law) del 1997 che istituisce il principio del DUAT (Direito de Uso e Aproveitamento das Terras). La terra è proprietà dello Stato ma è concessa in affitto per lunghi periodi dietro presentazioni di piani di utilizzo. I diritti possono essere ceduti ma sono all’origine gratuiti. Questo processo, ispirato dagli ideali della sinistra più radicale, ha portato ad una condizione di indeterminatezza che, per stessa ammissione della World Bank, ha sortito ben altro effetto e cioè la concentrazione in poche mani di grandi proprietà. Le comunità più povere e meno dotate di potere contrattuale non hanno saputo o potuto candidarsi all’uso. Raimundo Pachinuapa avrebbe, secondo quanto rivelato a giornalisti d’inchiesta, acquisito i diritti sulle terre ai danni di membri incapaci di destreggiarsi nei passaggi del DUAT per poi ottenere dal Governo – come s’è visto – la licenza di prospezione dei rubini per la sua azienda Mwiriti, poi divenuta Montepuez Ruby Mining (MRM) nel 2011 ed infine controllata da Gemfields per il 75%.
All’ambiguità dei processi di acquisizione dei diritti terrieri corrisponde l’ambiguità nell’esercizio della forza.

Per la protezione dei diritti estrattivi sono stati all’inizio coinvolti corpi regionali e la FIR, truppe d’élite, tutti soggetti militari del governo nazionale. La Montepuez Ruby Mining (MRM), secondo dati riportati, dà ai militari supporto logistico e collabora con loro in modo stretto affiancando 109 addetti alla sicurezza interni e circa 470 addetti di Arkhe Risk Solutions, un’agenzia locale della sudafricana Omega Risk Solutions. È ovvio che la Security privata, armata di 12 fucili a gommini e due pistole, sia strettamente controllata e con ingaggio limitato nei conflitti. Sono le forze militari quelle che sostengono gli scontri con i garimperos illegali, li allontanano con la forza e riempiono con bulldozers i pozzi artigianali da loro scavati. Ma nelle concessioni operano anche delle bande armate, denominate Nacatanas (Machete in Portoghese), che parimenti assaltano, depredano e respingono i minatori intrusi a quanto pare sotto gli occhi dei militari che darebbero loro sostegno e garanzia d’impunità.

(© Gemfields – Ulyces Monde – Estacio Valoi)
(© Gemfields – Ulyces Monde – Estacio Valoi)

Ed eccoci alle conclusioni. Etica e decoupage territoriale

Anche se si riconoscono a Gemfields tutti gli sforzi per dare impulso allo sviluppo socio-economico delle aree sottoposte a sfruttamento non è detto che i bilanci etici corrispondano ai successi economici. È opportuno misurare e distinguere di volta in volta i vari casi causati dall’impatto dell’estrazione di materie prime preziose sulle aree di rinvenimento. In questo caso di studio Gemfields opera in una regione che è frutto di un processo che i geografi definirebbero di fabbricazione dello spazio. Infatti il perimetro della regione settentrionale è stato ritagliato, a seguito del processo di pacificazione, per accomodare, mediante concessioni governative, una o più enclaves minerarie, funzionali al progetto di sfruttamento moderno dei depositi di rubini. Ciò ha provocato spostamenti della popolazione stanziata e modifiche alla struttura economica. Se per produrre gemme etiche è necessario creare uno spazio, bisogna che questo spazio sia predisposto a rispondere a criteri etici. Secondo una prospettiva socialmente responsabile, come Jason Prno e e Scott Slovombe dimostrano nei loro studi sulla governance delle aree minerarie, per soddisfare i bisogni delle comunità locali coinvolte nel processo di ridisegno territoriale, sarebbe opportuno pensare di attivare una licenza sociale da affiancare a quella mineraria.

Resta il fatto che la concessione governativa si è concretizzata invece solo grazie all’accaparramento controverso e contestato di grossi appezzamenti fondiari. Il conseguente cambio di destinazione d’uso ha creato una nuova realtà sul territorio, nuove gerarchie ed il ricollocamento degli insediamenti. Il processo pertanto, cambiando gli equilibri del territorio, modifica la mappa, i rapporti e le gerarchie tra gli stakeholder. Più rapida e traumatica è la creazione di un insediamento, maggiori sono le implicazioni di CSR.

La questione della Responsabilità implica una serie di domande: chi può e chi non può essere considerato uno stakeholder primario? Un’impresa mineraria deve rispondere esclusivamente alle parti in causa più prossime quali possono essere i dipendenti, i fornitori di servizi e le proprie famiglie? Contribuire alla conservazione ambientale in aree importanti del Mozambico può essere, per le imprese minerarie, un passo efficace per ricompensare gli squilibri causati in aree adiacenti? La concessione mineraria assegnata dal Governo ad alcuni membri del proprio establishment politico rende Gemfields un partner privilegiato di una più ampia ed avvantaggiata joint venture. Il Governo del Mozambico è al tempo stesso un fornitore di territori sfruttabili ed un vero e proprio partner in quanto riceve ricavi a compensazione della concessione mineraria e della sua protezione. In questo contesto la disponibilità di terra e l’uso della forza sono responsabilità che devono essere equamente condivise tra soggetti così fortemente vincolati. Sembra difficile allora che Gemfields possa chiamarsi fuori, delegando alle forze di polizia la spinosa questione dell’uso della forza. L’impresa che gode dunque dei diritti acquisiti, grazie ad una fornitura di superfici, per la costruzione di un’enclave territoriale costituita su misura, dovrà rispondere all’intera collettività insediata, ricollocata ed espulsa, che di quel territorio era parte integrante. Ancora una volta adempiere a criteri etici non vuol dire obbedire a regole fisse e codici immutabili come non vuol dire semplicemente rispettare gli stakeholder primari o creare catene di custodia per rintracciare i percorsi delle gemme fino alla miniera. È cruciale mettere ogni singolo caso nella sua cornice storica e sociale così come è opportuno essere consapevoli che anche tra i paladini occidentali di semplicistiche crociate terzomondiste si possono nascondere interessi e secondi fini. Non è un gioco facile tra buoni e cattivi o tra grandi imprese e piccoli artigiani, ma una questione chiave per interi sistemi economici di paesi che si affacciano alla modernità ed allo sviluppo.

 

A cura di Paolo Minieri*, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia nr. 4, Estate 2018.

* L’autore è grato a Vincent Pardieu. Senza il suo generoso contributo questo lavoro sarebbe privo di informazioni di prima mano e di testimonianze dirette.

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