domenica, Aprile 28, 2024
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Corallo, la genetica viene in aiuto della gemmologia

Cosa sta succedendo nel campo dell’identificazione delle specie preziose di corallo? Gli studi specifici del tracciamento del DNA su questa materia sono già iniziati con successo alcuni decenni fa nel campo della conservazione ambientale per valutare le condizioni degli habitat delle barriere coralline madreporiche. Più recentemente il CIBJO, sotto la guida della Commissione Corallo presieduta da Vincenzo Liverino, ha promosso l’applicazione di studi specifici mirati a pervenire ad una distinzione tra le varie specie di corallo prezioso. Questa distinzione è infatti vitale per l’industria del corallo nel suo insieme, la quale può sopravvivere e prosperare in futuro solo se sarà incentrata su un alto senso di responsabilità nella protezione delle specie affini in pericolo di estinzione, obbedendo alle linee dettate dalle convenzioni internazionali di protezione ambientale come il CITES.

Il problema sta nel fatto che anche le dotazioni gemmologiche più avanzate pur consentendo, mediante spettrofotometria, l’identificazione del genere tassonomico corallium, non permettono di rilevare le singole specie. In pratica, gli strumenti generalmente utilizzati in gemmologia possono aiutare gli operatori nella sola distinzione tra coralli preziosi e quei “coralli comuni” che talvolta vengono commercializzati con trattamenti coloranti fuorvianti per apparire simili alle specie di corallo di pregio usate in gioielleria.

(Foto: Lendvay, Cartier, Gysi, Meyer, Krzemnicki, Kratzer, Morf, da “DNA fingerprinting: an effective tool for taxonomic identification of precious corals in jewelry”, pubblicato su Nature.com, License CC BY 4.0)

La via dell’identificazione delle specie è quindi il tracciamento del DNA, procedura che i biologi utilizzano comunemente nel proprio lavoro. A questo punto, però, sorge una nuova difficoltà: il tracciamento prevede un’analisi invasiva. L’Università Federico II di Napoli, in collaborazione con la Commissione Corallo del CIBJO e con IGI (Istituto Gemmologico Italiano), aveva già messo a punto nel 2019 una procedura che consente l’identificazione delle specie di corallium basata sul DNA, ma solo a costo di un test distruttivo che impatta pesantemente sulla bellezza dei gioielli e rischia di comprometterne il valore. Questo test, eseguito dalla Dott.ssa Anna Di Cosmo, Professore Ordinario di Zoologia presso il Dipartimento di Biologia, infatti, prevede l’estrazione di parte del materiale con un trapano a punta sottile, ma asportandone quantità significative, comprese tra 20 e 50 mg (0,12-0,25 carati).

A maggio 2020 c’è una svolta. SSEF in collaborazione con l’Università di Zurigo ha presentato in “Scientific Reports (Nature Group)” uno studio approfondito con revisione paritaria: “DNA fingerprinting: an effective tool for taxonomic identification of precious corals in jewelry”. In questo articolo viene sviluppata una tecnica molto meno distruttiva, che richiede il campionamento di materiale di DNA testabile che parte da un minimo di 2,3 milligrammi (0,0115 carati), quantità notevolmente inferiori rispetto alle procedure precedenti. Utilizzando un set di 25 campioni di corallo da gioielleria, sono stati testati cinque protocolli di estrazione del DNA selezionati come i più efficaci per recuperare il DNA da gioielli realizzati con coralli preziosi. Alla fine è stato individuato il protocollo che rispondeva meglio per ciascuna specie tenendo in considerazione il fattore chiave, la necessità cioè di minimizzare la distruzione della preziosa materia prima.

È probabile che questo studio stabilisca uno standard per la ricerca futura che potrà infatti ampliare i dati di riferimento sequenziando più campioni per ciascuna specie e sviluppando marcatori aggiuntivi.

Gem News pubblicata su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 10, Autunno 2020

(Foto: Gem-Tech Istituto Gemmologico)
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