domenica, Aprile 28, 2024
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Un grande assegno al piccolo minatore. La tanzanite nazionalizzata va alla ricerca del consenso

Tra il 24 e il 26 giugno un’immagine ricorrente ed iconica inonda i media internazionali, quella di Saniniu Laizer, 52 anni, un ex pastore tanzaniano, sposato con 4 mogli e padre di 32 figli, che mostra una gigantografia di un assegno del valore di 7,7 miliardi di scellini tanzaniani (2,1 milioni di dollari USA). La foto ha uno scopo preciso, quello di dimostrare chiaramente che il governo locale sta effettivamente mettendo mano alla restituzione alla gente dei ricavi ottenuti dalla ricchezza mineraria della nazione. Non c’è dubbio che quello che l’immagine racconta sia tanto sbalorditivo da aver sollevato a livello internazionale un grande interesse, evidente dai titoli sensazionalistici che hanno fatto il giro del mondo.

Fig. 1 – Saniniu Laizer mostra il generoso assegno ricevuto dal governo tanzaniano.
(Foto: Embassy of the United Republic of Tanzania in Israel)

Un pastore che diventa minatore scopre cristalli da milioni di dollari di tanzanite. Qui la storia comincia

Ma Laizer non è quel minatore solitario, povero, affamato e male equipaggiato che fa buchi con una pala e con mezzi improvvisati, come alcuni media lo hanno descritto. Possedendo un capitale sufficiente guadagnato col suo lavoro precedente, ha colto l’occasione per tentare la fortuna con una sortita nel business minerario della tanzanite. In pratica non è che una persona che mette i propri capitali senza prender più di tanto parte alle operazioni nel sottosuolo. Sono i suoi dipendenti che svolgono il lavoro e lo fanno non in cambio di un salario ma solo di cibo, alloggio di base e, soprattutto, di una quota della produzione. È una sfida. Si scommette e a volte alla lotteria si può anche vincere.

Scavando nel sottosuolo, nel buio di una galleria mineraria sotterranea notevolmente profonda, hanno scoperto nel giugno 2020 due cristalli grezzi di tanzanite straordinariamente grandi del peso di 9,97 e 5,1 chilogrammi, entrambi venduti al governo. La fortunata e sorprendente scoperta sotterranea però non termina qui. Alla fine di luglio un terzo esemplare, per l’equivalente di 2 milioni di dollari USA e dal peso di oltre 6 kg, è stato portato alla luce e anch’esso venduto al governo della Tanzania.

Amplificati dai media, che hanno insistito sulla presa emotiva che tali notizie sempre hanno sui lettori, questi fatti sono arrivati al pubblico in tutto il mondo. Un uomo comune proveniente da un luogo remoto, sbrigativamente descritto in condizioni apparentemente disagiate, è un simbolo dei disegni capricciosi del destino, un emblema di una specie di perdente che dall’oggi al domani diventa milionario. Tuttavia gli analisti più esperti di economia della Tanzania nonché gli operatori specializzati nel ramo della tanzanite hanno visto un che di inusuale in questo accordo atipico tra il venditore, un minatore artigianale e l’acquirente, il governo della Tanzania. E per la verità ci sono ulteriori implicazioni di cui vale la pena tenere conto.

Fig. 2 – Tanzanite taglio ovale da 22,12 ct. (Foto: Collezione E-Motion)

Il Presidente Magufuli manda un bell’assegno. Il nazionalismo delle risorse e la creazione di consenso

È un dato di fatto che la storia, oltre il colpo di fortuna di un uomo comune che diventa improvvisamente ricco, rifletta con chiarezza e più in generale una nuova direzione nella politica di questo paese africano. Sotto la presidenza di John Magufuli, eletto nel 2015, l’economia tanzaniana ha subito una svolta di 180 gradi, distanziandosi dalle politiche liberistiche e dall’enfasi sul mercato libero che avevano perseguito i suoi predecessori. Ora si sta approdando ad una gestione economica controllata dallo Stato in modo dirigistico. Gli effetti di questi cambiamenti sono evidenti nel settore minerario che rappresenta il 23,7% del PIL nazionale e del quale la tanzanite costituisce una risorsa significativa. È interessante notare che proprio all’inizio del suo mandato il presidente Magufuli ha voluto dichiarare che il paese era stato a lungo truffato da contratti minerari sfavorevoli siglati con partner stranieri e dalla continua erosione della ricchezza causata dal contrabbando o dalla sottovalutazione del valore delle materie prime esportate. Quello era il momento di restituire qualcosa ai tanzaniani in cambio del sostegno politico.

Il nuovo Presidente Magufuli ha quindi intrapreso una politica che gli esperti chiamano “nazionalismo delle risorse”, un atteggiamento politico cioè che afferma che intende sfruttare la ricchezza mineraria privilegiando gli interessi nazionali che devono essere anteposti a qualsiasi speculazione internazionale. Questo nuovo gioco persegue lo sviluppo economico attraverso un ampio sostegno pubblico e la creazione del consenso. È essenziale dimostrare che lo Stato si impegna a remunerare i minatori artigiani acquistando gli esemplari più importanti che vengano portati alla luce. Per questo la strategia del presidente Magufuli si basa su immagini come quelle postate e pubblicate dalla stampa internazionale che mostrano i minatori di tanzanite nell’atto di ricevere quel denaro che fino a poco tempo fa finiva drenato via dal paese nelle maglie del contrabbando.

Fig. 3 – Saniniu Laizer mostra i grezzi di tanzanite da record. (Foto: Tanzania Ministry of Minerals)

La grande impresa vs. i piccoli minatori, ma manca l’industria del taglio. Come sfruttare la tanzanite?

La tanzanite è una gemma giovane perché il suo sfruttamento prende le mosse alla fine degli anni Sessanta. Il nostro pianeta la offre in un’area geografica limitata alle colline Merelani della Tanzania nel distretto di Simanjiro, originariamente suddivisa in 4 blocchi. La storia dello sfruttamento si basa sia su piccole attività diffuse (ASM) che su un grande operatore minerario (LSM), sostanzialmente una società privata sudafricana (AFGEM, poi Tanzanite One dal 2003) a cui è stata concessa la concessione di un blocco intero.

Inevitabilmente il divario nella disponibilità di capitali ha finito con sfociare in interessi in competizione tra l’estrazione industriale e le piccole imprese. Tra l’altro le intersezioni sotterranee tra i blocchi hanno provocato polemiche su sconfinamenti e scontri. Va poi aggiunto che il gruppo industriale sudafricano è stato in grado di presentare le gemme di propria produzione come più “etiche” perché tracciabili e dotate di documenti di provenienza responsabile. Un tale vantaggio competitivo, a dire il vero solo in parte ricompensato dal mercato, ha avuto l’effetto tuttavia di spingere i piccoli minatori tra le braccia di broker stranieri, pronti ad acquistare il loro grezzo in contanti. I resoconti della stampa regionale indicano un dato sorprendente: dopo India e Kenya la Tanzania è solo il terzo paese esportatore per valore di tanzanite, una gemma che dovrebbe essere sua esclusiva. Ciò è la conseguenza dell’assenza di un’industria di taglio di gemme finite e dal frequente contrabbando.

Lotta al contrabbando, nasce il muro della Tanzanite

Nel 2010 è stata promulgata una legge mineraria che ha consentito nel 2013 alla Società mineraria statale (STAMICO) di prendere una quota del 50% di TanzaniteOne. Questo è un tentativo, da parte della dirigenza statale, di riacquisire il controllo sulla ricchezza mineraria storicamente mal gestita. Ma la mossa si mostra infruttuosa a giudicare dal declino della produzione a partire dal 2014. È significativo che durante la campagna elettorale del 2015 Magufuli abbia puntato il dito proprio contro TanzaniteOne promettendo di confiscare lotti di concessioni minerarie di tanzaniti tenuti colpevolmente “inattivi” per ridistribuirli ai piccoli minatori non industriali. Nel 2018 TanzaniteOne è stata poi portata in tribunale per non aver pagato gli stipendi alla maggior parte dei suoi dipendenti.

Tra settembre 2017 e febbraio 2018 l’intera area dello sfruttamento di tanzanite è stata isolata da un muro di 24 km che il presidente Magufuli ha fatto erigere ai militari. Il muro, secondo quanto riferito, ha avuto un costo di 2,9/3,5 milioni di dollari USA e presenta un’unica entrata/uscita controllata dai militari dove ad un checkpoint specialisti governativi esaminano attentamente la tanzanite determinandone il valore di mercato e fissando le royalties da pagare sul posto.

Gli analisti economici hanno messo in rilievo il fatto che questo nuovo sistema di gestione delle risorse si concentra semplicemente sulla riscossione dei dazi, mentre è assente un piano di sviluppo ben definito in grado di sostenere effettivamente i veri bisogni delle compagnie minerarie che estraggono la tanzanite. I dati ufficiali mostrano che i minatori che amministrano piccole imprese, come il fortunato Saniniu Laizer, contribuiscono al monte totale delle royalties della tanzanite per quasi l’87%. Quindi sono pedine essenziali per consolidare le entrate nazionali derivanti dalla gemma che hanno registrato un massimo senza precedenti di 714,5 milioni di scellini tanzaniani (308.000 dollari USA) nel primo trimestre del 2018, più di quanto il governo aveva raccolto nei tre anni precedenti.

L’oscillazione della produzione, in effetti, è il vero scoglio. I valori del secondo trimestre del 2018 mostrano cifre deludenti (40 milioni di scellini tanzaniani, 17.000 dollari USA) per poi riprendersi nel 2019.

Fig. 4 – I due grezzi di tanzanite in un’immagine ravvicinata. (Foto: Tanzania Ministry of Minerals)

Ok, il governo compra i pezzi eccezionali ma il nuovo sistema non decolla

Mentre il governo si è nuovamente scagliato contro il contrabbando cui ascrive tutte le responsabilità dell’andamento a singhiozzo dell’estrazione, gli osservatori notano che il calo della produzione è sicuramente ascrivibile a molti altri motivi, come la mancanza di infrastrutture e l’aumento dei costi operativi. Ad esempio, il nuovo muro costringe i minatori a possedere più veicoli e più attrezzature di trasporto, quelle bloccate all’interno dell’area riservata e quelle che operano al suo esterno. Inoltre, mettere all’asta la tanzanite a Mererani invece che ad Arusha non si è rivelata un’efficace strategia di sviluppo regionale quanto piuttosto una mossa rischiosa a causa della mancanza di servizi adeguati. Si deve poi anche rilevare che non è mai stato possibile recuperare almeno una parte del notevole valore aggiunto fornito dall’industria del taglio che si è posizionata fuori dal Paese, in India e Thailandia.

La geologia ci dice che la presenza di tanzanite nel sottosuolo tanzaniano è imprevedibile e finora il servizio geologico nazionale non ha fornito alcun supporto alle prospezioni con dati più dettagliati. Nel frattempo i minatori sono costretti a lavorare a profondità sempre maggiori con costi crescenti.

Da marzo 2019 si riscuote sull’estrazione di tanzanite su piccola scala solo il 7% di tasse (e zero royalty). È un ulteriore tentativo di migliorare i risultati, non così buoni come previsto, dato che le nuove elezioni si avvicinano e John Magufuli punta apertamente ad un nuovo mandato proprio sulla base della politica nazionalistica con cui ha gestito le risorse minerarie. Queste risorse genereranno vantaggi maggiori al paese? È presto per dirlo. Quello però che appare evidente è la volontà di favorire un processo di identificazione tra estrazione della tanzanite e comunicazione da parte della leadership di un messaggio di orgoglio e rivendicazione nazionale.

Articolo di Paolo Minieri, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 10, Autunno 2020

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