domenica, Aprile 28, 2024
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Sono diamanti pure i sintetici. L’estensione della definizione isola la FTC dagli standard europei

A livello mondiale, le legislazioni sulle pietre preziose mostrano significative differenze. La Federal Trade Commission (FTC) è un’Agenzia federale statunitense le cui guide generali per il commercio – come essa stessa ammette – sono “interpretazioni amministrative di legge, senza forza di legge e non sono indipendentemente esecutive”. Questa apparente carenza di potere impositivo non diminuisce l’autorevolezza della FTC negli Stati Uniti. Le sue linee guida pur diventando, in genere, stringenti ed influenti indicazioni federali seguite nella pratica dai singoli Stati, possono tuttavia divergere in modo significativo dagli altri dispositivi normativi gemmologici internazionali.

Fig. 1 – Non sempre l’identificazione dei diamanti sintetici è basata su inclusioni come questa (residui di fondente metallico). La natura delle inclusioni, differenti tra diamanti naturali e sintetici, prova anche che non essi sono la stessa cosa dal punto di vista chimico e fisico. (Foto: IGI International Gemological Institute Italy)

L’aggiornamento delle linee guida FTC. Nuove regole per i diamanti sintetici

Il 24 luglio 2018, dopo 22 anni, la FTC ha sostituito gli standard normativi per la commercializzazione di articoli di gioielleria e di pietre preziose, ponendo fine ad un processo di revisione durato sei anni, nel quale sono state esaminate e discusse le indicazioni provenienti dagli operatori e dalle associazioni del ramo.

Le recenti Guide, che spiegano quali sono da considerarsi dichiarazioni da evitare perché ingannevoli, pongono l’accento sull’eliminazione delle soglie per definire una lega oro o argento, sulla corretta descrizione dei rivestimenti su metalli, sul divieto di apporre nomi scorretti per le varietà delle gemme e sulla corretta ed esauriente informazione a riguardo dei trattamenti sulle perle.
Ma quelle che hanno ricevuto più attenzione e comportato più modifiche sono le indicazioni su come si debbano commercializzare i diamanti sintetici. L’approccio della FTC, basato su suggerimenti che provengono da un processo nel quale un determinato comparto dell’economia costruisce condivisione e consenso al proprio interno, può apparire strano agli osservatori non americani. E ancora più strane devono essere state considerate le lettere d’avviso che la FTC ha successivamente indirizzato il 2 aprile 2019 ad otto aziende produttrici di diamanti sintetici, alcune delle quali pure erano state parti attive nel processo di revisione ed avevano avuto modo di esporre i propri orientamenti. Cosa è successo?

Cosa è cambiato e cosa no. I tre termini raccomandati

Per spiegare il nuovo contesto normativo dell’FTC e per comprendere appieno le ragioni sottese a queste lettere sono necessarie preliminarmente alcune considerazioni. Va notato che, secondo la FTC, allo scopo di non confondere i consumatori con ulteriori cambiamenti nelle definizioni di base delle nuove linee guida, non si modifica la terminologia utilizzata per i diamanti sintetici. “Creato in laboratorio” (“laboratory-created”), “accresciuto in laboratorio” (“laboratory-grown”), “creato da [nome del produttore]” [“(manufacturer-name)-created”]: queste erano e queste restano, secondo l’FTC, le descrizioni più adeguate e corrette per indicare i diamanti non estratti in miniera. “Coltivato”, sempre stando all’FTC, è attributo ammissibile solo se esplicitamente accompagnato dal riferimento ad una delle tre summenzionate specifiche.

Mentre per gli standard normativi europei (ISO 2018/TC174/WG 2, per Diamanti, Gemme e Prodotti Affini) il termine “sintetico” è già esauriente e sufficiente per definire un diamante prodotto interamente dall’uomo, la FTC ora fa un distinguo. Questo termine non è mai considerato ingannevole e di conseguenza non è mai scartato, ma non compare nella lista delle specifiche raccomandate. Infatti la FTC concorda sull’indicazione formulata da alcuni produttori di diamanti sintetici, secondo la quale i consumatori potrebbero equiparare il termine “sintetico” al termine “imitazione” e fare quindi confusione tra i diamanti “accresciuti in laboratorio” da un lato e la zirconia cubica (CZ) e la moissanite dall’altro.

Nelle Guide si decide di continuare a proibire l’uso, per descrivere i diamanti sintetici, dei termini “naturale, genuino e vero” ma non si esclude però di prendere nella dovuta considerazione ulteriori studi sulla percezione da parte dei consumatori del termine “vero” (real). Vale la pena di ricordare che già nel 2012 il direttore del laboratorio GIA di Mumbai aveva dichiarato in una conferenza organizzata da Rapaport: “I diamanti sintetici sono diamanti veri. Hanno le stesse caratteristiche ottiche chimiche termiche e fisiche”. Affermazioni del genere sono stare riprese molte volte, specialmente da produttori di diamanti sintetici e forse ciò ha finito con avere un peso nelle consultazioni della FTC.

In gemmologia, la questione su quanto le somiglianze tra diamanti naturali e sintetici complichino sempre più la loro identificazione resta ancora aperta e dipendente dal livello della strumentazione da utilizzarsi. Ma, contrariamente a quanto qualcuno ancora pensi, non è in discussione il dato di fatto che essi non sono la stessa cosa. I diamanti naturali e sintetici condividono una gran parte delle proprietà chimiche e fisiche (Figure 1 e 2) ma sono diversi in quanto a struttura ed inclusioni nonché per le loro reazioni di luminescenza (fosforescenza, in particolare). Per questa ragione, una volta che queste caratteristiche distintive vengano debitamente prese in considerazione in un pur complesso lavoro d’identificazione, non c’è motivo per riconsiderare in futuro l’applicazione del termine “vero” (real) anche ai diamanti non naturali.

Il fatto che il divieto dell’uso di “vero” (real), quale attributo utilizzabile per i diamanti sintetici sia stato confermato, dipende, peraltro, dalla valutazione della FTC dei risultati di un sondaggio commissionato da DPA (Diamond Producers Association) a Harris Poll nel maggio 2018 che mirava a determinare in che misura i consumatori associno il termine “diamanti veri” (real diamonds) a “diamanti naturali”. Lo studio dimostra che una gran quantità di adulti i diamanti accresciuti in laboratorio non li considera veri.

Dunque si può desumere che la decisione di proseguire nella proibizione dell’uso del termine “vero” (real) con riferimento al diamante sintetico, sia attualmente stata influenzata da dati statistici costruiti su interviste piuttosto che sull’assunto che le prove gemmologiche siano conclusive.

Fig. 2 – L’osservazione dei diamanti mediante una sorgente ultravioletta ad onde ultra-corte (DiamondViewTM) consente di evidenziare le differenti strutture di accrescimento tra diamanti sintetici e naturali. La differenza di colore delle emissioni ha anch’essa una sua importanza ma è attraverso il riconoscimento della struttura cristallina che si giunge all’identificazione certa dei diamanti naturali e sintetici.
Da sinistra a destra:
a) diamante sintetico CVD: sono evidenziabili delle bande parallele curvilinee;
b) diamante sintetico HPHT: tipico accrescimento cubo-ottaedrico, diagnostico per l’identificazione;
c) diamante naturale: uno dei molteplici accrescimenti osservabili nei diamanti naturali.
(Foto: Egor Gavrilenko, IGE Gem Testing Laboratory)

Questa è una mossa a sorpresa, per definizione i diamanti per la FTC non sono esclusivamente naturali

Comunque, la decisione più controversa è stata forse l’eliminazione della parola “naturale” dalla definizione di diamante precedentemente adottata dalla FTC. Prima un diamante era descritto come “un minerale naturale consistente essenzialmente di carbonio puro cristallizzato nel sistema isometrico”. La nuova definizione si allontana dagli standard europei ISO secondo i quali “non è necessario rilevare la genesi di un diamante, in quanto l’uso della parola ‘diamante’, da sola, senz’altra qualificazione, denota che ci riferisce ad una pietra naturale. La parola ‘diamante’ da sola, non deve essere usata per descrivere diamanti sintetici indipendentemente da quale materiale di base o quali metodi siano stati impiegati. Prodotti realizzati in tal modo devono essere definiti chiaramente come ‘diamanti sintetici’ e non devono essere qualitativamente analizzati”.

In altre parole, fermo restando l’obbligo di rivelare dovutamente se un diamante sia stato estratto da miniera o creato in laboratorio, l’area semantica secondo la quale è ammissibile l’uso della parola “diamante”, secondo le nuove linee guida della FTC, deve includere sia i diamanti naturali che quelli sintetici. In un’intervista a JCK, Reenah Kim, legale dell’Ufficio Protezione Consumatori Divisione Esecutiva della FTC, la mette così: “Gli operatori [di diamanti sintetici] nelle loro transazioni devono continuare a dichiarare che non si tratta di diamante naturale. Ora succede solo che quelle indicazioni si trovino in una sezione separata”.

La disposizione, comunque, intende dare legittimità agli interessi dei produttori di diamanti sintetici, molto più forti negli Stati Uniti che in Europa: “dire vero o naturale per far credere che un diamante sintetico (lab-grown) non sia effettivamente un diamante, con ogni probabilità sarebbe ingannevole”. Per gli osservatori europei, la mossa di eliminare il riferimento esclusivo della parola “diamante” ai diamanti naturali, è rischiosa ma anche illogica. Infatti, se ci si mette in questa prospettiva, gli smeraldi sintetici potrebbero aspirare legittimante al titolo di “smeraldi” ed uno smeraldo non sarebbe più naturale per sua stessa definizione.

Le lettere d’avvertimento

Il 2 aprile 2019 otto aziende hanno ricevuto dalla FTC una lettera d’avvertimento. Tre di esse sono state inviate a imprese che vendono esclusivamente diamanti “accresciuti in laboratorio”: Ada Diamonds, Diamond Foundry e Pure Grown Diamonds. Le altre cinque sono state indirizzate ad aziende che vendono imitazioni di diamanti: Agape Diamonds, Timepieces International, Diamond Nexus, MiaDonna & Co. e Stauer. Le ultime due vendono sia diamanti “accresciuti in laboratorio” che imitazioni.

Reuters e JCK hanno avuto modo di visionare una versione indirizzata a Diamond Foundry. JCK ne riporta una parte: “Il termine diamanti veri ‘aboveground’, letteralmente ‘sopraterra, di superficie’, non rivela in modo chiaro e palese il fatto che i diamanti sono creati in laboratorio… Né il nome Diamond Foundry, l’hashtag #labgrowndiamonds, né l’asserzione ‘diamanti veri creati in America’, così come appaiono in pubblicità, rivelano in modo chiaro e palese il fatto che i diamanti siano creati in laboratorio”.

La risposta dell’azienda è stata positiva: “Il nostro marketing, per quanto riguarda i diamanti non estratti in miniera, è trasparente e ci inorgoglisce”. Martin Roscheisen, CEO di Diamond Foundry, ha reso una dichiarazione accomodante: “Abbiamo ricevuto una richiesta dalla FTC alla quale intendiamo rispondere dettagliatamente”. E infatti una dichiarazione, visibile sul sito di Diamond Foundry il giorno 23 maggio 2019, mostra gli effetti immediati della raccomandazione dell’agenzia federale: “come chiarito su questo sito web, comprese la home page www.diamondfoundry.com ed altre pagine importanti presentate, vendiamo diamanti ‘fatti dall’uomo’, ‘creati in laboratorio’, ‘coltivati’ o qualificabili in qualunque maniera si consideri opportuna per descrivere la crescita di cristalli di diamante in un impianto industriale o in un laboratorio”.

Nella sezioni dedicate ai termini e alle condizioni traspare un approccio cauto (Figura 3) che conferma il fatto che l’azienda ha preso queste raccomandazioni estremamente sul serio. Altrettanto cooperativo s’è mostrato Jason Payne di Ada Diamonds, che ha commentato: “Penso sia fantastico che l’FTC abbia messo in chiaro la propria posizione. L’FTC ha eccepito su tre annunci pubblicitari di Ada Diamonds che mettevano in evidenza la dicitura ‘#labdiamond’, un hashtag considerato non sufficientemente chiaro, non avendo FTC approvato i termini delle sezioni non-hashtag”. Sembra che la FTC intenda far vedere che anche gli hashtag contano e che l’uso di termini diversi da quelli suggeriti sia considerata una sfida rischiosa. Le lettere rappresentano un invito stringente a riferirsi ai tre termini raccomandati.

Fig. 3 – Termini e condizioni del sito di Diamond Foudry nel Giugno 2019.

Quanto sono “eco-friendly” i diamanti “accresciuti in laboratorio”? Non lo si può quantificare

Le missive inviate dalla FTC stigmatizzano inoltre l’uso improprio che fanno le aziende di “eco-compatibile” (“eco-friendly”) o di termini simili per descrivere i diamanti “fatti in laboratorio”: “…la vostra promozione pubblicitaria millanta che la vostra gioielleria, rispetto ai diamanti estratti in miniera, produce benefici ambientali. Si noti che gli operatori di mercato devono avere ragionevoli basi su cui poggiare le proprie argomentazioni quando queste postulano che i propri prodotti arrechino benefici ambientali e devono qualificare adeguatamente quanto asserito per evitare d’essere fuorvianti”.

Già nel 1992 la FTC aveva pubblicato le “Green Guides”, successivamente emendate nel 1996, nel 1998 e nel 2010, per fornire un indirizzo su come fare dichiarazioni non ingannevoli in materia ambientale. Recentemente sono state portate avanti parecchie azioni connesse ad affermazioni fuorvianti sulla riciclabilità, sulla biodegradabilità e sulle certificazioni ambientali. Il fatto è però che questo genere di affermazioni non sono misurabili, ivi comprese quelle sul presunto miglior impatto ambientale dei diamanti “accresciuti in laboratorio” e non estratti in miniera.

“Non abbiamo un opinione e non sappiamo se siano o non siano buoni per l’ambiente. Però il marketing deve essere chiaro”, ha detto Robert Frisby, legale del Bureau of Consumer Protection della FTC, il quale ebbe parte in causa nell’elaborazione delle lettere. Cosa interessante, la FTC ha redatto la revisione delle “Green Guides” nel 2012 avvalendosi di un’indagine statistica relativa a come i consumatori percepiscano i titoli di merito connessi alla supposta eco-compatibilità, approccio identico a quello usato nel 2018 che ha fatto sì che l’uso del termine “vero” (real) continuasse ad essere ristretto ai diamanti estratti in miniera.

Studi specifici, portati avanti per esaminare le percezioni dei consumatori, possono risultare utili al fine di fissare uno standard corretto nei casi in cui questi termini, che sono cruciali, non veicolassero da soli definizioni chiare non finendo con l’impedire all’industria di trovare riferimenti e parametri accurati. Questa è una metodologia che le organizzazioni europee preposte alla regolamentazione dovrebbero prendere in considerazione.

Fig. 4 – L’etica irrompe nella pagine dei media sul business dei diamanti già nel 2014.

I laboratori gemmologici traggono le dovute conseguenze

Facendo seguito alle modifiche della FTC i laboratori gemmologici stanno allineando i propri certificati, relativi ai diamanti sintetici, alle nuove regole. Mentre l’HRD ha cambiato i gradi usati nei propri certificati per farli corrispondere a quelli delle pietre estratte in miniera, i reports d’identificazione del GIA non faranno più uso del termine “sintetico”, che sarà rimpiazzato dal termine “diamante accresciuto in laboratorio” seguito da una nota esplicativa. L’HRD ha modificato i suoi precedenti cinque gradi di colore (colorless, near colorless, faint, very light e light) in modo tale da far riferimento agli stessi 13 usati per i colori naturali (da D a M, più N-O, P-R e S-Z). Inoltre, i precedenti cinque gradi di purezza (da free of inclusions FI, a included I) sono stati sostituiti dagli stessi dieci in uso per i diamanti estratti in miniera.

Al contrario, il GIA invece ridurrà i gradi, usando per i diamanti sintetici le stesse linee di confine applicate ai diamanti naturali e mostrando una rappresentazione visiva uguale a quella dei diamanti naturali, per quanto riguarda le scale di colore, di purezza e di taglio.

Nessun cambio significativo è previsto per i Laboratory-Grown Reports dell’IGI (International Gemological Institute), che recano le stesse informazioni del Diamond Report usato per le gemme naturali, fatta eccezione per il colore giallo che sarà dato come caratteristica distintiva (Figura 5).

Fig. 5 – Report gemmologico per i diamanti laboratory-grown prodotto dall’IGI (International Gemological Institute).

Conclusioni

Gli standard raccomandati dalla FTC in parte confermano le regole consolidate, in parte aprono questioni controverse in palese difformità con quanto stabilito in Europa dalle norme ISO. Se da un lato si accolgono alcune indicazioni provenienti dall’industria dei diamanti sintetici, che ora può definire i propri prodotti come “diamanti”, le linee guida per essere applicate in modo esecutivo, obbligano la FTC ad uno stringente richiamo a non descrivere i diamanti sintetici con azzardati neologismi, ricorrendo invece alle tre ben precise definizioni. Come è comprensibile, le nuove linee guida provocano reazioni avverse tra operatori e gemmologi il cui timore è che si crei più confusione ed ambiguità che trasparenza. Ernie Blom lamenta la difformità delle linee guida dalla terminologia approvata dalla World Federation of Diamond Bourses (WFDB), di cui è Presidente. Martin Rapaport rileva che le direttive della FTC trascurano due informazioni che a suo giudizio non vengono debitamente rese ai consumatori: i diamanti sintetici, su base storica, non conservano valore nel tempo e ricevono spesso un post trattamento (HPHT) che, diversamente dai naturali, allo stato attuale non deve essere obbligatoriamente rivelato.

Articolo di Paolo Minieri, pubblicato su IGR – Rivista Italiana di Gemmologia n. 7, Estate 2019

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